Una sfida per il Partito Sardo: come strutturarsi e operare nella società sarda?, di Lorenzo Palermo

Riceviamo dall’Autore, già segretario nazionale del Partito Sardo, e pubblichiamo il suo intervento dello scorso 18.09.2021. Non è necessario richiamare l’importanza di un confronto approfondito su un tema, quale quello dell’organizzazione politica nazionale dei Sardi,  che tocca, in occasione dei cento anni dalla sua fondazione, il futuro di tutti. Invitiamo al dibattito i protagonisti e gli interessati.

ONSIGLIO  NAZIONALE del  PARTITO SARDO D’AZIONE

18  SETTEMBRE 2021

 

Buonasera cari amici Sardisti

Vedo dall’OdG che i lavori riguarderanno soprattutto questioni organizzative interne del partito. Sono le cose che tradizionalmente noi abbiamo sempre fatto all’indomani o comunque subito dopo lo svolgimento del Congresso, ma meglio tardi che mai.

E’ chiaro che nel nostro caso il coinvolgimento integrale del PSDAZ nel governo della Sardegna, immediatamente dopo lo svolgimento del Congresso, ha alterato e ritardato, fino ad un certo punto giustificatamente, la tempistica solita. E’ scoppiata poi l’epidemia di Covid. Ma ci sono appuntamenti che un’ Associazione non può mancare.

Eccoci qui dunque. Va subito detto che bisogna distinguere fra quelle che possono e devono essere narrate come attività di amministrazione della Sardegna e quelle che vanno compiute dentro il Partito, da parte di chiunque ne sia un dirigente. Tutto questo senza inventare nulla, e senza chiedere cose bislacche; soltanto attenendosi ad una tradizione fortissima dentro il PSDAZ, nel quale la dialettica fra Partito ed eletti, partito e amministratori, partito e presidenti della Sardegna è sempre stata esistente, reale e produttrice di effetti.

Si dirà: il tuo è un discorso arretrato, di quando esistevano i Partiti. Qualche giorno fa l’ho detto di me stesso, commemorando a Porto Torres insieme l’amico Madeddu scomparso, e i 40 anni dal Congresso di Porto Torres del 1981; ed inevitabilmente pensando alla ricorrenza dei 100 anni del Partito; ed ineluttabilmente valutando cosa succede nel PSDAZ di oggi. Fai un discorso arretrato, dissi, oggi i partiti sono liquidi, quello che conta è un gruppo dirigente centralizzato, il rapporto con le istituzioni, il potere di fatto: si parla ad una società sondaggiabile, no ai militanti, la  conoscenza è dei dirigenti e la linea politica si apprende dalla televisione e da internet.

In quell’occasioni ribadii che a costo di fare un discorso arretrato questo non era né il partito né l’organizzazione né la società nella quale volevo stare; e che comunque questo non è il Partito Sardo; il quale, può piacere o no alla moda del momento, è un’altra cosa.

Il richiamo alla tradizione non è un esercizio retorico: è qualcosa che noi abbiamo e non ce lo possiamo scrollare di dosso.

Facendo in tal maniera un discorso modernissimo, il più moderno che un partito possa fare oggi in Sardegna, in quanto non riesco ad immaginare nessuna altra forma di tutela politica della Sardegna; ed inoltre perché questa questione del tipo di partito, i Sardisti già se la sono posta, eccome, quando, nei primi anni 90, l’intera organizzazione politico-partitica italiana si sfasciava sotto i colpi della dissoluzione dell’Unione Sovietica e dei magistrati milanesi.

E mentre il vecchio arsenale dei partiti crollava fisicamente perdendo uomini, sedi, proprietà, nomi , simboli ecc., la Sardegna non era sulla luna; e di conseguenza anche il PSDAZ tentava di collocarsi e riqualificarsi all’interno di quanto accadeva, ponendosi appunto il problema del che fare; con la differenza, rispetto agli altri in Sardegna, che per noi la soluzione poteva essere trovata solo al nostro interno, che il dibattito e la crisi non potevano trovare mediazione fuori, ma solo dentro quanto la militanza e la dirigenza sardista avrebbe, a suo rischio – rischio anche di sopravvivenza – stabilito.

Storia che ci portò a confermare la tradizione, che era quella della prevalenza del partito sui singoli, della necessità di avere organismi centrali, organizzazioni territoriali, regole sulla militanza; nonché un chiaro quadro prescrittivo che investisse le questioni sempre vive dell’eleggibilità dei sardisti, della incompatibilità fra le cariche, della fedeltà, almeno formale, allo statuto, e della permanenza o meno nel partito a seguito di determinati comportamenti. L’ABC dell’associazionismo.

Il dibattito sul tipo di Partito (cioè di sardismo) utile alla Sardegna fu di livello tale che il primo ed il migliore, cioè Mario Melis, fu il principale protagonista dell’idea che ormai si dovesse andare verso la liquidità dell’organizzazione, verso la libertà degli eletti, verso la preminenza del gruppo consiliare o parlamentare. Peccato che a tale considerazione egli pensò di pervenire dopo che, nel più formale dei Consigli nazionali, cui egli partecipava e che fortemente volle per diventare presidente del PSDAZ, venne battuto 52 a 48 da un Michele Columbu il quale riteneva che il Partito, al di là delle fortune e delle capacità dei singoli, fosse la base dalla quale non si potesse prescindere: il “PSdAz non è un autobus dal quale si possa scendere quando ti ha portato dove vuoi tu” dirà in una famosa altra occasione.

Cosicché anche l’esperimento del sardismo diffuso dell’ex presidente della regione -esperimento che doveva incoronare i migliori e i titolari di migliori relazioni – si dissolse in quella stagione, mentre il partito, pur in mezzo alle solite mille difficoltà, reggeva, con i suoi simboli ed i suoi dei pagani, mentre tutto intorno il mondo politico impazziva e nomi , simboli e sigle nuove giravano vorticosamente.

Discorso modernissimo, il nostro quindi; e comunque criticatelo quanto volete, ma per noi sardisti è così: c’è il partito e c’è l’amministrazione; c’è l’ideale ispiratore e ci sono le convenienze del momento; c’è chi governa il PSDAZ e c’è chi governa la Sardegna; è sempre stato così è vogliamo che continui così.

Per fare opera modernissima di politica e dare speranza ai sardi, affinché non dicano che tutti i partiti sono uguali. Affinchè, cari amici, si possa dire che le stagioni passano, ma il Partito sardo resta: ambiziosi? Forse. Presuntuosi? Può darsi benissimo: abbiamo la presunzione di essere noi soli i custodi dell’Idea, sempre disponibili al confronto con le altre, ma mai a patto di tradire la nostra.

Ed anche una certa coscienza, direi incancrenita nella cultura del Partito sardo, che mentre giunte, amministrazioni, occasioni di governo passano, Partito ed Idea devono rimanere.

Ma non è presunzione, è coscienza! La coscienza chiara di tutto questo maggiormente deve aversi, perché noi siamo un partito di governo. E quindi più ancora i meccanismi del rapporto fra Partito e amministratori deve essere visto con attenzione scrupolosa, direi maniacale.

Questo ci porta immediatamente all’altro discorso, direttamente collegato all’OdG odierno, che è quello degli organismi e, prima ancora delle regole. Anche qui non possiamo far finta di partire da zero. Anzi la nostra è una tradizione di cocciuta e sempre intransigente creazione di regole statutarie; io ho vissuto le stagioni, perché son state più di una, delle elaborazioni statutarie: perché abbiamo sempre saputo che lo Statuto del PS è una cosa seria; lo sanno tutti, lo sanno anche in prefettura, al parlamento ed alla regione per quanto riguarda l’esposizione esterna dell’ Associazione (regolata dal codice civile italiano e denominata Partito Sardo), la titolarità del simbolo ecc. ecc. Non devo spiegare niente.

Ma lo sanno anche i sardisti per quanto attiene sia al momento della definizione del motivo ideale per il quale essi si associano, sia delle regole che liberamente essi si sono voluti dare. E la nostra tradizione è che alla modifica dello Statuto si sono dedicati, sempre, congressi addirittura straordinari, a volte in doppia convocazione, come è accaduto per il 24° Congresso di Macomer, 8 dicembre 1992, dove si arrivò ad approvare solo l’art.1, il quale è quello con la formulazione esistente, mentre per il resto dell’articolato si dovette convocare uno strascico di congresso, sempre con le garanzie di quest’ultimo, ad Oristano il 13-14 marzo 1993.

Come è accaduto ugualmente per l’ultima modifica dello Statuto in vigore, elaborato e votato a Sassari nel 1998, e nel quale le questioni maggiormente dibattute attennero al numero delle legislature ammissibili .

Ed ogni volta, ve lo assicuro, l’elaborazione avveniva, prima del congresso, sulla base di lunghissime ed estenuanti lavori di commissione, cui partecipava ogni massima componente del partito.

Dopo di che si faceva un Congresso vero, con verifica dei poteri, per approvare il testo. Intorno allo Statuto dobbiamo noi stringerci, intorno all’art.1 (che proclama la nostra differenza eziologica, politica, direi etnica, rispetto al resto dei partiti e dei politici della Sardegna), ed intorno alle regole che lì ci sono. Ed al richiamo di tali regole ogni buon sardista deve rifarsi. Non è inutile infatti chiedere, caro Presidente e caro Segretario, revisioni e controlli sulla regolare tenuta dell’ ABC associativo, dalla consistenza della militanza alla regolarità finanziaria, dalla regolarità associativa, alla corretta composizione degli organismi statutari, centrali e periferici. Abbiamo diritto che si riferisca. Questo per il passato. Per il presente non sarebbe male adottare una tecnologia blockchain cui assoggettare l’imminente nuovo tesseramento, per sottrarre ogni nostra nuova attività associativa a dubbio e contestazioni.

Ciò può essere solo di appoggio all’azione amministrativa e di governo che coinvolge il Partito sardo. Cosa si aspetta un sardo, un imprenditore, uno studente, un professionista, ma anche un operaio o la casalinga di Pabillonis quando vede un sardista che ha la fortuna di arrivare all’amministrazione? Si aspetta che faccia il sardista.

Noi traduciamo questa aspettativa, questa ansia di governo giusto, dicendo che noi chiediamo – a chi ci rappresenta nelle istituzioni – azioni di anticipazione della sovranità che sogniamo; piccoli passi verso un progetto di maggior autonomia, maggior potere al popolo sardo, maggior benessere diffuso, maggior libertà per la Sardegna. Dentro la camicia di forza della legislazione e dei poteri statali, certo, ma con una tensione mai spenta per superarli e sostituirli. Questo ci aspettiamo come cittadini ed elettori, e questo pretendiamo come sardisti.

Il che non può essere assorbito o sostituito dalla semplice buona amministrazione; la buona amministrazione i sardisti dovrebbero farla meglio degli altri, perché sono guidati dalla tensione autonomista che li anima, che li distingue: ma la sola buona amministrazione non ci basta. Vogliamo vedere durante e alla fine del mandato quale maggior autonomia ha conquistato la Sardegna, quali lotte sono state vinte o –almeno – valorosamente combattute. Il 2021 non è solo la ricorrenza dei cento anni del Partito e dei 40 anni del Congresso di Porto Torres cosiddetto dell’Indipendenza. E’ anche il 40° anniversario della morte di Luigi Oggiano. Potrei rievocare altri illustri sardisti, altri valorosi antifascisti e parlamentari. Ma questo è il tempo della modestia, è il tempo dei sardisti umili che fanno il loro dovere, è il tempo di chi ama il Partito ed insieme, in maniera inscindibile i suoi ideali, di chi non si aspetta nessun vantaggio personale dalla politica, di chi desidera solo che il PSDAZ cresca e si rafforzi. Ecco perché richiamo Oggiano, fra gli altri 100 che potrei ricordare. L’uomo che rinunciò al vitalizio da senatore in quanto, avendo egli votato contro in parlamento, certo non poteva ricevere tale vitalizio; che rinunciò alla pensione da Ufficiale dell’esercito poiché, avendo il ministero messo in dubbio le sue ferite di guerra, non tollerava che lo si considerasse uno che non aveva combattuto. Modestia esagerata quando riguardava la sua persona, unita però ad una fermezza ed una durezza incrollabile quando si toccavano questioni di principio. Fu egli a tenere la presidenza del Congresso di Nuoro nel quale il Psdaz definì se stesso (con sacrificio, perdemmo Lussu!) come partito regionale, non marxista, popolare sardo, piccolo, ma necessario alla Sardegna, e grande nella visione del progresso e della libertà della nostra terra. Modestia ed umiltà personale, con la fiamma che arde nel cuore; inflessibilità verso gli ideali. Prego quindi ogni sardista qui presente, ogni componente del consiglio nazionale, di impegnarsi, in questo spirito, per una buona riuscita di questa assemblea. Lorenzo Palermo

 

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