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CHI HA PAURA DELL’AUTONOMIA? di Lorenzo Palermo

Posted By cubeddu On 7 marzo 2021 @ 06:31 In Blog,Identità,Istituzioni,Istituzioni sarde | Comments Disabled

I vecchi vizi e gli eterni argomenti del centralismo italiano si ripresentano quasi intatti, sempre con scarsa memoria, nel dibattito sulla concessione dell’autonomia differenziata ad alcune Regioni ordinarie.

Lombardia e Veneto, sulla spinta di referendum, e l’Emilia mediante un procedimento consiliare chiedono “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, come dice l’art.116 della Costituzione.

Gli argomenti  contrari sono abusati; ma evidentemente considerati evergreen, perché non cambiano mai da più di cento anni (per restare alla storia italiana): disunire il paese, aumentare le diversità, favorire i ricchi, dimenticarsi dei poveri.
Sono gli stessi argomenti della destra reazionaria in seno alla costituente, del PCI prima del 1948, poi della destra risorgente, strettamente collegata alle urgenze “pianificatrici” dell’imprenditoria di Stato e dei suoi boiardi (ve le ricordate le partecipazioni statali?), notoriamente razza padrona delle strutture ministeriali romane che contavano; erano i tempi nei quali nulla doveva ostacolare gli “investimenti” e questi dovevano avere solo respiro “nazionale”.

Come sia finita lo sappiamo tutti.

Nonostante ciò, quando gli autonomisti prospettano i vantaggi tangibili dell’autonomia differenziata, dichiarando di voler migliorare e modernizzare –insieme – democrazia ed amministrazione in favore dei cittadini, i centralisti agitano la paura proprio di quelle popolazioni maltrattate, povere, disunite le quali purtroppo, collocate quasi esclusivamente nel meridione, sono state da decenni lasciate così: non aggiungono che le condizioni di miseria ed arretratezza derivano proprio dall’abbandono che di quei territori ha operato lo Stato, incapace di rimediare alle differenze territoriali ed a provvedere in maniera costruttiva – non clientelare o solo autoritaria – ai bisogni della gente.

In questi casi, l’invocazione della Costituzione (vorrei dire il raglio invocante la Costituzione) per criticare l’autonomia differenziata delle regioni del nord ha un suono sinistro e beffardo.

Molti non sanno che il disegno della Costituzione era enormemente più regionalista di quanto si vede oggi.

Secondo l’VIII disposizione transitoria, addirittura, “Le elezioni dei consigli regionali …. sono indette entro un anno dall’entrata in vigore della costituzione”; cioè quantomeno dal 1950.
Sappiamo che a tale disposizione costituzionale si obbedì solo nel 1970, mentre gli stessi abusati e ritriti argomenti contrari dilagavano nei giornali e nel paese.

Se errore vi fu esso consiste proprio nel ritardo e nella mancata applicazione del progetto costituzionale il quale non prevedeva solo le regioni, ma ipotizzava anche che con il loro  affermarsi le funzioni amministrative sarebbero state trasferite, lo Stato si sarebbe ritirato, il potere (di ogni tipo o quasi) sarebbe stato amministrato dagli abitanti del territorio regionale.
Oggi, 50 anni dopo, il paese non ha visto nessuna secessione, e se vi è disunità nazionale essa deriva proprio dalle condizioni di spaventosa disuguaglianza territoriale rispetto alle quali qualunque Stato centrale, anche il più efficiente, nulla può.

Disuguaglianza che il disegno costituzionale di Regioni libere e forti avrebbe eliminato o almeno attutito.

“Se ci sono disparità non dipendono dal regionalismo differenziato, perché ancora non esiste”, ha detto con serenità il ministro Erika Stefani, impegnata in questo odierno ultimo atto, per adesso, della lunga battaglia per l’Autonomia.

 

Lorenzo Palermo

 

 

Pubblicato sull’ “Ortobene” dell’ 8 marzo 2019

Con il titolo: Regioni, l’autonomia mancata e le colpe dello stato centrale”

 

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