Quando il figlio di Marietta ritorna a casa, di Paolo Carta

Certi fatti possono accadere soltanto in una piccola comunità, in un paese dove tutti si conoscono, si rispettano, si aiutano come in una grande famiglia. Questa è la storia di una donna, Maria Muccelli, per tutti zia Marietta, classe 1925, morta nel 2015 all’età di 90 anni. Se n’è andata con un cruccio nel cuore: non aver rivisto un figlio, il suo primogenito, che aveva consegnato all’ostetrica subito dopo averlo partorito sui monti di Burcei il 21 ottobre del 1951. Ed è anche la storia di un uomo di 70 anni, Harold Gregory Timothy Smith, per tutti Gerry, che dieci giorni fa è tornato a Burcei dagli Stati Uniti, Galley, New Mexico, con pochi documenti e una speranza: consegnare di persona una lettera a quella mamma che non aveva mai conosciuto e che sperava di poter abbracciare. Il ritorno Alla fine Gerry quella lettera l’ha letta, in lacrime, ai quattro fratelli Isidoro, Luigia, Graziella e Paolo Malloru, tutti più piccoli di lui, nati dal successivo matrimonio di Marietta. La famiglia, una meravigliosa famiglia, si è riunita grazie all’aiuto e alla sensibilità del sindaco Simone Monni e dell’impiegata dell’anagrafe Rita Zuncheddu, che quando ha visto arrivare il settantenne statunitense in Municipio per chiedere l’estratto di nascita, ha subito capito da una certa aria di famiglia che chi aveva di fronte era quel bambino nato tanti anni prima a Burcei e sparito nel nulla, perché in paese in tanti sapevano di quella storia. Così ha guardato in cielo e ha pensato: «Zia Mariedda, t’appu torrau a fillu tuu». La madre A raccontare questa che sembra una favola sono proprio i fratelli di Gerry, riuniti nella casa di Marietta, in via delle Ciliegie. «Noi sapevamo che nostra madre all’età di 26 anni, prima di sposarsi, aveva avuto un figlio. Ma ne aveva parlato solo con qualcuno di noi, soprattutto con Fiorangela, nostra sorella più grande, morta diversi anni fa. Si era confidata con lei, le aveva raccontato del suo grande dolore: “Ero troppo povera”, le aveva detto, “non ero sposata, ho pensato al bene del bambino e l’ho affidato all’ostetrica subito dopo averlo messo al mondo. Qualche settimana dopo me ne sono pentita, sono andata a cercarlo a Cagliari, al brefotrofio. Mi hanno detto che non c’era più. Non ho mai smesso di pensarlo, mi sono preoccupata per lui come solo una madre può farlo. Dove sarà? Starà bene come stanno bene gli altri miei figli?”. Il parto Per capire meglio questa storia è necessario fotografare la situazione. Ci aiuta Luigia Malloru: «Anni Cinquanta, dopoguerra, Maria, nostra madre, apparteneva a una famiglia molto povera: non è mai andata a scuola, aiutava in casa andando sui monti ad accudire il bestiame, a raccogliere legna, fascine, cercare i frutti del bosco. La montagna era la sua seconda casa. Per questo, ci hanno detto, per partorire quel bambino, nostro fratello più grande, si rifugiò proprio sui monti». Nell’orfanotrofio L’ostetrica ha poi registrato il bambino all’anagrafe di Burcei, come risulta dai documenti, con il nome di fantasia più scontato: Silvestro Silvestri. Quel bambino, insieme ai coetanei che in tanti chiamavano figli della vergogna, visse nel brefotrofio di piazza Galilei a Cagliari, dalle suore, sino all’età di 4 anni. Poi fu adottato a distanza da una famiglia statunitense: le suore lo accompagnarono con un bel vestito e un documento, il passaporto rilasciato per questo viaggio dal ministero degli Interni, che Gerry porta ancor oggi sempre con sé. Le sorelle della carità misero nelle tasche di quel bambino anche un altro foglio: un atto di battesimo, celebrato “nella chiesa di San Giacomo a Burcei”». L’indizio e la ricerca «A nostro avviso – proseguono Isidoro, Luigia, Graziella e Paolo Malloru – era un indizio in modo che quel bambino, da grande, potesse ritrovare la sua famiglia d’origine. Perché a Burcei non esiste la chiesa di San Giacomo, che si trova invece a Cagliari proprio vicino al brefotrofio». San Giacomo, zona di Villanova: curiosamente dove Gerry e la moglie Tanny hanno alloggiato in un Bed and Breakfast la sera prima di arrivare a Burcei, un altro segno del destino. In paese La piccola comitiva di “forestieri”, Gerry, la moglie e l’interprete, non è passata inosservata a Burcei. Prima di arrivare in Municipio, la mattina del 20 ottobre, qualcuno li ha avvistati e l’ha riconosciuto: quello è il figlio di zia Marietta. «Ha lo stesso sguardo di nostro fratello Isidoro», sorride Luigia ancora commossa. «Era una situazione delicata – spiega dal Municipio Rita Zuncheddu – al di là della vicenda burocratica, c’era l’aspetto umano, il rispetto per la storia di una bella famiglia, di zia Marietta alla quale tutti volevamo bene, la volontà di non violare la riservatezza e di cercare di aiutare le persone». In quel frangente il sindaco Simone Monni si è mosso come se fosse il capo di una famiglia allargata. E dal Municipio è partita la telefonata più difficile: «Volete incontrare il vostro fratello che non avete mai conosciuto?». L’incontro La risposta non era scontata, l’ha confidato poi Gerry: il suo fratellastro adottivo era stato rifiutato anni prima dalla sua famiglia naturale. Lui no, è stato accolto con amore l’indomani, il 21 ottobre: il giorno del suo compleanno, per Gerry è stato il più bel regalo possibile. L’ha detto lui stesso, in inglese, perché l’italiano imparato al brefotrofio l’ha scordato. L’affetto È giusto che quel che è stato detto tra fratelli resti un fatto privato. C’era una vita da raccontare, soprattutto il ricordo di una madre unica, affettuosa, rimasta vedova a 49 anni. Con Isidoro, Luigia, Graziella e Paolo Malloru c’erano anche le mogli, i figli e i nipoti perché tutti hanno voluto abbracciare il parente arrivato dall’America. «L’abbiamo voluto incontrare nella casa dove mamma ha vissuto sino alla fine, con il suo sorriso e gli occhi celesti. Aveva riacquistato la serenità soltanto quando seppe che circa quindici anni fa si presentò a Burcei una donna americana, la madre adottiva di Gerry, per conoscere il posto dove era nato suo figlio. Le due donne, le due madri, non si incontrarono, chissà per quale motivo. Ma la signora Smith raccontò che Silvestro Silvestri era diventato Harold Gregory Timothy detto Gerry, un affermato psicologo, che si era sposato senza avere figli. Una vita tranquilla e felice, durante la quale non aveva mai scordato quella madre di Burcei». Perché certi amori non finiscono, men che meno quelli tra una madre e un figlio anche se si sono visti solo per pochi minuti. «Nostra madre – proseguono nel loro racconto Isidoro, Luigia, Graziella e Paolo Malloru – è stata sempre segnata dal fatto di aver abbandonato il primogenito e con noi è stata molto severa. Diceva sempre: ricordate che certi errori si pagano per tutta la vita». La lettera Gerry poi è ripartito in America con il cuore gonfio di amore per la famiglia e il paese natio ritrovati e adesso che è in pensione sta pensando di trasferirsi proprio a Burcei per stare vicino agli affetti più cari. «In America non ha più nessuno: i genitori adottivi sono morti. Gli restiamo noi». Prima di andar via Gerry ha promesso che tornerà a Burcei in primavera e ha letto ai fratelli la lettera che voleva consegnare a mamma Maria: «Cara mamma, ti perdono per quello che hai fatto per aver preso la difficile decisione di darmi via. La coppia che ha scelto di adottarmi quando avevo quattro anni viveva negli Stati Uniti e ha provveduto a me, mi ha dato una vita meravigliosa e un’ottima educazione e una famiglia davvero amabile. Ti auguro, mamma, ogni bene e che possa Dio benedire te e la tua famiglia».

 

L’unione  31 ottobre

 

 

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