L’ossessione del complotto separatista, di Piero Mannironi

Il teorema dell’agente segreto Pugliese. Indagini, arresti: i giudici smontarono tutto.

L’«ossessione separatista» nasce nell’ottobre del 1967, con quella che il centro di controspionaggio di Cagliari chiamerà in codice: «Azione Sirio». All’origine di tutto c’è una confidenza raccolta dall’allora controverso capo delle “barbe finte” in Sardegna, il maggiore Massimo Pugliese. L’informazione viene poi riportata in un appunto del 1972, nel quale compare la firma del generale Gian Adelio Maletti, diventato un anno prima responsabile del reparto D del Sid. Cioè il numero due del Servizio. Dal 1980 Maletti vive in Sudafrica, a Johannesburg, dopo essere stato condannato per il depistaggio nelle indagini sulla strage alla questura di Milano. Nel 1967, dunque, una gola profonda “soffia” a Pugliese che Feltrinelli era sbarcato in Sardegna, incontrando «i più pericolosi latitanti dell’isola con il proposito di strumentalizzare il banditismo, con lo scopo di sorreggere – anche in forma violenta – l’ideologia separatista». (…)Comincia così una lunga e torbida stagione nella quale i presunti complotti separatisti, come un fiume carsico, affiorano materializzandosi in inchieste e processi, per poi inabissarsi di nuovo. Storie troppo spesso opache, oscure, dietro le quali, più di una volta, si intuisce l’ombra di una regia occulta degli 007. C’è comunque una certezza: fu Pugliese, monarchico e massone (era iscritto alla loggia P2 di Licio Gelli, come il suo capo Gian Adelio Maletti) il motore instancabile di quella fortissima pressione che cementò nel mondo dei servizi segreti l’ossessione dei complotti separatisti. I rapporti di Pugliese su Feltrinelli e il suo viaggio in Sardegna, redatti dal capocentro del Sid di Cagliari, si erano infatti arenati in un primo momento nello scetticismo. Si legge infatti in una nota interna del servizio segreto: «Il centro Cs (controspionaggio – ndr) di Cagliari, prima tramite il capitano Baita e successivamente tramite lo stesso maggiore Coppola ha manifestato il convincimento che non è il caso di riprendere le indagini sulla vicenda, in quanto i piani dell’editore non erano seri». Una posizione condivisa anche dagli alti papaveri del Sid a Roma. Non basta. Anche la polizia e i carabinieri accolgono con molta freddezza le informazioni “passate” da Pugliese. Poi, improvvisamente, qualcosa cambia dopo la misteriosa morte di Feltrinelli, avvenuta a Segrate il 15 marzo del 1972. Pugliese, ormai non più responsabile della stazione del servizio segreto militare di Cagliari, torna in Sardegna nascondendosi dietro il nome in codice Polluce. Si verifica subito uno scossone e le indagini su Feltrinelli e il suo viaggio in Sardegna registrano un nuovo impulso. Cominciano così ad affiorare informazioni sempre più dettagliate. Come il programma militare del gruppo dei separatisti capeggiati da Feltrinelli. Prima di tutto lo sbarco nell’isola di Tavolara per «distruggere impianti militari» (la base di intercettazione della Us Navy). E poi l’attacco al poligono interforze del Salto di Quirra, agli impianti della polizia di Stato di Abbasanta, al centro di addestramento per mezzi corazzati di Teulada. E ancora: assalti a caserme, boicottaggi a dighe e a impianti industriali. Si parla perfino di depositi clandestini di armi e, addirittura, di paracadutare armi di fabbricazione cecoslovacca nel Supramonte di Orgosolo. Da dove arrivano queste notizie? Polluce (alias Pugliese) non lo dice, ma scrive di aver attivato i suoi informatori (…) In un unico calderone finiscono autorevoli intellettuali, politici di cultura sardista, attori e sindacalisti. Una sconvolgente “purea” di semplificazioni, di deduzioni arbitrarie e perfino di severi giudizi sulle persone. Due anni dopo, e più esattamente il 29 giugno 1974, ecco materializzarsi il complotto separatista del quale ha tanto scritto e parlato l’ex capo centro del controspionaggio sardo: la polizia arresta un giovane studente universitario cagliaritano, Luigi Pilia, definito «noto simpatizzante di movimenti della sinistra extraparlamentare». Nella sua auto trovano quattro candelotti di dinamite, una pistola e un foglio dattiloscritto nel quale sono fissati gli accordi con alcune persone (indicate solo con le iniziali) per organizzare attentati dinamitardi contro le sedi della Dc e del Psdi e il sequestro di due politici e di un industriale. Pilia non tarda a collaborare. E in cella parla. Parla come un torrente in piena e racconta tutti i dettagli della cospirazione, facendo naturalmente i nomi dei suoi complici e viene rimesso, incredibilmente, in libertà. Finiscono nel carcere di Buoncammino quattordici persone, due si danno alla latitanza: è una bufera. Siamo nel 1974 delle strage di Piazza della Loggia e dell’Italicus, in piena strategia della tensione. Rileggendo gli atti di quella sciagurata inchiesta si trovano moltissime tracce che portano al servizio segreto militare. Per esempio: i legami con Gino Liverani del gruppo teatrale milanese Dioniso e il rapporto tra Giuseppe Saba e Feltrinelli. Ma è tutto l’impianto dell’accusa che ricalca fedelmente il teorema di Massimo Pugliese. Il 19 giugno 1975 arriva la sentenza. Solo Pilia e un altro imputato vengono condannati. Per gli altri non c’è nulla. Niente di niente. Tutti assolti.È la bruciante bocciatura dell’«Azione Sirio» costruita dai servizi segreti. Il “caso Pilia” scuote la Sardegna. E approda in Parlamento con un’interrogazione firmata dai comunisti Cardia, Berlinguer, Marras e Pani. Il sottosegretario alla Giustizia Dell’Andro si degna di rispondere solo dieci mesi dopo, il 7 ottobre 1975. Cioè quattro mesi dopo che i giudici di Cagliari hanno spazzato via l’improbabile cospirazione separatista.(articolo pubblicato il 22 settembre 2006)

Da La Nuova Sardegna 9 giugno 2021

 

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