Il sangue che scorre nelle tante anime di Grazia, di Maria Michela Deriu.
LA CONOSCENZA CI SALVERA’ DALLA VIOLENZA?
Quante sono le anime di Grazia Deledda?
Tante, sono tutte quelle che in un forte pathos danno vita alle sue storie.
Michela è la prima, nasce nel 1888 ed è la protagonista di Sangue sardo.
Michela ama Lorenzo, ma il ragazzo preferisce la sorella Maria, più dolce di Michela e senza grilli per la testa.
Michela anziché incassare il colpo e tornare cheta cheta a casa a fare la calza, una sera, sapendo che Lorenzo sarebbe tornato al paese per incontrare la sorella, lo attende e lo affronta.
“Pochi istanti dopo erano fra gli scogli neri e solitari, avvolti dalle onde e dalla nebbia.”
Lorenzo è’ spaventato chiede alla ragazza se fosse successo qualcosa in paese.
La risposta non si fece attendere:
”Ebbene se ti è cara la vita, se non vuoi perderla, bisogna che tu ritorni al tuo cavallo e ti allontani dalla Sardegna per un anno fino a quando Maria non sarà sposata con un altro.
Lorenzo impallidì e ripeté:
-Ela! Sei pazza?…
-No! rispondi..
-Ma chi è che vuol uccidermi?
-Io,- disse freddamente Ela. -E al guizzo sanguigno di un lampo, Lorenzo, che credeva di sognare, vide nelle mani bianche, lunghe di Ela, luccicare un pugnale.
Il giovane indietreggiò tremando.
Ela sogghignò: Avanti! Avanti! Decidi la tua sorte…
- Io ti odio. Decidi.
Con questo sanguinolento finale Grazia Deledda conclude il suo primo racconto pubblicato a soli 17 anni, per l’editore romano Perrino direttore del giornale’ ‘L’ultima moda”.
Questo e’ un classico omicidio di genere, ma la nostra Grazia inverte i ruoli.
Ela, diminutivo di Michela, è innamorata di Lorenzo ma lui ama la sorella Maria.
Ma chi era Michela?”
Risponde la stessa Grazia:
Ela, o Michela, era una fanciulla sarda di quindici anni. Non bella, ma simpatica e gentile, Ela era una di quei caratteri strani, fantastici, qualche volta fatali.
Istruita anche troppo, un pò corrotta dai romanzi, buona in fondo, sotto il suo corpo fragile di quindici anni Ela nascondeva un anima fiera, grande, capace di amare e di odiare come un uomo forte ed assennato.”
”Istruita anche troppo e corrotta dai romanzi.”
Indubbiamente queste caratteristiche di Michela non erano estranee a Grazia, che per lungo tempo dovette combattere con il pregiudizio di un ambiente ostile. Ricordiamo che il suo studio per le tradizioni popolari venne giudicato dalla comunità nuorese un’indecenza.
In una intervista relativamente recente, recuperata dal patrimonio della Rai, compare un suo concittadino, vestito con abiti della tradizione e col capo coperto da una austera”berritta”; così l’intervistato commenta il lavoro di Grazia:
“Cosa ne pensa di Grazia Deledda?-chiede il giornalista;
-Molte cose se le poteva risparmiare-
-Perché non son vere?- incalza il giornalista.
- Sono vere, ma sono cose che non si dicono.-
Questa affermazione avviene intorno agli anni ‘60, Grazia aveva già vinto il premio Nobel e riposava in pace nella chiesetta della Solitudine a Nuoro, ma la censura sociale delle vecchie generazioni non perdona alla scrittrice di aver trasgredito a un codice mai scritto.
Censura probabilmente tutt’ora insita all’interno delle dinamiche sociali della nostra terra.
In sangue sardo la violenza è parte nella natura, come il mare che ammira Michela: a
volte cheto, a volte tempestoso .
La tempesta può portarti via, ma questa e’ la natura.
Le onde portano via, lontano, il corpo di Lorenzo.
”Apparve una striscia di spuma rossa poi più nulla….nulla!
In ”Cenere” la violenza si manifesta in modo imprevedibile.
La protagonista di Cenere è la povera Olì, che si innamora di uomo già sposato con una donna benestante molto più grande di lui.
Lui circuisce la ragazza e le mente, vagheggiando false promesse
Da questo amore nasce Anania.
Olì per la vergogna e l’oggettiva impossibilità di mantenere il bimbo una notte scappa dal paese.
Prima di sparire lascia sulla soglia della porta della casa del padre il piccolo Anania.
La moglie del padre lo accudisce amorevolmente ma Anania è letteralmente ossessionato dall’assenza della madre naturale.
Anania grazie a un benefattore riesce a completare gli studi giuridici che lo portano prima a Nuoro, poi a Cagliari, infine a Roma.
Anania ama, corrisposto, Margherita e il lieto fine dovrebbe concludere il tormentato racconto.
Una vita tranquilla può corrispondere ad un personaggio deleddiano?
Lascerò la risposta a Francesco Alziator, cercando di tradurre quanto dice a questo proposito nella sua”Storia della letteratura di Sardegna”:
”Eroi del bene e del male, con una remota e sotterranea sorta di tensione e coloritura nietzschiana alla rovescia, animati da una fatale Unwille zur Macht sono i personaggi di Grazia Deledda, incatenati a destini di espiazione, di vendetta, di manicheo conflitto tra il bene e il male.”
In parole povere, chiedendo scusa a Nietzsche, i personaggi della Deledda non hanno in sè alcun potere di potenza e sono incatenati al loro destino.”
Continua Alziator: ”In Grazia Deledda il mito più remoto, e ancestrali voci dell’Isola, le medesime dell’epopea del bronzetti, si esprimono e si conciliano in voci d’arte.
E’ la medesima Weltanschaung – concezione del mondo e della vita – dell’età delle grandi pietre, elementare nel male e nel bene, nelle espressioni del dolore e della gioia, della forza e della morte.”
Ora torniamo a Anania che, dopo lunghe e tortuose vicende, trova sua madre.
Le condizioni della donna sono di un degrado materiale e morale che inducono Anania a legarsi a lei in una assoluta e cieca ricerca di espiazione.
Per salvare la madre vuole lasciare il lavoro e la fidanzata che non potrà accettare una parentela così disonorevole.
Oli’ vede il proprio suicidio come unica via di salvezza per il figlio e regalargli così una nuova vita.
Benché si sia davanti a una tragedia, siamo lontani dai Vinti verghiani. Non a caso nel discorso pronunciato durante la cerimonia di consegna dei Nobel nel dicembre del 1926 il Prof Shulck dell’accademia svedese sottolineò la melanconica severità deleddiana ma non il suo pessimismo e da Cenere cita il brano:
“Si, tutto era cenere: la vita, la morte, l’uomo; il destino stesso che la produceva.
Eppure in quell’ora suprema, davanti alle spoglie della più misera delle creature umane, dopo aver fatto e sofferto il male in tutte le sue manifestazioni, era morta per il bene altrui.
Gli ricordò che fra la cenere cova spesso una scintilla, seme della fiamma luminosa e purificatrice, e sperò e amò ancora la vita.”
Con Cenere la Deledda raggiunse un successo riconosciuto anche da chi storceva il naso. La versione filmica di Cenere fu interpretata da Eleonora Duse, la potete trovare tranquillamente su you tube, ne vale la pena. Il film ha inizio quando Anania finalmente trova la madre in una misera casupola.
Il film del 1910 è, ovviamente, muto, ma l’interpretazione della Duse rende superfluo qualsiasi sonoro.
Michela uccide per gelosia, Oli’ si suicida per amore materno.
La violenza nei romanzi deleddiani è parte della natura stessa.
Marianna Sirca e’ vittima del senso di possesso del cugino: Costantino Moro che uccide l’amante di Marianna, Simone Sole.
Tante donne e tanta violenza, e a quanto pare non violenza subita per una fragilità di genere, ma per la stessa natura e cultura che legittima la crudeltà come parte integrante dell’essere umano e di quanto lo circonda.
Questa è la Sardegna che Grazia Deledda porta con sè lontano da casa.
Queste donne sono tutte le anime che le appartengono e sono parte intrinseca del nostro immaginario collettivo.
Grazia non si distaccò mai emotivamente da loro, la viva visceralità con cui le ricorda lo testimonia. A Roma, dalla villa di via Porto Maurizio, volava verso le valli della sua silenziosa terra .
La vita quotidiana della Deledda era semplice.
Il figlio Franz racconta che la mattina si occupava della casa, dava ordini alla domestica e il pomeriggio, metodicamente, scriveva.
Non amava la vita mondana ma aveva strette relazioni con Matilde Serao, Sibilla Aleramo e Ada Negri.
Amava mantenere i suoi rapporti anche a distanza e tra le sue lettere troviamo una fitta corrispondenza con Gorkij e Lawrence.
Un rapporto coniugale sereno tra Grazia e Palmiro sono una nota abbastanza inconsueta: il successo di Grazia presuppone tante incombenze e Palmiro Madesani lascia il suo impiego di dipendente del Ministero delle Finanze per occuparsi degli affari della moglie.
Pirandello in persona si scandalizzò della cosa, tanto che si prese la briga di scrivere un romanzo satirico, dal titolo ”Suo Marito”dove oltraggiava, sotto mentite ma riconoscibili spoglie, la persona del Madesani.
Il libro per un po’ sparì, c’e'chi dice che fu Pirandello a rilevare le copie c’e’ chi afferma che fu lo stesso Treves che si rifiutò di pubblicarlo.
Defunti i due scrittori, il libro fu pubblicato dal figlio di Pirandello col titolo “Suo Marito.”
Una copia sta nella mia libreria e fui molto sorpresa quando lo lessi.
Giustino, e’ chiamato così il Madesani, non potrebbe comparire mai in nessun lavoro di Pirandello.
Alla faccia del compassionevole straniamento pirandelliano lo scrittore è livido, detesta Giustino e non ne fa mistero, mentre ha pietà per Grazia, che riduce a vittima inconsapevole del meschino consorte .
Per non perdere di vista il nostro obiettivo, che e’ quello di difendere la nostra parità di genere, cosa ci tramandano le nostre eroine deleddiane?
Michela di Sangue Sardo, che uccide per amore, cosa ci fa pensare?
Personalmente il solo fatto che sia stata fissata per sempre sulle pagine di una rivista nazionale e come dice la Deledda, per questo pagata, ci fa pensare che i nostri geni ci portano a superare difficoltà insormontabili. Alla Deledda avrei dato il Nobel per la sua tenacia: solo il fatto che da un luogo come Nuoro, a quel tempo dimenticato da Dio e dagli uomini, una ragazza di 17 anni contrastata da tutti, ebbe il coraggio di scrivere e di proporre il suo racconto a un giornale nazionale e’ eccezionale, lo scritto poi e’oggettivamente molto bello, Grazia era già una grande scrittrice.
Oli’ è il pretesto per scrivere un’opera straordinaria con un finale imprevedibile.
Marianna Sirca con caparbietà diventa padrona. Suo padre stesso la riconosce tale.
In quanti luoghi d’Italia, in quel tempo, le donne potevano autonomamente amministrare i propri beni?
Poi c’e lei,Grazia e la sua capacità di dare materia ai propri sogni.
Quando ho visitato la sua casa di Nuoro sono stata colpita da quanto fosse piccolo il suo giardino.
Immediatamente pensai all’Infinito di Leopardi e alla vastità dei suoi possedimenti oltre la siepe.
Non partiamo tutti con le stesse possibilità.
E’ fin troppo ovvio che, come fu per Pirandello, studiare filologia a Bonn non e’ la stessa cosa che ripetere la quarta elementare a Nuoro. Se non si vuol riconoscere il merito, è orribile usare questa ipercultura per definire un pregiudizio.
A me pare che questo sia accaduto ieri e continui a perpetuarsi oggi.
Senza innescare polemiche inutili, resta un dato di fatto: Grazia Deledda e’ tutt’ora l’unica scrittrice italiana ad aver ricevuto a Stoccolma quello splendido souvenir a cui ambiscono tutti gli scrittori, a parte Jean Paul Sartre per motivi politici e Bob Dylan che avrà avuto i suoi motivi.
In questa rubrica vogliamo cercare esempi che ci aiutino a valorizzare noi stesse aldilà delle etichette ed esigere rispetto.
Grazia con la quarta elementare vince il Nobel per la letteratura, che dire?
I giornali del tempo la definirono una casalinga prestata alla letteratura.
Bene! Può darsi.
Ma, se così fosse, vorrei sapere quanti di questi illustri signori e signore, mentre girano il sugo, riescono a scrivere Canne al vento ?
Attendo risposta.