Epidemia e società, dopo…, di Andrea Mereu

 

Virus, pandemie, green economy, geopolitica. Quale evoluzione ci si prospetta?

È una domanda che mi pongo con perseveranza quasi ossessiva.

L’analisi predittiva degli eventi appare come una scienza da fattucchieri. Una resa alla filosofia dei cigni neri. Eppure questa catarsi globale che sembra non risparmiare neppure il più disincantato degli individui, impone nuove regole, scenari cosiddetti “innovati”.

Meta, l’ultima, controversa invenzione di Zuckerberg, s’innesta proprio in questa crisi oggettiva di senso generata dai postumi social del Covid. Meta promette, infatti, di sconvolgere ulteriormente la realtà virtuale rendendola omologa di quella fisica. Una sorta di aldilà metafisico ove fare di se stessi un “avatar” integrale. Non è stato un caso se, nei recenti anni di pandemia (sì anni, ormai, giacché ancora nessuna fine dell’emergenza è pronosticata e il terzo inverno non promette soluzioni risolutive) ho letto e riletto il romanzo di Lawrence Wright, “Pandemia“.

Pubblicato nientemeno nel 2019, cito la didascalia, “si parla di quarantena, epidemia, coronavirus, curva di mortalità. È il racconto della diffusione letale del virus Kongoli e di come un team di detective medici guidati dal virologo Henry Parsons conduca, a partire da Giacarta, una corsa contro il tempo per cercare di fermare il contagio e trovare un vaccino” . Quasi una premonizione da parte di un premio Pulitzer celebrato per la sua fama di studioso inappuntabile.

Lawrence pone diverse questioni ponderose che non promettono rose ai balconi dell’uguaglianza: «Possiamo cambiare riuscendo a mantenere le nostre democrazie?».

Posto che una pandemia impedisca al normale processo democratico di svolgere appieno le sue funzioni, all’orizzonte immediato non s’intravvedono scelte che limino tale distacco riportando il dialogo entro i limiti consueti fra diritto alla salute e rispetto delle libertà.

Anche il Green Pass palesa tali lacune. Poiché l’estensione diventa una norma non praticabile senza rendere sindacabile la sovranità del popolo.

Lawrence in tal senso è ancora più lapidario: «A volte avere un’unica voce al comando è la soluzione migliore». Un’altra predizione su quanto – per esempio- accade in Italia, ove con Draghi al potere pare essere stata trovata la panacea agli umori avversi di un Paese che mal sopporta la figura del leader incontrastato.

Ci aveva provato Conte, riuscendovi parzialmente, fino a quando non è apparso chiaro agli stessi governanti che l’indole del conducente ballava pericolosamente sul filo dell’ego e la situazione fosse ben oltre la soglia di crisi.

Perciò i corrispettivi costituzionali fuggono ancora a qualsiasi dottrina politica e la sola Cina ha mostrato, sempre secondo Lawrence, di possedere le carte per contrastare la forza dilagante del virus. Omettendo, secondo prammatica, di considerare quanto la Cina attuale sia moralmente lontana dalla poieis occidentale. Spereremmo allora di avere tutti le risposte all’uopo.

E a tal proposito una personale l’avrei. Volgersi indietro. Alla norma culturale occidentale che ha reso il continente un catino inarrivabile di genio e industriosità. Ma quanto lontani siamo dai sottili equilibri che rendano la vita ordinaria quel luogo reale ove riversare le proprie elegie emotive divise fra contatti e relazioni, consuetudini, tradizioni, sentimenti e passioni?

Londra per esempio cambia veste, muta, si trasforma a una velocità doppia rispetto al resto del Paese. Abbandona il glamour delle firme ed esplora le possibilità di diventare quel modello di città globale, ecosostenibile, propulsore del grande progetto futuribile del neo umanesimo. Il paganesimo dell’innovazione che esalta l’uomo nell’accezione più superficiale. Ossia il “vivere bene”.

Stiamo diventando la società che celebra il mondo, omette il passato, punta diritta alla luna, ignorando la cancrena che divora il dito. Andrea Mereu

L’Unione Sarda, 18 novembre 2021

 

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