Con Luigi Oggiano: perché i Sardi non possono non dirsi sardisti, di Salvatore Cubeddu

Sommario: 1. Premessa.  2. L’insurrezione mancata.  3. La fratellanza sardista. 4. Arriviamo all’oggi. 5. Conclusioni provvisorie.

(i S. Cubeddu interviene al convegno “LUIGI OGGIANO, L’autonomia è intelligenza”, Nuoro, Auditorium Biblioteca S. Satta, venerdì 17 dicembre 2021).

1. Premessa. Perché non possiamo non dirci sardisti: il collegamento all’aforisma di Benedetto Croce (Perché non possiamo non dirci cristiani) è del tutto intenzionale. Lo suggerisce la  connessione ideale del valore della fraternità – l’ultimo e meno utilizzato della triade rivoluzionaria, dopo la libertà e l’eguaglianza – che viene richiamato anche perché non facilmente verificabile. Cristianesimo e sardismo hanno in comune anche il dato che sono stati i loro avversari ad attribuire loro il nome, di ‘cristiano’ e di ‘sardista’, e con intenti spregiativi. I pagani nel loro disprezzo e persecuzione contro i cristiani accusati di ateismo. L’epiteto di ‘sardisti’, anch’esso sotto il segno dello scherno,  viene registrato nelle prime presenze dei deputati sardi, eletti nel novembre 1919 nella lista ‘elmetto’, ai dibattiti presso il Parlamento italiano. Esso segue quello di ‘irlandisti’, inseguendo il sospetto di ‘irlandismo’, con il sardismo abbinato all’autoproclamazione dell’indipendenza delle 26 province cattoliche irlandesi nel 1919 a seguito dell’insurrezione di Pasqua repressa dai britannici nel 1916.

Sì, di costante c’è, da parte del susseguirsi dei differenti governi italiani, nei confronti dei sardi coscienti di sé e militanti, il sospetto che ogni loro richiesta/lamentela/protesta celi il pericolo, o addirittura l’anticipo, del separarsi.

E si tratta di una vecchia storia! Nei secoli delle dominazioni esterne che vanno dalla battaglia di Sanluri (30 giugno 1409) all’unità dell’Italia costituita, delle sette città riconosciute alla Sardegna, ben quattro erano castelli sul mare (Casteddu, Castelsardo, Alghero, Bosa: le altre erano Sassari, Oristano, Iglesias) al cui interno, nella cittadella, era precluso ai Sardi di stazionare. Solo una volta (il 28 aprile 1794) i Sardi uniti, popolo e classe dirigente, sperimentarono quanto fosse facile ed entusiasmante assalire Casteddu ed espellere quegli stranieri. Da questo evento  origina  l’ “A mare sos Continentales” del giovane Antonio Gramsci!

 

2. L’insurrezione mancata. Ma i Sardi, dopo il cedimento alla ‘perfetta fusione’  nel 1847 mirarono all’esposizione delle proprie ragioni puntando sulle appartenenze continentali, sui collegamenti, sulle alleanze e sulla bravura dei propri parlamentari, che non mancarono nei primi cinquant’anni unitari, ad iniziare da Francesco Cocco Ortu, il politico che, individuato quale avversario dagli ex-combattenti, verrà fatto bersaglio della nuova loro passione politica portatrice delle novità del nuovo partito di massa che si  proponeva di  distruggere le esecrate camarille ‘parlamentari’.

In Sardegna lo Stato italiano, che aveva sparato agli operai di Buggerru (1904) e alle sigaraie con is carradoris di Cagliari (1906), non osò con gli eroi della prima guerra mondiale. Il fascismo guidato esso pure da ex-combattenti lavorò per inglobare gli eroi sardi nel destino delle grandezze dell’Italia tentando, e solo in piccola parte riuscendoci, di corromperli. In Irlanda, invece, gli inglesi spararono e uccisero i patrioti. Lì la guerra, spesso la peggiore, coinvolgeva pure due confessioni cristiane contrapposte, i cattolici e gli anglicani. Ma gli Irlandesi cattolici, dopo qualche anno, ottennero l’indipendenza!

La Sardegna perse la sua prima occasione la sera del 29 ottobre 1922, il giorno dopo la marcia su Roma. La mattina, Nuoro aveva visto sfilare nelle sue strade le migliaia di ex combattenti ed i  cittadini organizzati nel PSd’A arrivati per il loro III congresso, in quella che sarebbe rimasta la maggiore manifestazione antifascista della storia sarda. Ne scriveva il 1° settembre 1926 Dino Giacobbe – eletto in quel fatidico giorno a presidente della sezione sarda dell’ANCI in vista della collaborazione con Luigi Oggiano, chiamato qualche ora dopo al compito di  direttore-segretario del Partito Sardo – a Gaetano Salvemini, che, stupito, gli chiedeva le ragioni del successivo accordo con il fascismo, con le conseguenze del tutto evidenti della scelta totalitaria del regime.

Fine ottobre 1922, conclude l’esposizione  di quanto accaduto a casa dell’on. Pietro Mastino tra il gruppo dirigente riunito dopo il 3° congresso. (A “La notte di Nuoro” è dedicato uno dei cinque reading, letture, che pubblicheremo entro qualche mese, nella rivista Quaderni della Fondazione Sardinia, per ricordarne i trent’anni del proprio impegno.

Fine ottobre. Immensa impressione nazionale ed internazionale dell’annuncio dato dal governo che in Sardegna esiste un tentativo di insurrezione. Solo allora è chiara a tutti la formidabile importanza della carta che era nelle nostre mani e abbiamo buttato via senza giuocarla (insieme alle nostre teste, dirà qualcuno: e che importa?)

Il direttorio del partito sardo si affretta a smentire.(In Sardisti, vol. I, pagg. 550 – 551).

Luigi Oggiano resterà direttore per quattro mesi, che diventeranno cruciali nella feroce reazione fascista al congresso di Nuoro: sbarco ad Olbia delle squadracce di Civitavecchia, ferimento di Lussu in via Torino a Cagliari, uccisione di Efisio Melis (26 novembre), incendio della sede e della tipografia de Il Solco.

Benito Mussolini aveva giocato su più piani, il bastone e la carota, con l’uso spregiudicato delle prefetture. Lussu sarà delegato dal Direttorio sardista alle trattative sia a Roma (dove, comunque, una prima delegazione viene guidata da Oggiano), sia poi a Cagliari con l’arrivo e gli incontri con il nuovo prefetto, il gen. Asclepia Gandolfo. Dal 1923 al 1927, avremo il tentativo sardo-fascista guidato da Paolo Pili, del quale la EDES  di Sassari sta per mandare nelle librerie le ‘memorie di un sardo-fascista’.

Il 3 marzo 1923 l’ing. Salvatore Sale verrà eletto nel congresso di Macomer nuovo direttore del Partito sardo, con Luigi Battista Puggioni a capo degli ex-combattenti.

 

3. La fratellanza sardista. La fine del fascismo in Sardegna ritroverà quest’ultimo nel ruolo di direttore-segretario del PSd’A. Riprendendo il modello di Camillo Bellieni biografo di un Emilio Lussu trentenne, Puggioni tratteggia, subito nel secondo dopoguerra, la biografia politica del Bellieni in contemporanea a Luigi Oggiano, che compie la stessa opera in onore della figura di Dino Giacobbe. Questa è la fratellanza! Che arriva ad esprimersi in un maniera non frequente persino tra ‘frades carrales’, immaginiamoci in politica. Non mi consta che fatti simili siano successi in altri partiti politici! Il sardismo è stata una grande esperienza di dolore e di riscatto, di speranza e di fede nell’ideale, di solidarietà. Di amore, di fratellanza, appunto.

Luigi Oggiano rappresenta al meglio la figura morale e integra, significativa pure tra i tanti onesti e integri che segnano la storia del sardismo. Molti dei presenti l’hanno conosciuto da giovani sardisti e, qualsiasi sia risultato il personale percorso successivo, hanno trovato nella sua persona un referente sempre coerente e insostituibile.

Onestà e intelligenza. Tutti incontriamo degli onesti, talora non intelligenti. E viceversa. “Onesto intellettualmente” è colui che non si nega di fronte alla realtà degli eventi e dei fatti a cui si interfaccia. Li legge, li misura e  li interpreta, agendo di conseguenza, sulla base dei princìpi e di un progetto. Il sardismo rappresenta una storia di riscatto rispetto al passato di un popolo per troppo tempo assoggettato, intende impegnare i migliori tra i suoi uomini nella corretta amministrazione di quanto è reso possibile dalle istituzioni autonomistiche, avendo sempre presenti che esse non sono quelle che erano state richieste e alle quali si ha diritto, ma solo in quanto anticipatrici di quelle nuove, più complete e mature.

Nel bel volume che ci fa da guida in questo convegno l’esemplarità di Luigi Oggiano viene messa in risalto da tutte le testimonianze. In articoli di giornali qualcuno – in considerazione della sua sensibilità e disponibilità verso le persone povere, umili o comunque modeste, l’ha definito un ‘santo laico’. Così questo grande evento che è stato il sardismo ha i suoi santi, come pure ha i suoi martiri: il già citato Efisio Melis trafitto con il bambino tra le braccia dalla punta del gagliardetto di un fascista (26 novembre 1922) e il giovane sindacalista sardista Peppino Contu di Mamoiada, eletto da poco segretario della Camera del lavoro, la Cgil di Nuoro, ucciso nel 1946 da attivisti comunisti, in odio al sardismo.

 

4. Arriviamo all’oggi. Viviamo un presente difficile, per la pandemia da covid e per una condizione economico-sociale bloccata da quarant’anni nei vari campi dell’economia (industria? Quale industria? Quella ‘chimica verde’ che vuole riempire di cardi le  nostre terre?); quale turismo (del modello Costa Smeralda peggiorato con i katarini? Quello di massa a Villasimius? Il sardo modello di Dorgali?); quale ambientalismo? E poi si ripropongono in continuazione gli identici problemi: dei trasporti, dell’energia, dell’istruzione, del reddito da lavoro …

Il coraggioso e prezioso impegno di un giornalista, Mauro Pili, ha definito colonialismo ecologico quello che ci viene proposto dal ministro del presente governo Cingolani: la Sardegna occupata a immagazzinare l’energia del suo sole e del suo vento per nutrire le immacolate sponde dell’altro Tirreno. Abbandonati o servi, ci tocca vivere entrambe le condizioni. Cittadini d’Italia al servizio delle forze armate di tutt’Europa, e cortile da coltivare secondo le convenienze della Penisola attraverso le immutabili decisioni esterne.

E’ vero o è falso? E se, come io resto convinto e credo, fosse vero, che si fa? Cosa fa un sardista, un qualsiasi sardo intelligente e onesto? Cosa avrebbe detto e fatto Luigi Oggiano?

Tutti attendiamo l’esito delle intense trattative tra Cagliari e Roma. Leggiamo di proposte – il sindaco di Porto Torres – di auto-convocazione di tutti i sindaci sardi.  Nel caso, dovremmo appoggiarli. Logica richiederebbe che la questione non venga chiusa senza i necessari passaggi in un pubblico dibattito istituzionale al livello più alto. E poi noi, i cittadini, la società. Possiamo restare a guardare di fronte ad una decisione incombente di tanto peso? Noi, i pronipoti di coloro che hanno conosciuto e subito la legge delle chiudende (con la rivolta de ‘su connotu’), le decisioni della distruzione dei boschi per costruire le ferrovie, della scelta governativa  a favore del Nord industriale a spese dell’agricoltura al Sud Italia, della rapina dei materiali della regione più ricca di minerali in Europa (la Sardegna), delle appropriazioni della ricchezza e del lavoro delle campagne da parte dei caseari romani, della colonizzazione petrolchimica cui si aggancia e continua quella della grande parte del turismo. Noi ora sappiamo in anticipo. Ritorna la domanda iniziale, nella sera in cui l’autonomia è intelligenza che sa e capisce, unita al coraggio di farci carico delle scelte conseguenti: perché non possiamo non dirci sardisti …

O, al contrario: lasceremo fare, per lamentarci dopo? E siamo sicuri che, se passa questo, poi non ci portino pure le scorie nucleari? In fondo la logica è la stessa.

A Bitti la popolazione ha promosso un comitato che, con l’amministrazione comunale, presidierà il territorio occupandolo in caso di installazione non consentita di pali eolici.

 

5. Conclusioni provvisorie. La situazione non è facile né semplice. Come possono venire bloccate delle decisioni che arrivano nell’urgenza della disponibilità dei finanziamenti europei, con il ricatto del bastone (deroghe alla Costituzione, l’inganno dell’ambientalismo imposto, minaccia …. ) e della rappresaglia (non ci sarà certo l’olio di ricino, ma la nostra dipendenza può renderci ricattabili in altri modi …), all’inizio delle feste natalizie, nel timore di una ripresa importante della pandemia.

Il Partito Sardo d’Azione del presente vede il suo segretario nel ruolo di presidente della Regione Autonoma della Sardegna. Dopo i due anni che hanno riempito la grande parte della metà del suo mandato, è l’ora della ‘ripresa e della resilienza’, e pure della possibilità di realizzare i punti essenziali del suo programma. Il PSd’Az ha disponibile il più numeroso gruppo consiliare e rappresenta potenzialmente il più organizzato partito di massa. Ci troviamo in una fase cruciale nella scelta di un partito-comunità al servizio del Popolo  Sardo.

Quel comunitarismo, che rappresenta nei paesi anglosassoni il punto più avanzato delle riforme sociali, contiene per noi un messaggio capace di animare la migliore azione politica e la resurrezione dei nostri paesi. La soggettività insita nell’impegno politico è in grado di rinnovare e offrire senso all’impegno dei giovani nei confronti del bene comune. Comunità di cultura e di storia, di economia e di società, di vita presente e di destino. I sardi consapevoli non possono non dirsi sardisti. E proprio il sardismo rappresenta la risorsa per momenti come questi. Tant’è: siamo qui riuniti per riflettere e ispirarci all’esempio di un homine, un militante, un combattente dell’ideale della libertà dei Sardi.

La comunità all’interno di un popolo libero, ci accomuna, indipendentemente dalla fede professata, al destino di non poter non dirci anche noi ‘cristiani’. Del resto, nell’implicita antropologia del sardo, non diciamo ‘issu est unu cristianu’, contrapposto a ‘non est un animale’?

Più di millesettecento sardi hanno perso la vita nella guerra contro la malattia. Molti, troppi sono caduti nella battaglia combattuta negli ultimi due anni. Un riserbo naturale, collegato all’opportunità di preservare la vita privata dei parenti, impedisce generalmente di conoscere i nomi di persone, soprattutto anziani, che hanno subito la pena del distacco dai propri affetti, il dolore per l’impossibilità di avere l’ultimo abbraccio delle persone care.

Sembra ripetersi il destino delle migliaia di giovani le cui vite – fatte di nomi, corpi, affetti – andarono perdute nella terra di nessuno della Prima Guerra Mondiale. Allora quel “mare de dolore” provocò la reazione che spinse tanti giovani ad organizzarsi perché non si ripetesse quella carneficina, e perché tutto quel sangue fosse lievito di resurrezione di un popolo misero e calpestato. Luigi Oggiano ed i suoi amici fraterni fondarono il Partito Sardo d’Azione al fine di ottenere, con l’autonomia, istituzioni proprie. Attraverso di esso si organizzarono nella cooperazione economica e per la libertà di commercio, chiesero che le risorse della terra di cui erano i naturali ‘sovrani’ venissero destinate per il proprio benessere. In questo senso i  Sardi si considerano un po’ tutti dei Sardisti e si augurano che nella politica, nella cultura, nella società e presso le istituzioni prosegua l’iniziale disposizione al rinnovamento continuo di più giusti assetti per la  Sardegna.

 

 

Condividi su:

    Comments are closed.