LA TRANSIZIONE ECO-ILLOGICA. I MINISTRI CINGOLANI E GIORGETTI INVOCANO IL RITORNO AL NUCLEARE: QUALE RISPOSTA DALLA SARDEGNA?, di Federico Francioni

SOMMARIO. Scelte ed esperienze inequivocabili che sembrano passate invano – Psicologia di massa e accettazione della violenza – Decenni di lavori per costruire una centrale nucleare – Unanimismo filonucleare dalla destra al centro e alla pseudo-sinistra – Quello che lorsignori e i giornaloni connessi al potere economico non ci dicono – La Sardegna ancora una volta nel mirino – Conclusioni: quale alternativa?

Scelte ed esperienze inequivocabili che sembrano passate invano. Per indurre i fanatici del nucleare a desistere non sono stati sufficienti due inequivocabili rigetti di questo tipo energia – presunta pacifica e “pulita” – da parte della società civile; prima col referendum abrogativo del 1987 (che raccoglieva l’80% dei consensi), poi con quello consultivo, in ogni caso carico di inequivocabile significato politico, svoltosi in Sardegna nel 2011: su 1 milione e 479.000 aventi diritto, votavano 877.982 elettori, pari a quasi il 60%, che si esprimevano al 97% contro il nucleare e lo stoccaggio di scorie radioattive nell’isola (nodo tornato recentemente d’attualità). Il referendum era stato voluto soprattutto da Sardigna Natzione Indipendèntzia.

Ma anche i solenni, terribili moniti provenienti da Three Miles Island, da Chernobyl, da Fukushima sembrano essere passati invano. Per non parlare degli incidenti nelle centrali nucleari francesi, ben occultati e minimizzati da un potere politico che, di fatto, deve trasformare in zone militarizzate le località dove si produce energia derivante dall’atomo.

Quante menzogne ci hanno raccontato i feticisti dell’idea di progresso, posta criticamente in discussione perfino dagli illuministi che pure al progresso credevano sinceramente! Imperterriti, Stefano Cingolani – indicato da Beppe Grillo come ministro della transizione in questo caso “eco-illogica” (il termine è stato coniato da Luca Mercalli) – e Giancarlo Giorgetti (titolare del dicastero dello Sviluppo economico) aprono, ancora una volta, ad un futuro nucleare. Di fatto, hanno gettato la maschera.

Psicologia di massa e accettazione della violenza. Com’è stato possibile, dopo Hiroshima e Nagasaki, localizzare in Giappone, in un’area complessivamente ad alto rischio geologico, questo tipo di impianti? Bisogna indubbiamente risalire alle responsabilità dei ceti dirigenti non solo nipponici ma, per capire fino in fondo l’imposizione di un determinato sistema in vari paesi, occorre risalire a meccanismi psicoanalitici di massa, all’accettazione più o meno passiva della violenza, come del resto venne lucidamente indicato da Wilhelm Reich – che indagava sulla psicologia di massa del nazifascismo – e, in tempi più recenti, dal sociologo e filosofo francese Pierre Bourdieu.

Decenni di lavori per costruire una centrale nucleare. In Finlandia, la data di ultimazione dei lavori – per realizzare un reattore “innovativo” EPR da 1.600 megawatt – è slittata dalla fine del 2009 alla seconda metà del 2012, quindi al 2018. Il costo del contratto con la tedesca Siemens e la francese Areva è lievitato dagli iniziali 3,2 miliardi di euro a 5,3 mld già nel 2009, per arrivare in seguito a 8,5 ed oltre, se è vero che il probabile avvio dell’impianto è previsto per il 2022! Ma non basta: a quella che dovrebbe essere la quinta centrale finlandese dovrebbe aggiungersene una sesta!

Unanimismo filo-nucleare dalla destra al centro e alla pseudo-sinistra. Negli anni in cui fu presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi tentò di rilanciare la prospettiva nuclearista, unitamente alle grandi opere come il ponte sullo stretto di Messina, dove, nel 1908, un terremoto e uno tzunami causarono tra le 80 mila e le 120 mila vittime.

Quando, nel 2015, scomparve Giovanni Berlinguer, medico, scienziato, parlamentare, ben pochi ricordarono il suo impegno per la fondazione, nel 1979, della Lega per l’ambiente, nonché la sua scelta esplicita contro il nucleare. Nel 1987, tuttavia, una mozione antinucleare, pur risultata maggioritaria nei Congressi provinciali, venne respinta per 17 voti dal Congresso nazionale del Pci. Poco dopo, sempre nel 1987, si verificò il disastro di Chernobyl, pronto a smentire i “modernisti” e tutti coloro che – dalla destra al centro ed alla pseudo-sinistra compromissoria – raccontavano fandonie sul nucleare.

Quello che lorsignori e i giornaloni connessi al potere economico non ci dicono. Questi fondamentalisti, condizionati da una falsa idea di scienza, nonché dalla “modernizzazione” (buona per i cervelli pigri), pronti a qualificare come oscurantisti gli oppositori, insistono sulla sicurezza e l’efficienza degli impianti chiamati di II e di III generazione. Cingolani guarda con fiducia agli impianti di IV generazione: peccato (si fa per dire) che occorrerà come minimo un decennio prima di averne uno in funzione. In effetti, gli impianti cosiddetti di IV generazione sono tutt’altro che nuovi.

Dal suo canto, Giorgetti ha fatto prontamente da sponda al suo collega, affermando che bisogna avere fiducia nella scienza e non solo a parole. “Parlavo da scienziato”, ha detto in seguito Cingolani, cercando appigli e giustificazioni, ma senza fare realmente marcia indietro.

Anche i più importanti organi dei mass-media, in prevalenza, poco o nulla hanno fatto per informare correttamente i lettori sulla posta in gioco.

In Giappone, nel frattempo, sono stati riattivate solo 9 centrali nucleari, fra le 54 esistenti prima dell’inaudito disastro di Fukushima che, fra l’altro, ha provocato il rilascio nel mare antistante di materiali radioattivi, in grado di attraversare gli oceani e, dunque, di arrivare dappertutto.

Sempre in Giappone, nel 2010 è stato effettuato un altro tentativo – fallito – di rimettere in funzione il Monju, reattore autofertilizzante veloce al plutonio; “nel dicembre del 1995, il malfunzionamento di un banale sensore di temperatura ha causato una perdita di 700 kg di sodio liquido e una violenta esplosione, esattamente come previsto dai molti oppositori del progetto” (Plinio Innocenzi, L’incerta strada del nucleare, su “La Nuova Sardegna” dell’8 settembre 2021). In questo articolo – dal titolo redazionale ambiguo o mellifluo, ma dal contenuto abbastanza netto – Innocenzi, docente nell’Università di Sassari, spiega come “il sodio, se si raffredda allo stato metallico a contatto con acqua, sia un potente esplosivo e gestire il raffreddamento di un reattore nucleare, che di per sé è un sistema instabile, con un liquido di questo tipo implica una serie di rischi potenzialmente molto elevati”. Una lettera a Cingolani ed a Giorgetti per elencare e spiegare questi dati sarebbe pressoché inutile: dalle loro orecchie lorsignori non possono, non vogliono sentire alcunché.

La Sardegna ancora una volta nel mirino. Il nucleare, purtroppo, torna d’attualità anche e specialmente per l’iter che dovrà essere intrapreso dalla Sogin, la società incaricata di gestire lo smantellamento degli impianti e l’individuazione dei siti per la collocazione dei rifiuti radioattivi. Nella nostra isola sono stati individuati vari Comuni potenzialmente adatti a ricevere determinati materiali: Mandas, Siurgus Donigala, Nurri, Albagiara, Assolo, Mogorella, Siapiccia, Usellus, Villa Sant’Antonio, Genuri, Gergei, Guasila, Las Plassas, Nuragus, Ortacesus, Pauli Arbarei, Segariu. Setzu, Tuili, Turri, Ussaramanna e Villamar (si veda ancora “La Nuova” dell’8 settembre 2021). Oltre ai problemi dello spopolamento, dovremmo, grazie a lorsignori, affrontare quello della pattumiera nucleare, da sommare ai lasciti degli insediamenti industriali e militari inquinanti, secondo la geografia ben individuata dal compianto medico radiologo ed ambientalista Vincenzo Migaleddu.

Oltre che in Sardegna, altri siti come potenziali depositi di scorie sono stati individuati in Piemonte, Toscana, Lazio, Basilicata, Puglia e Sicilia.

Il percorso della Sogin si concluderà il 24 novembre di quest’anno; il 15 dicembre saranno resi noti gli atti finali; dopo, la parola definitiva spetterà al governo centrale. Il deposito, destinato ad occupare terreni per 150 ettari, costerà 900 milioni di euro e dovrebbe essere ultimato in 4 anni.

La Sogin si servirà come persuasore di Philippe Dallemagne, sindaco di Soulaines-Dhuys, nella Francia del Nord (regione dell’Aube, terra di champagne). Presso gli amministratori locali, egli farà l’apologia della valanga di soldi ricevuti dello Stato francese per restauri di strade, chiese, edifici, una casa di riposo e quant’altro, onde “ricompensare” il borgo per la costruzione di un deposito in grado oggi di accogliere 300.000 metri cubi di immondezza nucleare.

Conclusioni: quale alternativa? Nell’appuntamento di mercoledì 15 settembre a Roma, presso il Ministero della transizione ecologica, voluto dal presidente Christian Solinas per discutere del futuro energetico della Sardegna, si sono confrontati Regione, Governo, Enel, Terna, Ep, Snam, Saras, Italgas ed altri soggetti. Sarà indispensabile tornare su questo incontro. Occorre precisare da subito, al riguardo, che una vera e propria riconversione produttiva in chiave ecocompatibile non può di sicuro venire da monopoli e colossi presi dalle logiche privatistiche ed attenti ai loro profitti, non in grado di programmare e realizzare progetti a misura della dimensione sarda. Un passaggio alle rinnovabili non può comprendere il gas ed il metano, cioè risorse fossili, ma deve puntare decisamente su eolico e solare, evitando accuratamente i megaimpianti, specialmente nei terreni a vocazione agricola. Occorre una grande mobilitazione della società sarda, una rivoluzione politico-culturale, in grado di collegare le tematiche dei collassi climatici, dei degradi ambientali, dell’inquinamento, delle indispensabili bonifiche alla necessità di decidere in piena autonomia sul futuro di questa terra.

 

 

 

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