INDEROGABILE UNA RICONVERSIONE ECOCOMPATIBILE A MISURA DELLA SARDEGNA, di Federico Francioni

Premessa – Lo sfondo: le posizioni del Ministero e dell’Enel – Le risposte della Regione e dei Sindacati – La possibile alternativa – Per concludere.


Premessa. Le interviste al ministro della Transizione ecologica Stefano Cingolani ed a Francesco Starace, amministratore delegato e direttore generale dell’Enel (rilasciate a Giuseppe Centore ed apparse su “La Nuova Sardegna” del 9 luglio 2021) vanno esaminate con vigore critico alla luce delle posizioni assunte dalla Regione Sardegna, da dirigenti dei Sindacati confederali e da altri soggetti, tenendo ovviamente nel debito conto gli sviluppi del dibattito da allora in corso. La necessità improrogabile di abbandonare le fonti fossili – come carbone, metano e gas naturale – di ricorrere a eolico e solare, non deve far perdere di vista un nodo essenziale: quanto dichiarato da Cingolani è apparso già gravemente inficiato dalle sue aperture al nucleare, sostenute anche da un altro ministro, Giancarlo Giorgetti (cfr. F. Francioni, La transizione eco-illogica, su questo stesso blog, domenica 19 settembre 2021).

D’altra parte, la prospettiva delineata da un colosso mondiale come l’Enel pone il problema di un futuro in cui sia davvero la società sarda a decidere e non il gigante di turno: da Nino Rovelli alla Saras dei Moratti, dall’Eni all’emiro del Qatar, i quali hanno finora impedito il delinearsi, per la nostra terra, di uno scenario economico-produttivo e socioculturale per davvero autopropulsivo.

Lo sfondo: le proposte del Ministero e dell’Enel. La dimensione in cui vanno inserite le interviste a Cingolani ed a Starace è caratterizzata sempre più drammaticamente da collassi climatici, dalla crescita abnorme delle temperature (sfiorati i 50 gradi durante l’estate in un paese della Sicilia), dallo scioglimento dei ghiacciai, dall’innalzamento del livello dei mari; da questi fattori non si può prescindere nell’affrontare il problema degli incendi che hanno devastato di recente grandi aree del pianeta, per arrivare anche al nostro amato Montiferru, dove danni ancora più gravi sono stati scongiurati dall’intervento massiccio di volontari e popolazioni.

Cingolani, fisico, proveniente dalla tecnologia e dall’innovazione di un grande gruppo come Leonardo, può e deve essere contraddetto senza mezzi termini quando apre al nucleare, ma non quando chiude al carbone ed al metanodotto. Allo stesso tempo, quando egli delinea un futuro verde che renderebbe la Sardegna un territorio all’avanguardia del mondo, è lecito nutrire grossi dubbi sulla volontà dei vertici governativi di offrire un dono siffatto alla nostra isola.

Starace, dal suo canto, guida l’Enel che, con 65 miliardi di euro di fatturato annuo, è presente in 32 paesi, in tutti i continenti e figura ormai fra i principali produttori mondiali di energia da fonti rinnovabili. Quando egli afferma, per esempio, che la centrale di Porto Vesme (Eni) non può, non deve essere riconvertita dal carbone al gas, è ben difficile dargli torto: a parte, s’intende, l’assoluta esigenza di salvaguardare i posti di lavoro esistenti! Il nodo da sciogliere riguarda la logica degli interessi di un potentato come l’Enel in relazione alle esigenze della Sardegna.

Cingolani e Starace intendono trasformare l’isola con una rivoluzione verde imperniata sulle rinnovabili. Nutrire grossi dubbi, formulare critiche in proposito appare più che fondato; per dirne una, i cavi sottomarini per collegare la Sardegna alla penisola potrebbero servire a perpetuare una situazione di locale sovrapproduzione energetica, utile all’esportazione, con i sardi magari costretti a pagare bollette più care che altrove. Per non parlare della possibilità, fatta balenare da “La Nuova”, che nel Tirreno vengano installate pale eoliche poco più basse della Torre Eiffel.

Le risposte della Regione e dei Sindacati. Alle interviste rilasciate da Cingolani e da Starace il presidente della Giunta regionale Christian Solinas ha replicato affermando che occorre puntare soprattutto sull’idroelettrico, mentre l’assessora all’Industria Anita Pili ha posto in risalto l’assoluta esigenza di coinvolgere l’Istituto autonomistico. Nel novembre del 2020, l’esecutivo regionale ha approvato le linee di indirizzo per aggiornare il Piano energetico ed ambientale (cfr. Sante Maurizi, Futuro verde: c’è molto da indagare, “La Nuova” di lunedì 17 luglio 2021): per insediare le rinnovabili, vengono esclusi i terreni con vocazione agricola e zootecnica e quelli serviti dai Consorzi di bonifica; negli invasi artificiali (superficie totale di 120 kmq) saranno invece consentiti “pannelli flottanti”.

Dal canto loro, i dirigenti sindacali hanno contestato Cingolani ed Enel, che vogliono abbandonare il metano ed il gas, decisione che invalida alla radice la possibilità di ripartenza per aziende come Eurallumina ed Alcoa. Si potrebbe replicare al riguardo che, certo, già molto è stato speso per il metano, ma tanto ancora si dovrebbe investire mentre incombono ormai le scadenze sulla fine dell’uso di tutte le fonti fossili. Il rifiuto delle rinnovabili è una posizione sostanzialmente conservatrice: si parte dal giusto principio che occorre difendere i livelli di occupazione a Fiumesanto e Portovesme, mentre si trascura la fondamentale priorità costituita dalla salute degli operai; si dimentica altresì che massicce spese per le rinnovabili creerebbero un numero maggiore di posti di lavoro. Tutto ciò dovrebbe essere correttamente valutato quando si parla di ammortizzatori sociali senza fine per un Sulcis ancora privo di sbocchi.

Regione ed Organizzazioni sindacali non forniscono alternative credibili. In particolare, siamo ben lontani dai tempi in cui la Federatzione Sarda Metalmecànicos si dotava di un suo piano per un’industria sarda diversa, da opporre alla crisi ed allo sfascio della petrolchimica; si ricordi inoltre l’importanza della mobilitazione generale confluita nella Marcia “Pro su traballu” del 1979.

Rimane il nodo essenziale: la società sarda potrà svolgere un ruolo da protagonista nel passaggio ad un futuro ecocompatibile, reso inderogabile da un presente di degrado ambientale di fronte al quale, con diverse gradazioni di responsabilità politica, la tendenza è quella di voltarsi dall’altra parte?

La possibile alternativa. C’è voluta addirittura una pandemia per rompere il persistere, pressoché quarantennale, delle sciagurate politiche del liberismo selvaggio, ispirate dai Chicago Boys, condotte in primo luogo dalle Amministrazioni di Ronald Reagan e Margareth Thatcher e seguite anche dall’Unione europea. Una svolta è stata rappresentata dal progetto Next Generation dell’Europa, subito rinominato Recovery Plan.

Si sono già aperte dispute e lotte per la spesa di fondi imponenti. Le lobbies sono già in azione. Ad un quadro in cui i passaggi indispensabili, sul fronte energetico ed ambientale, potrebbero essere guidati, o falsati e depistati, da colossi e monopoli, bisogna rispondere con la mobilitazione delle nostre risorse, di saperi e capacità di cui disponiamo per una riconversione che – non ignorando eventuali possibilità e chances offerte dall’alto e dall’esterno – parta soprattutto dal basso, dai territori e dai Comuni. Secondo quanto ha delineato l’economista statunitense Jeremy Rifkin – che il compianto medico-radiologo ed ambientalista Vincenzo Migaleddu voleva invitare in Sardegna – occorre pensare ad un futuro non lontano in cui, dal punto di vista energetico, le popolazioni diventino autosufficienti senza dipendere da giganti come l’Enel. L’utopia di oggi può diventare la realtà di domani.

La Sardegna ha già da tempo cominciato a sviluppare una sua agricoltura biologica; è una terra ricca per patrimonio ovino, bovino, suino, caprino ed equino; nel mondo agropastorale si sono manifestate energie nuove, assai positive; sul piano più latamente imprenditoriale non sono mancate forze di giovani ed anche di donne provviste di intelligente operosità, nonché della capacità di guardare al futuro (cfr. l’intervista di Paolo Mugoni a Gianuario Falchi sulla rivista “Camineras”, n. 7, 2020).

Per concludere. Le forze che fanno riferimento allo schieramento che possiamo schematicamente definire sardista e indipendentista, quelle ambientaliste, una sinistra che sia davvero tale e non compromissoria, autonomisti sinceri, federalisti, tutti devono – anzi tutti dobbiamo – assumere piena consapevolezza dell’estrema gravità del momento dal punto di vista climatico e ambientale. Credenti e non credenti, tutti possiamo seguire la parola esemplare di papa Bergoglio in Laudato si’.

La necessità di una radicale riconversione produttiva e socioeconomica – in chiave ecocompatibile – non può essere scissa dalla difesa, dalla salvaguardia, dalla valorizzazione del nostro patrimonio archeologico, storico, artistico e linguistico. Ogni terra del mondo, con le proprie risorse, con la propria identità – che non è una parolaccia, contrariamente a quanto hanno lungamente cercato di farci credere accademici, intellettuali “ufficiali” e giornalisti allineati – è qualcosa di unico, di non intercambiabile, di non mercificabile: è, in un certo senso, qualcosa di sacro, come la vita umana della singola persona che, una volta scomparsa, non si può sostituire. Dobbiamo tutti impegnarci per il futuro e la salvezza della nostra isola: solo così daremo un contributo per evitare l’Apocalisse incombente su tutto il Pianeta. Se ci faremo guidare sia da progetti concreti, sia dai principi di speranza e di responsabilità, avremo la possibilità di riuscire nella lotta contro l’estinzione della specie umana.

 

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