La crisi educativa in Sardegna, teniamo i fari accesi …

Due corrispondenze su La Nuova Sardegna, da Sassari e da Nuoro: Autolesionismo in aumento così i ragazzi chiedono aiuto, di Silvia Sanna, e  «La famiglia riprenda a educare», di Francesco Pirisi

Autolesionismo in aumento così i ragazzi chiedono aiuto, di Silvia Sanna


La psichiatra Boi: «Si fanno del male perché sono depressi, boom di ricoveri»

Prima i silenzi, l’insicurezza. Poi l’irritabilità, gli occhi che schizzano rabbia, la furia che si abbatte contro le cose e contro se stessi. C’è un esordio sottotraccia che può rimanere incompreso per mesi, prima dell’esplosione che è quasi sempre devastante. I ragazzi, piccoli uomini e piccole donne prigionieri di una adolescenza anomala: priva di vitalità e di socialità, chiusa in una cameretta, a specchiarsi nello schermo di un pc. «I nostri ragazzi stanno male, stanno soffrendo molto più degli adulti. La pandemia con le sue restrizioni tra cui la didattica a distanza ha stravolto la loro quotidianità facendo emergere paure e insicurezze e sfociando in un aumento di disturbi post traumatici da stress». Il risultato è la crescita costante negli ultimi mesi di pazienti giovanissimi seguiti dai Centri di salute mentale «ma anche dei ricoveri nelle case di cura e le richieste di ingresso nelle comunità terapeutiche – spiega la psichiatra Graziella Boi – in seguito a comportamenti aggressivi o autolesionistici». Il Covid ha provocato l’aggravamento di malattie preesistenti e la moltiplicazione di nuovi casi.Sos adolescenti. La dottoressa Boi, direttrice del dipartimento di salute mentale e delle dipendenze per il sud Sardegna dell’Ats, lancia un appello forte: «I ragazzi stanno scoppiando, sono loro i soggetti più fragili e dunque più a rischio. La situazione è esplosiva e se non ci saranno correttivi, è destinata a peggiorare perché gli adolescenti non potranno resistere ancora a lungo. Sono soli, schiacciati tra i problemi dei genitori e i propri e si sentono inascoltati, messi ai margini. Procurarsi male fisico è il modo per attirare l’attenzione, dire “ci sono anche io”». Ed è una richiesta di aiuto impellente quella di chi si taglia le braccia o le gambe con le lamette di un rasoio, si ferisce con oggetti appuntiti, si procura bruciature con l’accendino o una sigaretta. «Sono tanti, ragazzi e ragazze – spiega Graziella Boi – hanno in media dai 12 ai 16 anni, frequentano la scuola media o i primi anni delle Superiori. L’autolesionismo è generalmente preceduto da altri sintomi che spesso passano inosservati, come disturbi del sonno o inappetenza. A volte le segnalazioni arrivano dai pediatri,che si rendono conto che l’origine del problema è mentale. In altri casi sono le scuole a interrogarsi su comportamenti anomali, come le troppe assenze durante le lezioni a distanza, oppure su atteggiamenti che lasciano supporre abuso di sostanze. In parecchi casi ci troviamo di fronte a un insieme di concause che tutte insieme generano un problema grave».Se la casa è una prigione. La psichiatra Graziella Boi non ha dubbi: i ragazzi devono poter uscire di casa e sfogare la propria energia all’esterno. Come già detto da Anna Cau, procuratrice presso il Tribunale dei minori di Cagliari, se c’è la possibilità di aprire finestre di libertà anche in zona rossa «concediamole ai giovani. Diamogli la possibilità di fare sport, di frequentare palestre, di confrontarsi con coetanei. Noi adulti soffriamo ma abbiamo una maturità diversa, possiamo resistere. Se i ragazzi continueranno a stare chiusi in casa, noi andremo avanti a scaricare su di loro le nostre ansia e la paura del futuro: un peso enorme per loro. La situazione familiare, per esempio legata a problemi economici, li fa soffrire e si aggiunge alle difficoltà legate alla Dad che in moltissimi casi, anche tra gli studenti più bravi, ha provocato un calo del rendimento scolastico. Tutto l’insieme genera insicurezza, ansia, frustrazione e può sfociare nella depressione e nella aggressività. I ragazzi sono come pentole a pressione, non facciamoli scoppiare».

La Nuova Sardegna 27 aprile 2021

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L’appello del sindaco di Nuoro durante la riunione sul disagio giovanile: il problema esiste e va affrontato

Il giorno dopo il consiglio comunale sul disagio giovanile, il sindaco Andrea Soddu si rivolge alle famiglie per chiedere una presa in carico dei problemi: «Riprendiamoci in mano i processi educativi, facciamolo insieme. L’appello del consiglio comunale è di esercitare il nostro prezioso dono di educatori. Da questa alleanza passa la creazione di una società migliore». Nessuna volontà di declinare le responsabilità, dunque, ma anche la richiesta ai genitori di essere parte nella responsabilità di crescere la gioventù nel modo migliore tra quelli possibili: «Questi ragazzi hanno tanti talenti da esprimere e dei quali potremmo andare orgogliosi». Il percorso però è lungo e complicato, come ha evidenziato l’assemblea civica di lunedì sera, che ha potuto contare sull’apporto di alcuni professionisti del settore educativo. L’amministrazione civica, oltre all’appello alla corresponsabilità, ha confermato l’impegno per una città con più servizi e impianti, prima di tutto per i ragazzi. Dal futuro un passo indietro al presente. Oggi il pensiero è rivolto prima di tutto ai tre episodi di violenza del febbraio scorso in città, consumatisi tra gruppi di minori. Tanto che in municipio si è pensato a correre ai ripari.L’assessora delle Politiche sociali, Fausta Moroni: «Premetto che la problematica giovanile l’avevamo già inserita nelle pagine dell’agenda. Tra gli interventi, le scuole superiori, dove verificare disagi ed esigenze dei ragazzi, attraverso dei gruppi d’ascolto». Se ne dovrebbe occupare anche gli operatori di strada dell’ente. Ma oggi c’è il limite al contatto fisico con gli istituti, per via del Covid. Si punta inoltre sulle tre linee d’intervento di un progetto presentato al ministero, diviso tra l’aiuto alle famiglie nell’impegno educativo, la valorizzazione di talenti dei ragazzi e l’affiancamento nella gestione delle loro emozioni. Prettamente didattica l’ultima linea, incentrata su cultura e arte. Le attività: laboratori di scrittura, fotografia, cinema. Prima però c’è da riportare nei ranghi una fascia sociale, che viaggia su altri sentieri. L’ex docente Gianfranco Oppo, per anni alla guida dell’osservatorio sul bullismo, non ama nascondere le carte: «I fatti di Seuna sono stati preceduti dai fatti di “Su Connotu” e ancor prima da quelli della piramide. Non dobbiamo sorprenderci. L’esperienza insegna che non bisogna temere l’intensità del fenomeno, quanto piuttosto l’evoluzione, ossia le cosiddette “carriere devianti”. In certi casi – ha spiegato ancora – l’atto di bullismo è stato il primo gradino di gesta prettamente criminali». La novità rispetto a qualche lustro addietro è l’abbassarsi dell’età in cui il disagio esplode. «Tra i gruppi di ragazzi coinvolti negli ultimi episodi di violenza, parrebbe si fosse fatto uso di stupefacenti, e non solo di alcool. Aspetto sul quale sono state avviate delle indagini», ha affermato durante la riunione la consigliera di Progetto per Nuoro, Lisetta Bidoni. «Vedremo cosa emergerà, ma in ogni caso è fondamentale darsi da fare, per non rischiare di perdere le generazioni di adolescenti e preadolescenti». Gli operatori di strada sono già intervenuti tra i punti di concentramento di Seuna, Istiritta e l’ExMe’. «Li abbiamo coinvolti con alcuni progetti – ha spiegato uno dei responsabili, Gian Luca Beccu – e hanno accettato di buon grado di partecipare». Parole che confermano la tesi di Oppo: «Non bisogna lavorare sui giovani, ma con i giovani». Un piano è comunque necessario. In due fasi. La prima, per capire di più. Il lockdown, spiegano i tecnici, ha modificato la realtà dei giovani. La vita virtuale in certi casi ha sopravanzato quella reale. La seconda, per creare una rete, perché fare da soli non porta lontano. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

La Nuova Sardegna, 28 aprile 2021

 

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