«Baby gang? Non è mai colpa loro». Intervista a don Ettore Cannavera, di Sara Marci
L’assoluzione arriva dalle porte di Serdiana. «I giovani d’oggi? Se sbagliano è colpa degli adulti»: parola di don Ettore Cannavera, psicologo, pedagogista, ex cappellano del carcere minorile di Quartucciu e una vocazione innata a prendersi cura delle pecorelle smarrite. «Tutti hanno diritto a una seconda chance», dice dal suo ufficio nella comunità La Collina. Una piccola oasi di riscatto cresciuta nelle campagne del cagliaritano, dove le notizie quasi quotidiane di pestaggi e atti vandalici ad opera di giovanissimi fanno discutere.
Don Ettore, cosa ne pensa?
«Che dovremmo farci un bell’esame di coscienza».
In che senso?
«Piangere e scandalizzarsi dopo che si commettono i reati non ha molto senso. Chiediamoci piuttosto perché si arrivi a compiere certi gesti».
Chi sono gli adolescenti d’oggi?
«Certamente non mostri. Sono il frutto della nostra diseducazione e di un menefreghismo pressoché generalizzato».
Nessuna condanna?
«Assolutamente no, già vengono condannati dalla società civile che giudica senza conoscere. A me preme sottolineare che non si nasce devianti o violenti, lo si diventa. E questo non lo potrà mai smentire alcuno psicologo e psichiatra».
Altre opzioni?
«Non resterebbe che prendersela con il Padre Eterno, ma le garantisco che non ha colpe».
Torniamo a questi ragazzini terribili.
«L’adolescenza è certamente un’età critica, durante la quale la vita si biforca: c’è chi prende la via della legalità e chi no, perché magari non gli viene data l’opportunità. Poi c’è la terza via, la peggiore».
Quale?
«Il suicidio, per cui onestamente preferisco alla lunga i giovani devianti che magari distruggono una panchina piuttosto che se stessi. Almeno così ci si pone il problema».
Parliamo anche di risse e accoltellamenti.
«È lo stesso discorso. Tutto parte da noi, da un sistema educativo evidentemente fallimentare».
Si riferisce alle famiglie?
«Alle famiglie, scuole, chiese e agli enti locali incapaci di occuparsi dei suoi giovani. Soprattutto durante una pandemia che ha portato via loro ogni punto stabile».
Cioè?
«Come fai a rinchiudere un adolescente a casa? Scapperà e si ritroverà con gli amici, magari per andare a far uso di droga o “a picchiare”».
Preoccupante.
«Trovo sia fondamentale soffermarsi sulle ragioni che portano i giovani a comportarsi così. È il loro modo per richiamare l’attenzione e per farsi riconoscere. Perché magari gli amici applaudono e dicono che “togo”».
Non si rischia di far passare un messaggio sbagliato?
«Lo sbaglio più grande è giudicare il gesto singolo ignorando ciò che vi è dietro».
Cosa si scoprirebbe?
«Torno al concetto di partenza: nessuno nasce cattivo. Anche Riina se avesse avuto un’altra famiglia sarebbe diventato un adulto diverso. Tutti hanno diritto a una seconda opportunità».
Parla per esperienza diretta?
«Anche: qui in Comunità mi sono preso cura di oltre cento ragazzi con reati gravi alle spalle, come l’omicidio. Ho offerto loro la possibilità di percorrere la strada della legalità, soltanto quattro sono ricaduti nel passato».
Crede nella funzione rieducativa?
«Non certo in quella del carcere, perché non fa altro che aggravare situazioni già difficili. Credo nelle seconde chance, perché c’è speranza per tutti».
Anche per questi adolescenti senza controllo?
«Certamente, più che gridare allo scandalo interroghiamoci, gratifichiamoli e offriamo loro gli strumenti per diventare adulti per bene».
Sara Marci
L’Unione Sarda, 17 marzo 2021
By Mario Pudhu, 20 marzo 2021 @ 14:04
Cundividu in prenu su chi narat, Don Ettore Cannavera.
E a nàrriri ita est s’iscola in pagus fuedhus (ca a dha cunsiderai a puntinu nci iat a bolli unu bellu libbru e prus puru po narri ita e cantu e comenti iat a depi cambiai) nau isceti ca est assurda: de s’educazioni dhui girat su fuedhu, de sa libbertadi e responsabbilidadi a su própriu e sa preparatzioni de is capacidadis est a fai… prus chi no àteru is disocupaus, is dipendentis de totu is dipendéntzias, iscavuaus o circhendi de si fui arróscius (e chentza si arrosci puru) de abetai unu “postu”. Mancu mali ca no totus funt ogualis o fatus “in serie”! Certu, tocat innantis de totu fai contu de su chi fait sa famíglia (si ndi tenint e comenti dha tenint!) e no fuedheus de su pesu de TV e àteru. Ma si est po su chi fait s’iscola… chi puru si podit prus guvernai po èssi méngius su chi serbit, de candu dha osservu (poneus puru 50 annus) no apu biu mai s’interessamentu necessàriu de parti de perunu guvernu: su chi contat est chi dhui siant is localis, is bancus, su riscaldamentu, is bagnus, s’àcua, sa cuorrenti, is docentis, is mezus de trasportu, e chi abarrint aintru “custodiaus” ocupaus a fuedhai, intendi, ligi e iscriri cun s’eticheta “istúdiu” po donai a totus sa própriu ‘ratzioni’ candu tenit cudhus annus a tali ora de tali dí cun docentis chi bandant e benint, medas sempri currendi in màchina de un’iscola a s’àtera, e apu connotu collegas “distacaus” circhendi de cuncordai is oràrius de letzioni ancora in su mesi de friaxu, po no fuedhai de àteras preocupatzionis (e no fai contu cun cali preparatzioni a prus de cussa de connosci sa “materia”). E candu mai podeus pentzai chi is prus responsàbbilis siant is piciochedhus e in generali is prus giòvunus, naraus bèni s’úrtima ‘arroda de su carru’ (eja, s’úrtima, mancai totu su trumbullu siat fatu in nòmini de s’úrtima arroda!) e no de is mannus, de cussus de sa famíglia a totu cussus de sa ‘politica’ e de su guvernu?
Pregonta: cust’iscola est fata po fai ita cosa?