COVID, QUARTA ONDATA IN EUROPA, di Alessandradra Muglia e Irene Soave

I Paesi centro-orientali stanno affrontando un tasso di infezioni tre volte quello dell’Italia durante il picco. In Polonia i casi raddoppiano ogni settimana. LA SARDEGNA è L’UNICA ZONA VERDE.

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Entro marzo 2022, ha stimato ieri l’Oms, due milioni di europei saranno morti di Covid-19. La proiezione (che comunque comprende anche Russia e altri Paesi extra-Ue dell’area) è cupa; ma la distribuzione dei nuovi morti — e dei nuovi contagi — non è per ora uniforme. Non lo è, del resto, l’aderenza alla campagna vaccinale. Il 66% di media Ue (popolazione vaccinata con almeno due dosi) tiene conto dell’88% del Portogallo e del 24% della Bulgaria. E così il tasso di contagi giornalieri ogni milione di abitanti, discrimine che ha spesso deciso lockdown e coprifuochi nel continente — a quota 800 Boris Johnson chiuse tutto in Regno Unito —, cresce a razzo, soprattutto in Europa centrale e orientale. In Ungheria è a 870. In Croazia a 1.106. In Olanda e Belgio a 1.160. In Austria, dove si è tornati in lockdown, a 1.500, e così in Repubblica Ceca. In Slovacchia a 1.800. Numeri mai registrati prima, e a cui non tutti i governi rispondono più con politiche di contenimento e controllo dell’epidemia.

Lo ha fatto, ritrovandosi subito 40 mila no-vax in piazza, il governo austriaco. Da lunedì e fino almeno al 13 dicembre il Paese è in lockdown, dopo che una restrizione dei movimenti solo per i non vaccinati non ha rallentato i contagi, raddoppiati in poco più di una settimana. Le terapie intensive sono, scrive il quotidiano Kurier, «vicine al collasso». I danni economici del lockdown saranno così ingenti che il governo aveva incaricato una commissione di salute pubblica di quantificare l’impatto economico di un «bonus» di 500 euro da elargire ai non vaccinati per convincerli. Sarebbe costato meno di un lockdown. Eppure il movimento dei no-vax austriaci, secondo il ministro degli Interni Nehammer, «è sempre più radicalizzato e furioso». Succede lo stesso in Belgio e nei Paesi Bassi, dove i laboratori analisi non accettano più tamponi perché troppo pieni.

Il Belgio è alle prese con un nuovo picco: 16 mila contagi al giorno, e persino il premier De Croo è in isolamento (dopo avere incontrato l’omologo francese Jean Castex, anche lui positivo). Nei Paesi Bassi ci sono 20 mila contagi al giorno. Lo scetticismo per i vaccini in Europa sembra riunire più frange ideologiche. Una componente però è tipica dell’ex blocco sovietico. Uno studio pubblicato ad aprile da un ricercatore della London School of Economics, Joan Costa-i-Font, mette in diretta relazione la scarsa aderenza alla campagna vaccinale nell’Est con l’abitudine «a diffidare delle istituzioni pubbliche sviluppata durante il comunismo».

Molti governi dell’area cavalcano questo sentimento. In Ungheria il presidente Orbán ha detto che «valuterà» nuove restrizioni dopo una supplica dell’ordine dei medici. I contagi sono 10 mila al giorno, vicini a un nuovo picco.

In Slovacchia, — rt 1,8, il peggiore del mondo — il premier Eduard Heger sta «valutando approfonditamente» un lockdown di tre settimane come nella vicina Vienna. La cautela, incomprensibile con 1.800 contagi al giorno per milione di abitanti, è dovuta alla resistenza che nella popolazione, vaccinata appena al 42%, trovano le misure anti-Covid. Lo stesso ex primo ministro Robert Fico, ancora popolare, non si vaccina e va ai cortei dei no-mask. In Repubblica Ceca, che la settimana scorsa riportava 22 mila nuovi casi al giorno, il 70% è tra i non vaccinati. In tutta la Slovenia, alle porte dell’Italia, ogni due tamponi uno è positivo e restavano liberi, a ieri, appena otto posti in terapia intensiva su una capacità massima di 288. La cronica arretratezza e scarsità di risorse nella sanità dei Paesi dell’Est aggrava l’emergenza.

In Polonia i casi raddoppiano ogni settimana con scarse misure di contenimento. Il ministero della Salute ha iniziato a preparare contromosse, ma le autorità sono divise tra campagne pro-vaccino e ammiccamenti agli scettici. Il governo di Mateusz Morawiecki è arrivato a promuovere una lotteria nazionale. Ma dall’altra parte il presidente Andrzej Duda si è detto contrario al vaccino obbligatorio e ha voluto far presente pure di non aver fatto l’antinfluenzale.

Ma le ultime in Europa, sui vaccini, sono Romania e Bulgaria, dove si concentra una parte della filiera produttiva della Ue e che è quindi difficile «confinare» fuori dalla libertà di movimento prevista dalle regole europee.

I nuovi contagi a Bucarest e dintorni hanno superato il picco il 22 ottobre, ma gli ospedali e i duemila posti letto in terapia intensiva sono ancora tutti occupati e gli obitori non sanno più dove mettere i cadaveri. In Romania meno del 36% degli abitanti è vaccinato; in campagna i tassi di immunizzazione sono metà che nelle aree urbane, complici l’influenza dei leader locali e la disinformazione che dilaga sui social. «Guardate la realtà», ha ammonito il colonnello Valeriu Gheorghita, medico dell’esercito che gestisce la campagna di vaccinazione. «Abbiamo le unità di terapia intensiva piene, centinaia di morti al giorno. Oltre il 90% dei pazienti che sono morti non erano vaccinati». Di fronte alla crisi, il capo dello Stato Klaus Iohannis ha nominato premier il generale Nicolae Ciuca, che guiderà un governo di unità nazionale, con i due blocchi rivali storici, i liberali e gli ex comunisti sovranisti, per la prima volta insieme. Messa persino peggio è la Bulgaria: i decessi per Covid restano 20 volte quelli dell’Italia, 8 volte quelli della Germania. Il Paese meno vaccinato d’Europa (lo è solo un abitante su 4) ha la mortalità pro capite più alta al mondo: la malandata sanità pubblica ereditata dalla dittatura comunista è allo stremo. Ora la lotta alla pandemia è la priorità delle forze filooccidentali al potere che hanno scalzato l’uomo forte Borissov. Il vento che soffia da Est è minaccioso: la vicina Ucraina ha contato ieri 800 morti in 24 ore, la Russia 1.200. In Europa, per l’Oms, il Covid è la prima causa di morte.

Il corriere della sera, 23 novembre 2021

 

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