Il declino americano, di Ciriaco Offeddu

Non sono stato educato dalle Orsoline ma dagli americani. La grande scuola manageriale di matrice General Electric mi ha accolto e sgrezzato con la disciplina di un lavoro febbrile ed emozionante che era anche osmosi, emulazione, spirito e crescita personale. Gli americani mi hanno insegnato il principio della responsabilità oggettiva (dunque senz’alibi), la complessità della gestione, il valore della pianificazione e dell’organizzazione, la profondità della strategia. E tra cento travasi mi hanno educato alla potenza dell’insoddisfazione e – sembra blasfemo dirlo – della negatività sistemica. Non si progetta e si costruisce un Jumbo o un supercomputer accontentandosi, basandosi sull’accondiscendenza oppure sulla fiducia cieca nel “fedale”, ma analizzando e criticando ogni singolo passo, diventando avvocati del diavolo di ogni possibile decisione, azione e piano. “Be critical”, sii critico, aspettati esami e apprezza i dibattiti accesi: se il gruppo di lavoro sviluppa l’energia di giudizi vibranti e incisivi significa che ognuno tiene al risultato finale e alla qualità del lavoro fatto. L’insoddisfazione dunque quale motore di un miglioramento continuo: la motivazione – come si impara nei progetti complessi – discende dai risultati e non dall’approccio buonista o dal galleggiamento nello stagno dell’utopia. Gli americani mi hanno spedito per il mondo ad assumermi responsabilità, mai lesinando valutazioni positive e negative, senza pietà. (…) lsegue a pagina14

(…)Erano americani, non repubblicani o democratici, orgogliosamente a stelle e strisce, pragmatici e affilati, erano il faro, il mito, e il loro biglietto da visita valeva in ogni Paese. Ho lavorato per loro anche nella Germania dell’Est, ai tempi della guerra fredda più pericolosa, e questo era possibile perché il riconoscimento della tecnologia e della professionalità americane non era in discussione. Poi molto è cambiato. Dopo le mie lunghe parentesi asiatiche, al ritorno in America (l’ultima volta a Davis, all’Università della California, per presentare Grazia Deledda) ho trovato un’atmosfera vischiosamente diversa, di difesa e cautela, senza luce e brillantezza, confusa da contraddizioni e superficialità. “America first” (come nella loro storia, nella cultura, nella lingua e nella religione, nell’orgoglio – e persino nell’ultima devastante ritirata di Biden) oppure che cos’altro? Nessuna visione alternativa di Paese ma una sequenza di slogan triti da serie televisiva. Non una società aperta, libera, ma tanto schiava del politicamente corretto da rifiutare persino l’evidenza del metodo scientifico e dei principi fondanti della costituzione. Nei campus, professori nervosissimi per paura di dire o ascoltare una frase sbagliata, addirittura di mostrare indenni la bandiera dei quattro mori; acquiescenza al pensiero unico; inesistenza del diritto non solo di essere eretici ma di proporre idee devianti o solo minoritarie, di porsi fuori dal coro e di esprimere un parere di rottura – ma non erano queste le basi della liberal-democrazia? Eccoli oggi, i miei americani, diventati bolsi e timorosi, incapaci di pianificare e lanciare progetti visionari, di risolvere i problemi (vedasi Kabul, certo, ma anche l’immigrazione, Guantanamo, la mancanza di componenti per l’industria in crisi, ecc.), seduti in casa a fare la guerra coi droni assassini, ossessionati dalla privacy propria e non altrui, paranoici e in astinenza d’autostima. Cos’è successo, dunque? Rispondere esaustivamente richiederebbe ben più di un articolo. L’insorgere della finanza a discapito dell’economia, la perdita del controllo mondiale basato sul dollaro e le armi, l’incapacità di coniugare obiettivi strategici con metodi etici (l’ultimo raid a Kabul ha ucciso 4 bambini), l’esplosione dei complessi di colpa verso le minoranze, il dominio dei media e dei social, questi e altri fenomeni hanno minato in profondità il sogno americano. Aggiungo un passaggio per me storico: gli americani sono adesso ferocemente democratici oppure repubblicani, avendo scavato tra loro un fossato di odio inimmaginabile. Questa crescente violenza alimenta una sotterranea guerra civile che sta destabilizzando le istituzioni. L’America non si sente più granitica come il monte Rushmore, è divisa e combatte con ogni arma il cancro che ciascuno imputa al vicino di casa, non più oppositore politico ma portatore di principi distorti. È una situazione di grave pericolo non solo per l’America ma per tutti noi “atlantici”: sappiamo come gli Stati scarichino all’esterno le proprie problematiche intestine. Ne pagheremo il conto.

Ciriaco Offeddu Manager e scrittore

L’Unione Sarda, 8 settembre 2021

 

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