“Bacaredda, il genio lungimirante”: nel parlano gli ultimi sindaci di Cagliari con il giornalista Massimiliano Rais.
Quel Palazzo è la sua creatura. Perché lo ha voluto in quella posizione, proiettato verso il mare e verso il futuro. Dal Castello, cuore degli interessi dell’aristocrazia, a Stampace basso, a ridosso del porto, centro degli interessi della borghesia commerciale.
Il Municipio di Cagliari, in via Roma, è uno dei simboli più forti dell’età del sindaco-mito Ottone Bacaredda, principale artefice di una città nuova e aperta.
Quanto può essere pesante l’eredità di un primo cittadino così attivo e carismatico, freneticamente proteso verso la modernità? La risposta a chi in questi ultimi vent’anni ha guidato Cagliari. Tre primi cittadini, due ex e uno nel pieno del mandato, che conoscono bene gli ambienti del Palazzo in pietra calcarea chiara, costruito durante la Belle Époque.
Secondo Paolo Truzzu, sindaco in carica, «Bacaredda crea le basi della Cagliari moderna, costruisce una città che inizia ad avere dinamiche metropolitane, sostiene e promuove il ruolo della nuova borghesia. Un diverso assetto di potere, la città esce dalla logica della gestione familiare. Abbiamo la percezione di un uomo energico e determinato nella sua visione».
La sua eredità è ancora viva perché le opere pubbliche nate nella sua epoca continuano a testimoniare la forza e il valore di un progetto di ampio respiro: «Ha costruito il Bastione Saint-Remy e il nuovo Palazzo municipale, gli elementi visivi più importanti, diverse scuole elementari, creato un sistema fognario e dell’illuminazione e molte altre cose. Ha dato il via ad una trasformazione urbanistica che non poteva che essere anche sociale. In quegli anni Cagliari intercetta i cambiamenti in atto, le rivoluzioni tecnologiche e i valori borghesi del mondo nuovo. Il sindaco capisce soprattutto che il futuro della città è legato allo sviluppo del lungomare e al Poetto. Fu lui autorizzare i primi bagni nel 1913 in quella che diverrà poi la spiaggia dei centomila. L’esperienza di Bacaredda ci ricorda che la nostra città ha grandi potenzialità, soprattutto nel campo economico. Per questo ho voluto recuperare, nel mio percorso amministrativo, il concetto di città sul mare. Credo che sul fronte del Golfo si possa giocare la grande partita della nuova Cagliari».
Bacaredda è artefice di una rivoluzione architettonica e urbanistica che è lo specchio della nuova trama degli equilibri del potere e dei rapporti tra le classi: «Un mutamento radicale. Cagliari diventa città con dinamiche sociali e culturali ambiziose, europee».
Oggi in quale modo quel sindaco può essere ancora utile? «Bacaredda ci ha insegnato ad avere una visione, ad essere coraggiosi. Soprattutto, amava Cagliari più di ogni altra cosa. Un sentimento che avverto anche io. L’amore per la città è un grande stimolo per progettare e dare un senso di futuro all’azione quotidiana».
È un modello? «Ogni sindaco deve misurarsi con i grandi del passato. L’intitolazione ufficiale del Municipio a Ottone Bacaredda, appena deliberata dal Consiglio comunale, non è un semplice atto formale ma il riconoscimento di quello che ha fatto per lo sviluppo della comunità. Un modo per dirgli ancora grazie a cento anni dalla sua morte».
Chi è Ottone Bacaredda? «Rappresenta un sindaco moderno che decide e che fa». Massimo Zedda è stato primo cittadino dal giugno del 2011 all’aprile del 2019 a stretto contatto con i cimeli riconducibili a colui che fu anche docente universitario di diritto commerciale e poeta: «Al secondo piano del palazzo civico, nella stanza del sindaco, ci sono ancora la sua scrivania e la sua sedia, fatta totalmente in legno, senza imbottitura, ma già all’epoca realizzata in modo ergonomico, una sedia da lavoro e non da perditempo. C’è anche un busto di Bacaredda che sembra osservare i suoi successori rammentando loro di agire sempre per la città, di farlo al meglio, amando Cagliari e valorizzando le sue bellezze». Che cosa si percepisce del suo contributo alla crescita della città? «Bacaredda proiettò Cagliari nel Novecento, rappresentò la comunità produttiva e laboriosa, a differenza del passato caratterizzato da un’aristocrazia chiusa e arroccata tra le mura di Castello, incapace di cogliere i cambiamenti e le trasformazioni, anche sociali, in corso. L’aspetto più importante fu l’apertura verso il Mediterraneo e verso il mondo».
Come deve essere visto oggi? «Bacaredda è un punto di riferimento per chiunque scelga di candidarsi non solo a fare il sindaco, ma anche alla carica di consigliere comunale. Ha avuto una capacità non comune di immaginare il futuro della città e il coraggio, poi, di mettere le basi per la Cagliari di oggi. Le opere realizzate esprimono la volontà di far crescere la città con monumenti e sedi prestigiose. Altri aspetti del grande cambiamento sono legati al desiderio di garantire migliori condizioni di vita, di salute e d’igiene. Tutti segni tangibili di un miglioramento della città per tutte le cittadine e i cittadini e non per i soli is de nosus».
Nel 1906 scoppiano i moti del pane e nelle tumultuose proteste Bacaredda, incarnazione dell’ordine costituito, è un obiettivo: «Cagliari fu al centro di grandi manifestazioni popolari che che aprirono la strada a grandi conquiste di civiltà per quanto riguarda i salari e l’orario di lavoro, come descritto da Sergio Atzeni nell’opera “Quel maggio 1906″.
Ci furono morti e feriti, intervenne l’esercito e l’intera flotta del Mediterraneo, come raccontato, di recente, da Francesco Abate nel suo romanzo “I delitti della salina”». L’onda del malcontento travolge anche Ottone Bacaredda che è costretto a dimettersi ma torna in sella qualche mese dopo. «È stato – conclude Zedda – un modello di lungimiranza, di educazione al bello, di coraggio. Un esempio anche in questo senso: la coerenza tra l’idea di città e la concreta realizzazione dei progetti, nonostante le difficoltà, dev’essere una costante per chi è chiamato a governare la nostra bellissima città».
Emilio Floris ha guidato Cagliari per dieci anni, dal 2001 al 2011. «Bacaredda, che si definiva un liberaldemocratico, è il primo sindaco sganciato dagli interessi della vecchia aristocrazia. Non rappresentava, quando si è affacciato nella scena amministrativa, la classe dirigente. Era un corpo estraneo ai ceti dominanti. Ha spostato, nei primi anni del Novecento, l’asse della città da Castello, l’antica rocca circondata da mura e fortificazioni, al rione che stava diventando il nuovo cuore pulsante, a pochi passi dal mare, attraverso il trasferimento, altamente simbolico, del Municipio. Una scelta che ha un grande significato politico. Poi ha aperto la città verso il quartiere di Villanova favorendo la crescita demografica e agevolato l’alfabetizzazione e la diffusione della conoscenza attraverso la costruzione di nuovi casamenti scolastici».
Un fantasma buono ma ingombrante per chi è venuto dopo? «Penso che ogni sindaco debba sacrificarsi per il bene della comunità. Bacaredda, che ha operato in condizioni difficili, è un modello perché ha espresso un impegno e forme di responsabilità nella gestione della cosa pubblica davvero straordinari. Ogni sindaco vorrebbe fare quello che ha fatto lui».
Un amministratore carismatico che ha affrontato anche situazioni incandescenti: «Penso a come ha gestito le proteste aspre e violente del 1906. Si è fatto da parte, intuendo che il momento richiedeva un suo passo indietro per poi riprendere il timone, una volta superata la tempesta. È riuscito a interpretare i segni del tempo e a proiettare la sua città nel Novecento dopo aver resistito agli attacchi delle vecchie classi, portatrici di interessi consolidati. Sarebbe necessario approfondire meglio il rapporto con i suoi avversari politici per capire meglio la complessità di un periodo storico fondamentale per lo sviluppo del tessuto urbano».
In quale frangente quel sindaco è stato per lei, più che in altre occasioni, fonte di ispirazione? «Mi viene mente il progetto, delineato in un piano strategico, di aprire Cagliari ai comuni dell’area vasta nella convinzione che la città da sola non potesse competere con le altre realtà del Mediterraneo. Ritengo sia stata una scelta nel solco delle idee di Ottone Bacaredda». L’Unione Sarda, 9 gennaio 2022