Una nuova repubblica contro il declino, di MARCO ZATTERIN
Rifondare le aspettative per curare la politica. Con la politica in crisi cala la qualità degli eletti. Capussela: serve una nuova organizzazione. Molto simile a quella promessa da Draghi.
La notizia è in testa, come si deve. «L’Italia è in declino perché è organizzata in modo iniquo e insuffìcìente», con l’aggravante di non essersi mai davvero domandata come abbia fatto a precipitare negli abissi del malessere diffuso. Certo non è colpa dell’euro, avverte subito Andrea Capussela, economista di ottimo curriculum, visiting fellow alla London School of Economics. Piuttosto, argomenta, il danno si deve a mali strutturali ben noti, economici e istituzionali. E non soltanto.
In questo «giorno primo» del governo non-tecnico di Mario Draghi colpisce sopratutto la fetta di responsabilità pesante e lorda che lo studioso attribuisce «all’usuale dialettica politica che nasconde i problemi di fondo dietro quelli secondari». Essa si è imposta come «reazione di una società sfiduciata» che riconosce la debolezza delle élite, nella furia di gente che ha patito la crisi degli ultimi decenni ed è delusa dal voto itinerante con cui ha inseguito più i sogni che le soluzioni, più la percezione che la realtà. Così, non incomprensibilmente, molte donne e molti uomini hanno smesso di vedere risposte possibili. E hanno lasciato che il declino, protagonista (per ora) incontrastato dello scorcio che viviamo, facesse il suo corso.
Capita da un quarto di secolo, ma – evviva! – non sarebbe irreversibile. Basterebbe aprire gli occhi e praticare il buon senso, ristabilire i valori, magari distribuendo rispetto, etica e volontà virtuosa sino a favorire una «Rifondazione repubblicana». Nel chiudere la prefazione del suo Declino Italia (Einaudi, 144 pagine, 12 euro) Capussela confessa di vedere lo spazio intellettuale per un Paese diverso e all’altezza delle possibilità. Sentenzia che «il pessimismo è una scelta». Ma è chiaro che occorre coraggio.
La lunga ola che saluta con poche eccezioni l’arrivo di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio probabilmente conforterebbe il cuore dell’economista. Come il discorso programmatico dell’ex banchiere centrale, il suo saggio si offre non come fotografia ma come specchio. Il popolo della Penisola può leggere e vedersi ritratto, con le grandi potenzialità troppo spesso nascoste e tradite, gli evidenti difetti reiterati non senza bagnarsi miseramente nell’illegalità.
Le ragioni economiche del tracollo sono quelle che da anni leggiamo nei bollettini della Banca d’Italia come nelle raccomandazioni della Commissione Ue. Capussela le riassume in una frase: «l’Italia ha smesso di crescere perché ha smesso di innovare». Ciò è successo perché – analizza-, rispetto alle rivali europee, le nostre aziende sono più piccole, meno capitalizzate, meno stimolate dalla concorrenza, peggio gestite, senza tralasciare che si muovono in una scena di regole inadeguate. Un disastro.
Ne consegue che viviamo sdraiati su una bomba d’incertezza che alimenta povertà e diseguaglianze. Con un’aggravante. Il talento insegue il reddito e, dalle nostre parti, il reddito tende a manifestarsi più generosamente in attività socialmente dannose, la rendita, la corruzione, la predazione. Risultato: «La bassa mobilità sociale e ladebole supremazia della legge distorcono la distribuzione dei talenti italiani».
Troppo debito, inefficienza dello Stato, riforme ineludibili mai fatte. Capussela sembra il ghostwriter di Draghi. Col vantaggio di poter apertamente parlare male dellaclassepolitica ( e della stampa), privilegio che il neopremier può concedersi solo fra le righe e con misura.
Già, la politica. Il declino, nota l’economista, è frutto di problemi di azione collettiva che si segnalano nella «drastica caduta della qualità dei parlamentari», come nella «retorica addirittura violenta» di eletti e candidati, sebbene «gli interessi materiali li conducano a colludere». Racconta la volatilità di un elettorato confuso, il trasformismo «molecolare» alla Gramsci. I partiti sono l’uovo e la gallina. Sono l’acceleratore del male e la sua conseguenza. Finché viene il punto di rottura e spunta SuperMario nel tripudio generale.
Capussela nega il pessimismo come religione, ma ricorda che non è per nulla facile fermare il motore dei declini. «L’esito di Mani Pulite fu deludente», si sovviene. Il libro spiega bene perché e, pagina dopo pagina, matura la convinzione che l’oggi sia una tragedia già scritta e inevitabile. Arriva così a descrivere una spirale composta da «circoli viziosi distinti ma armonici che schiaccia l’Italia su un equilibrio politico-economico meno equo ed effìcìente deisuoipari».Potrebbeandare peggio, concede, ma qui a salvarci interviene la partecipazione all’Ue e la qualità di molti cittadini. Sollievo.
Ce la faremo? Possibile. Sono danni reversibili.
Come? «Cambiando le aspettative dei cittadini», risponde Capussela. Il senso è che la profezia funzionerà se i cittadini riterranno che una grande percentuale fra loro è pronta a credere nella efficacia dei suoi vaticini. «Per questo serve una organizzazione», punteggia. Ai sensi della teoria dell’azione collettiva, sarebbe«per condurre la battaglia e delle idee, e per costruire sui risultati un programma politico credibile».
In altre parole, e questo Capussela poteva solo immaginarlo (o sperarlo), è proprio quanto potrebbe accadere col meccanismo generato dalla chiamata di Draghl a Palazzo Chlgi. «Una rifondazione repubblicana», suggeriva il saggio. Per far diventare i cittadini «più esigenti». Per ridare speranza e fiducia. Ci si può riuscire affermando che«funità è un dovere guidato dall’amore per l’Italia». Concetto draghlano che potrebbe calzare bene a una futura edizione di Declino Italia. Ora che – nello specchio della crisi- si guarda un Paese che potrebbe aver scoperto la voglia e il piacere di essere diverso da come si è dipinto troppo a lungo. -
La stampa, 19 febbraio 2021