Guèffusu: alla ricerca di un’etimologia, tra Dante e antico germanico, di Marco Piras-Keller.
Se si guarda in diversi siti che trattino di questo dolce sardo, su guèffu (sing.), i’ guèffusu (pl), – pallottole di pasta di mandorla, zucchero, limone e aromi vari, avvolte in carta velina colorata – anche entro siti a scopo commerciale, viene citato spesso il fatto che in Accabadora (Accabbadòra), Michela Murgia abbia più o meno scherzosamente proposto per guèffu, guèffusu l’etimologia popolare di guelfo, guelfi, in riferimento alla forma quadrilatera delle frange fatte a ritaglio della carta velina che avvolge il dolce. Tali frange hanno una sagoma quadrilatera, a rettangolo, qual è la forma dei merli dei castelli medievali dello schieramento papale, in contrasto con le merlature a coda di rondine dei sostenitori del potere imperiale. Le frange decorative a ritaglio della carta velina multicolore che avvolgono le ‘pallottole’, riprodurrebbero, dunque, la merlatura guelfa dei castelli.
In realtà, dacché ero ragazzo, questa etimologia popolare aveva già corso e dava modo a qualcuno di fare sfoggio di nozioni storiche, a spiegazione del nome di un dolce sardo. Tale spiegazione ci fornì, a me e i miei compagni di una classe elementare, poco meno di 60 anni addietro, anche il mio mastro siciliano di 5a elementare.
Anche in ambito commerciale, varie case dolciarie riportano il nome ‘guelfi’ lasciando da parte il vero nome sardo e adottando la traduzione-reinterpretazione in italiano.
In maniera recisa, dopo avere segnalato la ‘smentita’ da parte della Murgia stessa della ‘giocosa’ etimologia da lei fornita in Accabadora (ripeto, senza tema di smentita, che tale etimologia-reinterpretazione popolare esisteva da prima che nascesse l’Autrice di Accabadora) la voce di Wikipedia ci avverte:
Il nome “Gueffus” è, in realtà una corruzione dello spagnolo “huevos”, che richiama la forma ovoidale del dolce
A parte la ‘corruzione’, di per sé termine poco adatto a una trattazione linguistica, e la forma attribuita al dolce il quale, occasionalmente, può anche tendere all’ovoidale, ma che, piuttosto tende alla sfera, prendo atto anche di questa proposta, metto da parte, e provo a suggerire anch’io qualcos’altro da sottoporre all’attenzione critica di veri specialisti di etimologia.
Antichi dizionari, codici medievali, commentatori di Dante ecc. riportano la parola gueffa e il verbo aggueffare. Molti testi mostrano come gueffa avesse significato di ‘gabbia’, ‘carcere’, talvolta addirittura di ‘bastione’ o ‘sporgenza’, soprattutto nella forma maschile gueffo (nell’Arch. Glott. Ital., per es.).
Nell’Inferno di Dante, canto XXIII, verso 16, troviamo nell’edizione con commento di Vittorio Sermonti:
Se l’ira sopra il mal voler s’aggueffa.
E, nella ‘mitica’ versione di Natalino Sapegno, che, pure, segnala anche l’esistenza della versione poi adottata da Sermonti, troviamo:
Se l’ira sovra il mal voler fa gueffa.
Entrambi attribuiscono a quel aggueffa, far gueffa il senso di ‘aggiungersi’, ‘sovrapporsi’, ‘sommarsi’, ma anche ‘fare matassa’, in fondo la matassa è un filo piegato più e più volte a formare una matassa. Volendo un po’ forzare, il dolce ha la stessa forma di un gomitolo.
Nel suo commento, Sermonti cita a possibile etimologia di ‘gueffa’, ‘aggueffare’ la radice germanica ‘wyffa’. E ‘wyff’ trovo in un dizionario del medio alto germanico con senso di ‘matassa’, ‘avvolgere’ e simili; con tale radice si trovano varie forme antico-germaniche, anche nel longobardo weyf. L’esito nel latino, nell’italiano (e spesso, conseguentemente, nel sardo) di forme germaniche inizianti per W- (semiconsonante) in gua- gue- rientra nella norma: Werr (uer), ‘guerra’, Wisa (uisa) guisa, Wuart (uart) ‘guardia’ ecc.. A parte la ‘normale’ evoluzione fonetica, mi attira il ricorrente significato ‘matassa’ e quello di ‘avvolgere’ per ‘gueffa’, ‘aggueffare’. Mi sembra che la forma del dolce in questione, su guèffu, avvolto nella sua carta, possa richiamare anche la forma di una matassa; sia che in Sardegna la parola sia arrivata dalla breve dominazione germanica dei Vandali, sia che sia arrivata dai dominatori toscani medievali, (in un codice lucchese del 1350, ‘gueffa’ era una unità di misurazione dell’oro e dell’argento e) sia che sia arrivata attraverso il piemontese.
Non sono un etimologista e, pertanto, non voglio fare recise affermazioni, ma mi sembra di potere proporre una alternativa alla fantasiosa e simpatica etimologia di ‘guelfo’. Ma soprattutto, spero di fornire uno stimolo a un etimologista a andare più a fondo nella questione.
Di passaggio, rilevo che nel sardo, probabilmente, c’è molto da indagare su ‘reperti’ del germanico, sia dalla dominazione Vandala (meno ‘vandalica’ di altre, sembrerebbe), sia arrivati con i Romani che, a loro volta li avevano acquisiti dai Germani, più tardi con i toscani e poi con i piemontesi. Alla lista ragionata che fornisce Wagner (La Lingua sarda, 1951) credo si dovrebbero aggiungere altre voci da indagare.
Un’altra voce germanica, arrivata con i toscani pare sia ‘togo’, nell’italiano regionale e anche nel sardo ‘tògu’, che la Sardegna condivide anche perlomeno con certe zone emiliane. Anche per questa parola è stata inventata un’etimologia popolare che rimanda allo sbarco ‘sontuoso’ a Cagliari nell’Ottocento, di un sovrano del Togo, che avrebbe impressionato i cagliaritani.
Luzern, 11.10.2021