Interviste sui cento anni del Partito sardo. La seconda, a Salvatore Cubeddu.

L’Unione Sarda ha iniziato la pubblicazione di una pagina settimanale sulla storia del Partito Sardo d’Azione nell’anno centenario della sua fondazione (1921 – 2021). Con qualche giorno di ritardo le riprodurremo. Questa è la seconda nella sua versione originaria, troppo lunga per gli spazi consentiti  al giornale (con l’autorizzazione dell’intervistato, il giornalista ha dovuto sintetizzarne alcune parti).

-Il  Psd’az nasce da una guerra sanguinosa. Che cosa succede nelle trincee della prima guerra mondiale?

R. I centomila giovani sardi (la Sardegna contava allora 800 mila abitanti) si sono conosciuti tra loro fuori della Sardegna in quello che viene ricordato come uno dei maggiori macelli della storia umana, la strage di più di venti milioni di giovani. Quindi hanno avuto modo di confrontarsi con gli altri (i nemici ‘austro ungarici’ e gli italiani di altre regioni), hanno sofferto insieme (circa 14.000 morti, più migliaia di feriti), hanno imparato a fraternizzare e deciso che da allora in poi la Sardegna non sarebbe dovuto restare più la stessa.

-Qual è il contesto economico e sociale della Sardegna nel 1921?

I nostri nonni abitavano in grande misura i 370 paesi, dove vivevano di agricoltura e di pastorizia, accompagnati dai mestieri ad esse complementari (artigianato per la sussistenza). Nelle città viveva la parte maggiore dei possidenti, la burocrazia, il grande commercio, in parte con caratteri coloniali nella cerealicoltura e nello sfruttamento dei minerali. Tornati dalla guerra chiedevano terra e lavoro. E libertà, chiamandola ‘autonomia’.

-Che cosa succede ad Oristano il 17 aprile del 1921?

Nella ex-cappella del collegio degli Scolopi (oggi è la sede del consiglio comunale), dopo che il giorno 16 si è discusso e deciso sugli aspetti assistenziali e organizzativi degli ex combattenti, si apre il congresso dei rappresentanti del costituendo Partito Sardo d’Azione, che idealmente si ricollega ai primi azionisti dell’età risorgimentale italiana. Sappiamo tutto, nome delle sezioni ed i rispettivi delegati. Ci sono tutti i capi. Camillo Bellieni viene eletto direttore (sta per segretario politico) del Partito e Luigi Battista Puggioni quale capo dell’Associazione dei Combattenti.

-Due grandi leader: Lussu e Bellieni.

Lussu viene congedato quando gli amici sassaresi e nuoresi di Camillo Bellieni e di Luigi Oggiano hanno già avviato l’organizzazione assistenziale degli ex-combattenti e si avviano a promuovere la loro presenza nell’economia (distribuzione delle terre incolte, cooperazione, richiesta di zona franca, …) e nella società politica (i tema dell’allargamento del nuovo partito d’azione a tutta la società sarda; la proposta istituzionale dell’autonomia in un’Italia federale; la promozione dalla Sardegna in tutt’Italia di partiti regionali.

Emilio Lussu è l’eroe già esaltato dai soldati in guerra e atteso quale leader del riscatto dei Sardi nei confronti delle ingiustizie della storia.

 

-Quali sono gli altri uomini della semina sardista?

Sono tanti. Intanto i deputati Pietro Mastino, Mauro Angioni e Paolo Orano. Il congresso verrà presieduto dall’ingegnere sassarese Salvatore Sale. Alcuni altri nomi: A. Balboni, C. Adami, S. Saba, S. Siotto A. Senes, A. Corda, D. Pinna, F. Dore, A Businco, G. Paazzaglia, L. Oggiano, Pala, M. Angioni, D, Giacobbe, A. Putzolu, Manca, T. Mulas, P. Pili, G. Mura, S. Pisano, E. Pisani, Melis, e intellettuali quali Egidio Pilia e Umberto Cao, autori di due importanti saggi sull’‘autonomia’; Armando Businco, Agostino Senes. L’esecutivo allargato del partito sarà composto da C. Bellieni, P. Pili, il colonello Pisani, Egidio Pilia, V. Caddeo, M. Eustachio, I. Cossu, L. Oggiano, V. Mesina, L. B. Puggioni, Alfredo Graziani.

Rappresentano la migliore gioventù che offrisse in quel momento la Sardegna, i più generosi, i più appassionati e, quasi sempre, i più preparati, nelle città come nelle centinaia di paesi dove da soli i reduci si erano organizzati. La guerra aveva fatto anche un regalo ai Sardi: aveva formato e messo alla prova una nuova classe dirigente, rispettata e stimata, attraverso i giovani ufficiali di complemento.  Fino alla metà degli anni Settanta dello scorso secolo è da quella esperienza che arriva il meglio della dirigenza politica sarda.

 

-I sardisti si dividono quasi subito di fronte alla scelta di confluire nel partito fascista?

Il 28 ottobre 1922, mentre è in corso a Roma la marcia che (con la classe dirigente e il re) avrebbe consegnato  il governo ai fascisti, a Nuoro era in corso quella che sarebbe stata la maggiore manifestazione anti-fascista della vicenda sarda. Coincideva con il terzo congresso del PSd’A (ancora non c’era la ‘z’). La sera, nella casa di Pietro Mastino, una quindicina di dirigenti avevano all’odg cosa fare se il re avesse comunque dato l’incarico a Mussolini. Nonostante alcuni chiedessero l’immediata mobilitazione dei reduci (“Chi potrà mai ritogliere al pastore e al contadino sardo la libertà che egli avrà salvato a casa sua con le armi?…”) la maggioranza decise di attendere notizie. Bellieni ci informa che a Lussu, quando salendo sul treno a Macomer venne a conoscenza dell’incarico reale a Mussolini, gli si inumidirono gli occhi. Ancora non sapeva che anche lui aveva perso quell’occasione che qualche decennio dopo avrebbe voluto recuperare attraverso la sua ‘Teoria dell’insurrezione’.

 

-Che cosa succede in quel momento?

Dopo la fatidica ‘notte di Nuoro’ il fascismo mandò dal Continente gli squadristi ad Olbia e un battaglione di carabinieri a Cagliari accompagnati da un incrociatore. Un poliziotto costrinse Lussu in ospedale ferendolo al collo. La sede e gli impianti del giorale-quotidiano sardista ì’Il Solco’ venne dato alle fiamme. Intanto il nuovo governo offriva disponibilità politica ed economica ad una Sardegna dove il fascismo sarebbe stato rappresentato dagli uomini degli ex-combattenti.

Ancora il fascismo non era conosciuto come noi oggi lo conosciamo e le divaricazioni interne ai sardisti furono incoraggiate e strumentalizzate. Ma non tutte le adesioni possono considerarsi nei termini in cui le giudicheremmo oggi. Bellieni, ad esempio, fu da subito più lucido di Lussu, ma non tardarono a ritrovarsi insieme nell’antifascismo.

 

-Quali sono gli aspetti più caratterizzanti dell’esperienza sardista?

Una nuova esperienza di fratellanza (il ‘fortza paris!’), l’autonomia quale sinonimo di libertà e di democrazia, la fiducia nel futuro. In sintesi: l’apice delle virtù civili applicate alla Sardegna (libertà, eguaglianza, fraternità) e la versione laica del messaggio cristiano (fede in se stessi e impegno creativo nel successo del proprio ruolo nella storia dei popoli, la possibilità di considerare l’altro sardo quale ‘fratello’).

 

-Tu hai studiato e ricostruito in due volumi la storia sardista. Quanto è stato difficile ricomporre le tessere di un mosaico e sfaccettato?

E’ stato un piacere e un onore, studiare il mio popolo che cerca il protagonismo nella storia.

 

-Che cosa ci sarà nel terzo volume?

La storia del Partito sardo e della Sardegna dal 1976 al 1995, i venti anni che hanno visto il nuovo spirare del ‘vento sardista’, con i Sardi che chiamano nuovamente il Partito sardo a riprendere in mano la crisi della prima autonomia, coeva della crisi delle realizzazioni della prima rinascita, operando per la difesa dei caratteri della sardità (lingua e cultura) e di una nuova promozione e organizzazione delle istituzioni sovrane del Popolo sardo (indipendenza e federalismo). Oltre alla riorganizzazione di un’economia. Pagina dopo pagina si presenta il ‘chi’, il ‘come’ e il ‘perché’ molto di questo sia ancora irrisolto, nonostante la ricchezza delle idee e delle generosità messe in campo. Arriverà nelle librerie prima della ricorrenza del centenario.

 

-Nel Psd’az è sempre stato un partito con tensioni e dolorose spaccature. Come spiegare questa accesa dialettica?

Il Partito Sardo d’Azione è davvero il partito dei sardi, anche nei loro difetti. E il rapporto di sudditanza con l’esterno aggrava il tutto.

 

-Sei stato anche dirigente sardista, vicesegretario nazionale. Che cosa ti resta di quella esperienza politica?

Ai sardisti e ai sardi resta ‘sa Die de sa Sardigna’, la Fondazione Sardinia e, personalmente,  la stima verso tanti amici che tali sono rimasti.

 

-Che cosa dire a un giovane di oggi. Come spiegargli in sintesi 100 anni di storia del Psd’Az?

C’era una volta, meno di centocinquanta anni fa, un popolo che non si sentiva sicuro di essere tale e al quale si insegnava che era italiano, che doveva pagare le tasse nella misura in cui le versavano i cittadini della Pianura Padana e lo si obbligava a fare il servizio militare per costruire l’indipendenza e l’unità dell’Italia. E, mentre nei paesi civili imperversava la Belle Epoque, i Sardi venivano studiati per ricavare dalla misura dei loro crani le ragioni della loro abitudine a delinquere. Qualche anno dopo, quei giovani decorati con la medaglia d’oro al valore militare a favore della Patria italiana, decisero di far finire questa storia (si rifiutarono di fare servizio di ordine pubblico contro gli operai che a Torino occupavano le fabbriche, guidati anche dal nostro Antonio Gramsci) e di mettersi insieme a pensare il mondo guardandolo dalla loro reale condizione e dai propri diritti di popolo sovrano nella propria terra. Era necessario che ci credessero fino in fondo, che restassero uniti, che continuassero a sperare anche nei tempi difficili. Tutto questo è ancora all’ordine del giorno. Resta tanto da fare. L’attività politica in Sardegna può essere ancora una grande cosa e una bellissima avventura. Per fortuna abbiamo il sardismo!

 

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