«Così feci arrestare mio figlio», di Nadia Cossu
In aula la madre dell’imputato Dibo Elias: «Lo trovai a casa, tremava sul divano. Chiamai i carabinieri».
«Sì, ho chiamato io i carabinieri quella mattina». Il pubblico ministero Angelo Beccu, ieri, ha ritenuto «doveroso» ringraziare Graziella Spanu, madre dell’imputato Giuseppe Dibo Elias, «per aver favorito la consegna del figlio» alle forze dell’ordine che lo cercavano, la notte di Natale del 2019. «Era mio dovere» ha risposto lei, con la voce spezzata dal pianto, soffocando nel petto il suo grande dolore.
Davanti alla corte d’assise presieduta da Massimo Zaniboni, si è celebrato il processo per l’omicidio di Giovanni Fresi, il 26enne sassarese ucciso il 25 dicembre di due anni fa con un coltello da cucina all’interno della discoteca Blu Star di Ossi. Del delitto è imputato il coetaneo di Ittiri Giuseppe Dibo Elias, presente in aula assistito dai suoi avvocati Luigi e Gabriele Satta.
La donna, citata come testimone proprio dai due difensori, ha ricordato cosa accadde tra il 25 e il 26 dicembre del 2019. «Quella notte, con mio figlio, siamo stati insieme fino a tardi, poi alle due sono andata a dormire, non sapevo nemmeno che dovesse uscire. Dopo un po’ ho sentito un rumore, mi sono alzata e lui era in casa. Aveva dei lividi sul volto, mi ha detto: “Stai tranquilla mà, stai tranquilla”». Poche parole nel cuore della notte, nella loro casa di Ittiri, e subito dopo Graziella Spanu ha visto Giuseppe uscire. «Gli ho chiesto cosa fosse successo ma mi ha tranquillizzato e si è allontanato, ha detto che andava a farsi un giro. Poi sono venuti i carabinieri a casa, lo cercavano, ma non capivo cosa fosse accaduto». Ed è a quel punto che Graziella, preoccupata, impaurita, non ha potuto che fare l’unica cosa che in quel momento non rischiasse di farla impazzire: «Mi misi in macchina, con il pigiama stesso, e andai a cercarlo. Mentre vagavo per il paese mi arrivò la sua chiamata, mi disse che era a casa e allora rientrai. Lo trovai sul divano, tremava e si copriva con un plaid. È stato allora che ho chiamato in caserma e ho detto ai carabinieri: “Venite, mio figlio è qui”».Dietro le sbarre della corte d’assise il giovane, mentre la mamma parlava, teneva la testa china e ogni tanto si sfregava gli occhi.
E lei, rispondendo alle domande degli avvocati e poi del pubblico ministero, ha raccontato di un periodo difficile che la costrinse, insieme al compagno e ai figli, a lasciare il lavoro e la Sardegna per trasferirsi a Imola. «Nella primavera del 2018 ricevemmo una minaccia molto pesante. Ci dissero che sarebbero arrivate quattro macchine a casa per darci una lezione. Ce ne andammo, ero terrorizzata».
La mamma era preoccupata per il figlio: «Sapevo che con Fresi c’erano dei problemi, che Giuseppe gli doveva dei soldi, ma non conoscevo i dettagli. Non usciva più, aveva paura di questo ragazzo, seppi che lo aveva aggredito altre volte, prima che andassimo via nel 2018. E so che le minacce di morte nei nostri confronti arrivavano da Giovanni Fresi». E c’era anche la droga ad aggiungere ansia. «Mi ero resa conto che qualcosa non andava, che mio figlio faceva uso di sostanze stupefacenti. Per questo chiesi aiuto al padre che viveva in Germania. Alla fine andò lì ma quell’esperienza fu pessima».
All’estero Dibo Elias passò diverso tempo: otto anni in Germania, due in Austria, poi di nuovo in Sardegna e ancora fuori, in Olanda. Infine il rientro a Ittiri. Dove le tensioni con il “nemico” di sempre non si sono mai assopite. Quella tragica notte l’imputato aveva portato con sè il coltello, sapeva che in discoteca avrebbe incontrato Fresi: «Se senti che stasera c’è dimmelo – dice Dibo Elias la sera del 25 dicembre in un messaggio audio alla fidanzata – così gli facciamo la festa. E se qualcuno ti fa del male lo buco…».