Una metropoli sul Mediterraneo Tuvixeddu racconta Kalary, di A. B.

Con l’archeologo Momo Zucca dentro la necropoli testimone di un’isola al centro del mondo.

Tuvixeddu, l’antica necropoli punica di Cagliari, oggi richiama titoli di giudiziaria, vicende di urbanistica tra edilizia e tutela. La maggioranza dei sardi ha forse perso le motivazioni del perché un sito così prezioso debba essere tutelato.Bisognerebbe fare uno sforzo di immaginazione per godere di questa eredità, rivedere viva la città che sorgeva da Santa Gilla verso le colline da cui si domina il Golfo degli Angeli, tra il sesto e il terzo secolo a.C., quando divenne l’importante città portuale punica di Karaly. Ci accompagna in questo viaggio immaginario l’archeologo Momo Zucca. LA CITTÀ E LE NAVI«Dobbiamo pensare a un grande porto che serviva una delle città tra le più importanti del Mediterraneo – spiega Zucca -. Seguendo l’idea di volare con l’immaginazione possiamo ammirare dall’alto la città dai molti colli. Sulla Sella del Diavolo vediamo ergersi il tempio di Astarte Ericina. Il mare avanzava verso l’entroterra. Dove adesso taglia la strada 130 a quattro corsie si ergeva il porto con le sue banchine di blocchi squadrati di arenaria. A Sant’Elia il tempio dedicato al dio Bes. Il tofet, il cimitero dei fanciulli, sotto la chiesa medievale di San Paolo. Una città che non ha un’acropoli dove si penserebbe, nel quartiere di Castello, ma si erge quasi essenzialmente lungo la costa. A ponente si vede il mare che si insinua con una baia profondissima, 8,7 chilometri di lunghezza per 3 di larghezza verso l’interno. È la foce del Cixerri e del Rio Mannu. Come il porto si apre verso le rotte di oriente: la Sicilia, Grecia, Creta, Cipro e a occidente nella penisola iberica, a sud Cartagine, i due fiumi sono strade verso l’interno, quelle che portano ai commerci con gli indigeni, i sardi che ancora vivono nei loro insediamenti, nelle capanne all’ombra di nuraghi come quello di Barumini e nelle città stato come Nora, Cornus e Tharros».

I sardi tra il sesto e il quarto secolo a.C. sono gli eredi della grande civiltà che ha eretto i nuraghi. Le grandi torri non vengono più costruite ma sono un simbolo orgoglioso per gli eredi di antenati mitici. Forse nel loro nome e ricordo vengono scolpite le grandi statue degli eroi guerrieri di Mont’e Prama. I sardi commerciano già da secoli con i fenici arrivati da oriente, i loro insediamenti sono empori multilingue e una ricchezza che gli isolani tengono in pugno e amministrano.

E questo accade anche nel golfo di Cagliari. Fino all’arrivo della potenza cartaginese. «I punici conquistano l’isola armi alla mano, Karaly si sviluppa nel 510 a.C. – spiega l’archeologo -. Ma come avviene in Sicilia con i Siculi, Sicani e gli Elimi, altri popoli che cedono alle armi di Cartagine, la loro civiltà non viene spazzata via. Dove si incrociano i fiumi Cixerri e Rio Mannu sorgeva un insediamento nuragico, in particolare nell’isoletta di San Simone, dove l’archeologo Giovanni Ugas ha scoperto vasellame nuragico del VII sec. a. C. Il porto di Santa Gilla aveva, sicuramente, visto salpare le navi dei sardi verso le rotte e gli scambi intensi con le altre civiltà che si affacciavano sul Mediterraneo. A Santa Gilla sono stati trovati frammenti di ceramiche proto corinzie dell’ottavo secolo a.C., le rotte verso l’interno funzionavano anche allora. A Capo Sant’Elia la grotta dei Colombi, a picco sul mare, ha restituito frammenti di ceramiche nuragiche a decoro geometrico, sicuramente non un’abitazione ma un luogo di culto».

L’ISOLA RICCA. I tempi adesso sono cambiati, altre civiltà sul finire dell’Età del bronzo si affacciano sulla porta della storia«Cartagine è una città portuale e una potenza navale. Le ricchezze della Sardegna sono essenziali per il suo progetto di espansione: si tratta prima di tutto dei metalli e del legname. Materiali indispensabili per la guerra e per la cantieristica navale e quasi del tutto assenti sulle coste del Nord Africa, e presenti, invece, in grandi quantità nel Sulcis, nella foresta dei Sette Fratelli – dice Momo Zucca -. Sono le strade d’acqua, sempre il Cixerri e il Rio Mannu, che portano verso l’interno e le pianure del Campidano, a trasportare queste ricchezze verso il porto di Karaly. Ma non è una strada di sola andata o di rapina, ma anche e sempre di più di scambi: preziosi oggetti, ceramiche greche arrivano fino ad Aritzo e Orgosolo. È la Sardegna che fornisce la maggioranza del vino per Cartagine già dal 770-650 a.C. È questo che rende la città sarda una metropoli di prima grandezza e di estrema importanza nello scacchiere che si va determinando nella pianura d’acqua, piena di scambi e popoli, che è il Mediterraneo. Il rapporto con i sardi crescerà sempre di più in una relazione di interscambio commerciale che diventerà alleanza politica e militare. Tutto è provato bene nella rivolta anti romana del 215 a.C. capeggiata da Ampsicora. Il dux sardorum, come lo definiscono i romani, vive nella città sarda di Cornus (urbs Cornus viene chiamata da Tito Livio). Quando parte per cercare l’aiuto degli Iliensi dell’interno per la sua guerra, lascia a capo dell’esercito e della città suo figlio Iosto. Non è succube o vassallo di Cartagine, ne chiede l’alleanza da pari».

LA PORTA SUL MONDO. Ecco disegnata meglio nel dettaglio la grande Karaly punica col suo porto aperto verso il mondo, custodito da potenti divinità come Bes, il dio che arriva dell’Egitto, scaccia il malocchio, protegge la casa e assicura quindi l’approdo fortunato. Astarte che veglia sul mondo, da oriente a occidente, anche come Iside e Afrodite, terribile e amabile dea dell’amore e della guerra. Nel porto con le acque smeraldo di Karaly, accanto alle saline popolate di fenicotteri, quando i venti lo permettono, arrivano centinaia di navi. Portano mercanzie di popoli lontani e ripartono, dalla grande isola al centro del mondo, cariche di nuove merci. Sono governate da uomini che parlano tutte le lingue, imbarcazioni protette da divinità che mantengono la loro potenza ma assumono nomi diversi a seconda dell’idioma con cui si reclama la loro grazia.

Come la più grande necropoli del Mediterraneo arrivata a noi dopo mille oltraggi e vicissitudini ci racconta questa città-porto? «Tuvixeddu con la necropoli del colle di Bonaria e il tofet di San Paolo sono le città dei morti di una delle più importanti metropoli del Mediterraneo occidentale e capitale commerciale della Sardegna – sottolinea Zucca -. La sua importanza, il suo peso politico ed economico, per il mondo punico è rappresentato da numerose inumazioni importanti. Si tratta di tombe per l’aristocrazia urbana e sacerdotale, di una comunità retta dai sufeti, i magistrati elettivi cartaginesi. Quindi non è un insediamento o una lontana colonia ma quasi una seconda Cartagine, un’altra capitale, verso cui si inviavano personaggi eminenti».

LE STORIE SEPOLTE«Un esempio straordinario di quanto queste tombe ci parlino del mondo dei vivi ci viene dalla tomba detta dell’Ureo – racconta l’archeologo -. Una decorazione in stucco dipinto con motivi di palmette, fiori di loto, maschere e il cobra a quattro ali: l’Ureo della corona dei faraoni egizi con le due pupille cilindriche che fissano con una intensità inquietante. Nella tomba del guerriero una figura nuda di uomo brandisce una lancia contro un mostro non più visibile. È il dio Sid, lo si riconosce dalla tiara piumata che porta in capo, la stessa divinità adorata nel tempio di Antas. Potente entità che i romani chiameranno Sardus Pater. Le religione e i riti funebri si espandono, ritroviamo le maschere apotropaiche, i rasoi amuleto, tutti portati punici anche nelle regioni più interne».

MISCELA DI GENTI. Sono incroci di religioni, popoli e culture, una lenta ondata che muove dall’oriente, attraversa l’Egitto, naviga sulle rotte dei fenici, si incontra con la cultura nuragica, si abbatte da sud nell’isola con i cartaginesi mischiando i geni, cancellando universi culturali e aprendone di nuovi, ampliando il flagello della malaria, già noto dal 3000 a. C..

Ma come in questa città dei morti, con le sue 1100 tombe scavate come rifugio sicuro dentro le ossa della madre terra, niente si sovrappone completamente, annulla il passato o tiene a distanza lo straniero lontano. Ogni cosa sembra rinascere dalle morti precedenti per ricollegare il filo della vita.

Ripercorrendo la storia, la grande civiltà nuragica viene soffocata dalla forte Cartagine, i suoi porti conquistati, le vie del commercio interrotte, seguiranno guerre con vittorie e sconfitte da ambo le parti. I due popoli troveranno col tempo un modo per vivere in pace, mischiare profondamente le culture e, come si è detto, dare vita a una forte alleanza contro la nuova super potenza che si affaccia sul Mediterraneo: Roma. «La città sopravvive alla conquista romana dopo la prima guerra punica del 238 a.C. Forse troppo preziosa per essere rasa al suolo come avverrà per la “delenda Carthago” nel 146 a. C – continua il suo racconto Momo Zucca -. I romani si insediarono a est rispetto alla Karaly punica, creando “il vicus munitus Caralis”. Un insediamento fortificato, parallelo alla città punica con cui, sempre nel secondo secolo avanti Cristo, si fonderà creando la Caralis capitale della provincia romana. Questo sovrapporsi, mischiarsi di potere e culture lo si evince molto bene dalla moneta ritrovata a Cagliari del 40 o del 38 a.C., che riporta l’immagine dei due sufeti Aristo e Mutumbal Ricoce, e sul retro quella del templum Veneris. Iscrizioni in latino per una carica amministrativa punica e una dea romana. A lungo l’isola avrà un volto punico-romano – conclude l’archeologo -. Sulle pendici del colle di Tuvixeddu anche i romani crearono la loro città dei morti, lasciandoci testimonianze straordinarie come la Grotta della Vipera». La più grande necropoli fenicio-punica sarà una presenza costante nella vita di Cagliari, un luogo sempre visibile e perfino sempre abitato. Si rifugeranno sulla collina gli abitanti dopo la distruzione da parte dei pisani della capitale giudicale Santa Igia. Sarà sempre un rifugio per i più poveri e nel secondo dopoguerra per gli sfollati dai bombardamenti. Fino al triste destino della speculazione e dell’industria edilizia che ferisce il suo volto scavando i tunnel per la cava dell’Italcementi negli anni ’60 e ’70. La collina traforata dalla pietà dei vivi per ospitare le spoglie dei loro cari resta una delle più importanti testimonianze della storia della Sardegna e dell’intera umanità.

La Nuova Sardegna, 28 febbraio 2021

 

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