Una città sempre più multietnica, di Sara Marci
Basterebbe l’odore di spezie che si respira tra le stradine ingarbugliate della Marina. Oppure la moschea nata nel 2019 in via XX Settembre, dove la comunità musulmana si è riunita in preghiera sino all’arrivo della pandemia. Proprio lì, nel cuore pulsante dello shopping, l’aria è internazionale e le storie d’integrazione si moltiplicano rione dopo rione. Insieme ai numeri degli stranieri che nel capoluogo sardo hanno trovato casa, lavoro e anche l’amore.
Città multietnica
Cinque continenti e centotrentasette paesi lasciati alle spalle: il volto multietnico di Cagliari mette insieme ottomila e quattrocentoquattro stranieri. Almeno secondo gli ultimi a disposizione. Sul primo gradino del podio si piazza la comunità filippina: con una percentuale del 17,6 per cento supera tutte le altre etnie presenti. Seguono gli ucraini, a quota 10,7 per cento, e al terzo posto ci sono i rumeni (8,8 per cento). Su novecento ucraini, 778 sono donne, in netta prevalenza rispetto ai connazionali di sesso opposto. Proporzione che si ribalta parlando della comunità senegalese: su un totale di 724 residenti, le rappresentanti del gentil sesso si fermano a 64. Ci sono anche tredici afghani, un yemenita, cinque neozelandesi, tre danesi e un maltese. Piccoli tasselli di un quadro variegato custodito dentro le mura di una realtà che – a detta degli interessati – supera a pieni voti la prova accoglienza. La conferma arriva da chi oltre il mare ha trovato una nuova vita.
Farmacista palestinese
Ultimo di undici figli, 59 anni, padre di una diciassettenne e moglie sarda: «Nel ’48 purtroppo la mia terra è stata occupata. Sono finito in Giordania, orfano di padre quando avevo appena sei anni e mezzo», racconta Omar Zaher . «Volevo studiare, grazie ai sacrifici dei miei fratelli sono arrivato in Italia». Prima tappa a Perugia, a diciotto anni e mezzo: ha frequentato un corso di italiano per poi fare le valigie per il viaggio di sola andata a Cagliari. Qui si è laureato in Farmacia, specializzato in Tossicologia e Farmacologia chimica, e ha iniziato a lavorare come informatore medico scientifico. Oggi ha un posto a tempo come farmacista ospedaliero e in curriculum vanta anche vent’anni in politica. «Qui ho trovato tutto ciò che cercavo, ho costruito una famiglia e sono perfettamente integrato. Ciò che ho oggi ripaga i sacrifici fatti all’inizio. Ricominciare la vita in una terra straniera non è facile per nessuno».
Cagliari-Minsk
Giuseppe Carboni, console onorario della Bielorussia in Sardegna, non ha dubbi: «È una delle comunità più integrate e numerose nell’Isola, decisamente sottostimata dai numeri ufficiali che non prendono in considerazione i tantissimi bambini e adolescenti adottati da famiglie del posto». I fumi arrivati in cielo dalla centrale di Chernobyl sono il marchio a fuoco che non si dimentica. Il ricordo indelebile di centinaia di bambini che nell’Isola hanno trovato l’aria buona nei mesi di vacanza, e spesso la salvezza all’interno di famiglie che da ospitanti saltuari hanno regalato una felicità a tempo indeterminato. Olga Izofatova, oggi ha ventotto anni, da quando ne aveva sette ha fatto la spola tra Bolscie Lyotzi, un paesino a pochi chilometri da Vitebsk e cinquecento circa dai confini con la Russia. «Sin da piccolina dicevo che mi sarei trasferita nella vostra Isola. A Cagliari trascorrevo tre mesi all’anno con una signora sarda con tanto buon cuore e senza figli. Era legatissima a me, e io a lei». Dalle visite periodiche Olga è pronta a festeggiare gli undici anni in pianta stabile a Cagliari. Nel frattempo ha preso la laurea triennale e specialistica in lingue, si è sposata con un cagliaritano e insegna russo.
Sara Marci
L’Unione Sarda, 9 aprile 2021