“Il senso della vita”, dialogo tra fede e ragione, di di Michela Calledda
Nel libro Luigi Manconi e l’arcivescovo Vincenzo Paglia si interrogano intorno alle grandi questioni etiche.
Esce (20 aprile 2021) oggi “Il senso della vita” (Einaudi, 16,00 euro, 220 pagine), dialogo tra Luigi Manconi e l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita. «Meno di un anno fa – spiega Manconi – ho pubblicato, sempre con Einaudi, “Per il tuo bene ti mozzerò la testa. Contro il giustizialismo morale”.
“In quel libro venivano toccati alcuni temi che l’editore, Paolo Repetti, riteneva necessario approfondire mettendo a confronto due differenti punti di vista intorno a questioni particolarmente controverse. Un approccio, di natura religiosa, fortemente ispirato dalla fede, e un approccio maturato nella ricerca sociale e nella militanza politica. Abbiamo fatto, Vincenzo Paglia e io, numerosi incontri e conversazioni e poi ognuno ha sviluppato la propria parte di colloquio con riflessioni ulteriori per disegnare i tratti di quello che, secondo l’editore, si potrebbe chiamare un “nuovo umanesimo”. Io per la verità non amo simili etichette ma concordo che questa sia la meno disdicevole».
Un titolo molto impegnativo…
«Ho sempre temuto che venisse considerato pretenzioso. Dunque, abbiamo voluto scherzarci un po’ su, spiegando che dopo il film dei Monty Python la formula “il senso della vita” può essere liberata da ogni solennità e acquistare un significato concreto e non metafisico. Ovvero: le ragioni delle nostre scelte che hanno un contenuto morale. Si può parlare quindi di una sorta di morale quotidiana che ispira le nostre opzioni su temi come la vita e la morte, il dolore e la cura, le preferenze sessuali e i riti civili: le grandi questioni di sempre, che la pandemia ha avvicinato e reso più tangibili e urgenti. Muovendo da posizioni spesso lontanissime, trovando l’intesa su alcuni punti e conservando il dissenso su altri, affrontiamo a viso aperto problematiche come unioni civili e matrimonio omosessuale, accanimento terapeutico ed eutanasia, carcere e senso della pena, ecologia e fraternità tra esseri umani. Facciamo ciò, richiamando vicende della cronaca e nomi e cognomi: Alex Langer, Piergiorgio Welby, Eluana Englaro, Camillo Ruini, Ernesto De Martino. Tutto riportato dentro il tempo presente, le condizioni materiali della vita e le scelte individuali, nell’Italia e nell’Europa contemporanee».
Perché si definisce “pococredente”?
«Sono patologicamente innamorato delle parole e, ancor più da quando sono cieco, dei loro suoni e delle loro molteplici accezioni. Quindi tengo moltissimo anche alle definizioni. “Laico” è un termine che non amo perché al di là della sua nobile origine mi sembra che oggi corrisponda a un’idea della società dove lo spazio per il fatto religioso sia, se non escluso, ridotto al lumicino e appena sopportato. Non sono ateo e ritengo che essere agnostici rischi di corrispondere a una sorta di pigrizia intellettuale. Sono molto interessato, dunque, a una dimensione extra-mondana, alle “cose che non si vedono”, come diceva Sant’Agostino, allo spirito oltre la materia. Non avendo “il dono della fede”, questo mio interrogarmi ha prodotto finora uno stato di “pococredente”, in ascolto e in attesa, che pure, penso, non evolverà verso una dimensione di fede».
È possibile concepire l’amore slegato dal piacere e non finalizzato alla procreazione?
«Ancora una volta il problema è determinato dalle parole: la nostra pigrizia ci induce a interpretare desiderio e piacere in un’accezione estremamente limitata e tutta “genitale”, secondo una lettura – se posso dire – “anatomico-eiaculativa”. Giustamente Paglia sostiene che non è solo questa l’interpretazione possibile del desiderio e dell’amore, e nemmeno dell’eros. Per me, amore, desiderio ed eros, sono strettamente legati – sia pure non in via esclusiva – alla sfera sessuale, ma trovo possibile immaginare l’amore in una dimensione diversa, dove, anche in assenza dell’atto sessuale, ci siano comunque desiderio e piacere. Io ritengo che la sfera sessuale, nell’essere umano, sia un elemento di preziosissima ricchezza emotiva e cognitiva e, per dirla con i termini della morale cattolica, il piacere non sia necessariamente finalizzato alla procreazione. Questo è un punto importante perché segnala la contraddizione, presente anche nelle posizioni più avanzate, del pensiero cattolico sull’omosessualità. Secondo l’attuale pastorale della Chiesa, l’omosessuale deve essere amato e rispettato, ma a patto che non faccia “l’omosessuale”, cioè che rimanga casto. Ecco, a mio avviso, questa disposizione rivela tutta la fatica che fa la Chiesa per accettare pienamente l’identità omosessuale».
Sia Lei che Mons. Paglia sostenete la necessità di accettare, nella società, la compresenza del “bene” e del “male”. Cosa intende con “dare un posto al disordine”?
«Pensare a una società che si riconosca come imperfetta e attraversata in profondità da quel male che è parte di ciascuno di noi. Ogni individuo è fatto di virtù e vizi, di attrazione per il male e disponibilità al bene. Se questo è l’essere umano e questa è la società umana nella quale opera, noi dobbiamo trovare il modo di realizzare la convivenza tra i cittadini, senza tentare di mettere al bando il male e chi lo compie (chi devia, chi trasgredisce, chi delinque): e trovare, piuttosto, per queste figure e per queste azioni politiche adeguate. Politiche che non escludano ma includano, che non producano emarginazione ma che reinseriscano nella società e consentano il manifestarsi di quel tanto o poco di consapevolezza e voglia di emancipazione che si trova in qualunque persona».
Dolore, morte, autodeterminazione: quali sono le differenze tra la sua visione e quella di monsignor Paglia?
«C’è una differenza culturale, seppure non così evidente. Io pongo la questione del dolore al centro di tutte le idee, le terapie, le politiche della salute perché ritengo che quello sia il grande rimosso della nostra medicina. Il dolore è in genere considerato l’effetto collaterale di un’altra patologia e non una patologia in sé. Prova di questo è lo scarso spazio che hanno in Italia le terapie analgesiche, il numero esiguo di hospice per i malati gravi, in particolare nel Sud, e la scarsa attenzione che le facoltà di medicina dedicano alle cure palliative. La posizione di Mons. Paglia non è troppo diversa, ma in qualche modo risente dell’antica concezione cristiana del dolore come forma di espiazione o come via crucis virtuosa o, infine, come itinerario di avvicinamento a Dio. Questa impronta, che in persone colte e sofisticate come Paglia chiaramente non ricalca gli antichi pregiudizi, comunque ci vede divisi anche sul tema dell’eutanasia. Io ritengo che davanti al dolore non lenibile, in assenza di altre soluzioni, l’eutanasia – in condizioni tassativamente definite – sia una scelta possibile, mentre Paglia la rifiuta incondizionatamente».
Avete una concezione molto diversa anche della speranza.
.«Sì, qui si manifesta una profonda differenza tra noi due. Ed è anche il punto dove il nostro dialogo si blocca. Essendo egli un uomo di fede è conseguente che si nutra di speranza. All’opposto, chi non ha fede, non è necessariamente disperato: io, per esempio, ho una vita piena e moderatamente felice, ma devo dirmi comunque assai pessimista sulle sorti della nostra società e, se non vi sembra troppo retorico, sul destino dell’uomo. Mi ha molto colpito un brano di Jacques Ellul, dove si parla di “pessimismo della speranza”, perché da una concezione tragica dell’esistenza può discendere non la resa e lo sconforto, bensì una ragione in più per battersi al fine di cambiare le cose».
Da La Nuova Sardegna 20 aprile 2021
By Mario Pudhu, 22 aprile 2021 @ 13:45
Sa vida
Sa vida est isperàntzia,
est fide e caridade
e Tue, Segnore nostru,
destinu eternu sou!
A unu punzu ’e brúere
sentidu ’e Umanidade
as dadu e numen nostru
cun s’Ispíridu tou!
Su sensu ’e s’esisténtzia
ses Tue, sa libbertade
ses de su bene nostru,
terra noa e chelu nou!
Ses Tue sa vida nostra,
ses fide, isperàntzia,
ses Tue sa caridade,
vida ’e su s’umanidade!