La festa interista di Milano. Se prevale il diritto al tifo, di Paolo Giordano

Cagliari e …. tutte le città ….  come a Milano? Siamo tutti molto stanchi della sequenza allentamenti-folla-indignazione – contrizione tardiva. Ha un retrogusto moralistico che ormai respingiamo.

Riguardo al raduno di” tifosi in piazza Duomo conviene quindi attenersì ad alcune considerazioni a margine, per quanto possibile spassionate.

Al momento è come se ci fossimo messi in attesa, fino a quando capiremo se l’assembramento · eccezionale abbia creato o meno una risalita anomala dei contagi. Non lo sappiamo, serviranno parecchi giorni per accertarcene e non è nemmeno cosi ovvio riuscirci, ma ci auguriamo che non succeda. Il punto è che, a ragionare in questo modo, si compie un errore di consequenzialità, quello di valutare se abbiamo sbagliato a seconda di come andranno le cose, laddove l’esito epidemico più o meno fortunato della festa di domenica non modifica la gravità di quanto è già successo. In base a cosa sappiamo, e soprattutto a cosa non sappiamo, si è trattato di una situazione ad alto rìschìo e quindi non accettabile. Un conducente troppo spavaldo non viene multato perché va a duecento all’ora in autostrada e si schianta. Viene multato perché va a duecento all’ora in autostrada. Riempire piazza Duomo nel corso di un’epidemia tutt’altro che finita è andare a duecento all’ora in autostrada. Che poi finisca bene o male, è solo questione di probabilità.

E proprio la probabilità e la statistica sono il secondo elemento su cui soffermarsi. La popolazione della piazza era prevalentemente giovane, com’è ovvio. Quindi prevalentemente non vaccinata. Qµindi suscettibile al contagio. Era una piazza di individui con una socialità attiva e contatti frequenti con fasce di età più giovani e più anziane, non tutte, lo ricordiamo, ancora abbastanza protette dai vaccini.

A lasciare straniti però, dopo un anno e più di pandemia e di bombardamento mediatico, è la pretesa di immunità di quella piazza. Nonostante le migliaia di parole sul Covìd, qualcosa di essenziale non è passato nella coscienza collettiva. Non mi riferisco alla responsabilità altruistica – proteggere sé stessi per proteggere tutti-, che suona ormai smaccatamente ipocrita, ma alla salvaguardia individuale. La scomparsa di ogni ombra di timore per sé stessi dovrebbe farci interrogare su cosa siamo stati in grado di trasmettere a proposito della malattia. Perché se i giovani e i giovani adulti sono quasi a rischio zero di morire, ciò non significa che non esistano altri esiti preoccupanti. Non ultimo, l’incertezza: non abbiamo alcuna statistica su cosa l’infezione potrà provocare, magari, a distanza di annì. Ma è un pensiero troppo astratto, troppo eventuale per tradursi in cautela. Alla fine e nonostante tutto, ha prevalso nel sentire comune il pregiudizio iniziale della «banalità» del Covid, almeno per coloro che non si ritengono anziani o fragili. Guardiamo al presente con lenti sempre più deformate dalla stanchezza e da una non ·meglio specificata sensazione di ottimismo generale.

Affermare che «tanto all’aperto non c’è pericolo» poi, oltre a essere epidemiologia creativa (quando consideriamo un tale numero di persone durante una pandemia con eventi di superspreading accertati), è anche un modo di essere ingiusti verso i nostri sacrifici, di rendere ridicolo molto di quel che abbiamo fatto, anzi, molto di quello che ci siamo impediti di fare per oltre un anno.

Il sindaco Sala ha parlato di immagini che possono aver «colpito la sensibilità di tanti». Ha affermato che non era evitabile che i tifosi scendessero in piazza. Io sono tra quelli che non intendono improvvisarsi «esperti dell’ordine pubblico», e ammetto di non sapermi rappresentare la «complessità» di una simile gestione. Nondimeno, trovo fuorviante spostare il dibattito sul piano della «sensibilità». Comunque sia, se saranno riconosciute delle mancanze, non andranno liquefatte verso il basso, semmai diluite un po’ verso l’alto, nel clima di cedevolezza che le decisioni recenti del governo hanno generato.

Al tempo stesso l’impressione che l’evento di domenica 2 maggio ricada in parte sotto la protezione più ampia dell’urgenza socio-economica è sbagliata. Non esiste un vero legame. Si può discutere all’infinito di quanto inevitabile fosse lasciar respirare alcuni comparti produttivi del Paese, erano in gioco la sussistenza e la dignità di molti. Ma la piazza di domenica non c’entra nulla con questo. A meno di non voler mettere sullo stesso livello il diritto alla salute e al lavoro, con il diritto all’esultanza.

Il corriere della sera, 6 maggio 2021

 

Condividi su:

    1 Comment to “La festa interista di Milano. Se prevale il diritto al tifo, di Paolo Giordano”

    1. By Mario Pudhu, 10 maggio 2021 @ 07:49

      Fintzas fatu contu chi, fuedhendi de genti, dónnia generalizatzioni no podit narri totu sa beridadi, però sa gioventudi, postu fintzas chi siat bèni informada, tenit prus pagu isperiéntzia personali e fait prus pagu contu de is perígulus, est prus animosa, prus forti e prus arriscada. Est giòvuna!!!
      Cun totu is cunseguéntzias (mna lasseus a perdi sa ‘fortuna’ e sa ‘disfortuna’ chi, cudhus etotu postus a guvernai, alimentant e coltivant cun d-una infinidadi de “gratta e vinci” (pubblicidadi chi prus faulància e inganniosa no nci nd’at!!!) e màchinas “mangiasoldi” me in dónnia furrungoni aundi fúrriat genti, ispeculendi e aprofitendi (a impresa!!!) de sa miséria materiali e culturali de sa genti prus mísera.
      De su 01/10/2002 a su 30/09/2003 eus fatu un’istúdiu de is incidentis istradalis me in Sardigna fendi su “spoglio” dí cun dí de L’Unione Sarda e de La Nuova Sardegna cun d-unu arresurtau, verificau in su tempus candu capitàt un’incidenti gravi cun ricóveru me in s’ispidali), e de seguru no perfetu “po difetu” in su sensu chi eus connotu personalmenti incidentis mai cumpartus me is giornalis e ne in telegiornalis). Istúdius precisus apitzus de is incidentis istradalis no ndi faint po… no fai mali a is màchinas?
      E ita arresurtat de s’istúdiu nostu? Chi funt mortas 196 personas: de custas, 76 fiant giòvunus de sa classi 18-32 annus (35%), 35 de 33 a 47 annus (23%). Dhui at prus de una cosa de cunsiderai no isceti po sa responsabbilidadi de chini fut guidendi ma de is vítimas puru.
      Ma po fai isceti un’esémpiu, una màchina de giòvunus istudentis (4 o 5) si ndi est andata a currigliai me in su portu de Castedhu e nc’est arruta a mari: assumancus dus ndi at mortu.
      Fortzis unu mannu no fut mancu andau a currigliai, totu su prus a passillai, ma difícili chi si ndi fut andau a sa banchina de su portu.
      Ita contu ant a fai is giòvunus de su corona virus fintzas ca, po èssi prus pagu personalmenti preocupaus, a is giòvunus dhis fait prus pagu o nudha mali?
      E cun d-una ‘educatzioni’ a sa responsabbilidadi a fuedhus bellus e giustus (e mai manchint!!!) ma fintzas ossessiva e pràtiga a sa irresponsabbilidadi de is cumportamentus (certamenti no fàcilis) cali podit èssi s’arresurtau?
      Cun sa cultura de sa precisioni a su milionésimu sigheus a contai e isperai isceti apitzus de sa fortuna?