RIFLESSIONI VENT’ANNI DOPO: 11 settembre 2001, martedì – 11 settembre 2021, sabato. di Salvatore Cubeddu
Ero sindaco di Seneghe neanche da tre mesi, quel martedì in tarda serata, vent’anni ad oggi, quando mi giunge inattesa da Cagliari una chiamata di mia figlia minore, 14 anni quasi. Le torri gemelle di New York erano state abbattute. Aveva paura. Decisi di rientrare subito presso la mia famiglia a Cagliari.
Come per tutti i grandi eventi collettivi, ciascuno fissa dove e cosa facesse in quei momenti cruciali. In quel giorno e negli imminenti successivi vennero trasmesse anche le immagini del terzo aereo abbattutosi sul ministero della difesa USA, il Pentagono, e le rovine al suolo della Pennsylvania del quarto aereo destinato al Campidoglio di Washington, fermato dalla rivolta dei passeggeri contro i due dirottatori. Ma le immagini si fissarono per poco tempo sul disastro nella massima sede militare, troppo pesante per gli Americani il significato del colpo subito. Così ci si concentrò sulle ‘torri gemelle’, il luogo della strage e dell’offesa umanitaria. Delle distruzioni al Pentagono non se ne è più parlato nei vent’anni successivi, fino ad oggi ed alla terribile figura in Afganistan, in coincidenza della seconda vittoria islamista in un ventennio. La vendetta americana è riuscita a colpire parte dei diretti responsabili, con Osama Bin Laden ed i suoi divenuti i primi nuovi eroi della guerra dichiarata all’Occidente.
Il mio amico musulmano di Cagliari, il giorno dopo di vent’anni fa, sosteneva l’impossibilità che dei musulmani avessero fatto questo e che il tutto era una provocazione dei servizi segreti israeliani. Ma la motivazione non reggeva, né riuscì a cancellarmi l’interrogativo che qualche soddisfazione aleggiasse nelle pieghe delle sue affermazioni.
Non frequentando i siti islamofobi, non mi è capitato di leggere nella stampa ‘seria’ la risposta all’interrogativo se, alla massa dei musulmani, la grandiosità dell’operazione bellica di quell’11 settembre, la perfezione della sua realizzazione, il colpo subito dagli occidentali nei loro simboli più evidenti e il sacrificio dei ‘martiri’ non sia rimasto quale sensazione principale e soddisfazione duratura. E’ difficile che tra i musulmani residenti nelle terre dell’Islam e tra quelli numerosissimi che quotidianamente, illegalmente e meno, vengono a convivere nelle ‘terre degli infedeli’, a livello più o meno profondo non sia scattata la molla del riscatto dell’Umma dalle vere e antiche sconfitte e dalla presunte e ingiuste presenti offese. L’Islam è una religione guerriera, maschia, fondata da un cammelliere combattente, non da un giovinotto poco interessato al mestiere di operaio, che in due anni si era bruciato predicando una fede fatta per i deboli e finendo esso stesso nel peggiore dei modi su una croce. Al Qaida, Fatah al-Islam, Hamas, Hezbollah, Jaljalat, Stato islamico, i Talebani ed i numerosi gruppi in battaglia nell’Africa Subsahariana oggi festeggiano un evento fondamentale della ripresa dell’Islamismo politico e armato.
L’Occidente è così debole da non rendere esplicito e all’ordine del giorno quello che sarebbe troppo facile (e forse possibile ancora per poco), non vedere nel cosidetto ‘terrorismo’: qualcosa di molto più antico e tradizionale, la diffusione armata della religione islamica e la sua inevitabile esigenza e azione per ricostruire la Umma, la comunità politica e religiosa (inestricabili) dei credenti avente quale unica legge il Corano. I terroristi, allora, farebbero il lavoro sporco per un obiettivo generalmente ammesso da tutta la comunità. Quasi tutto l’irredentismo (nazionalistico) moderno è passato per la sua fase terroristica. Quello che per l’Occidente rimarrà una terribile e dolorosa sconfitta potrebbe venire considerata solo un momento forte della contro-‘reconquista’.
Ma non sto dicendo niente di originale.