Quando Antonio Simon Mossa scrisse un audace manuale di cinema, di Caterina Pinna
«Il sottotetto della casa di famiglia, come tutte le soffitte, è stato per lungo tempo il luogo dove i miei genitori, con cadenze annuali, riposero gli oggetti e gli arredi obsoleti. (…). In quella mansarda c’era una stanza, il cui accesso era impedito da una porta serrata con un chiavistello arrugginito…nella quale non potevo entrare». Basta questo ricordo d’infanzia di Pietro Simon, il più giovane dei cinque figli di Antonio Simon Mossa, per restituire intatta l’emozione di una magnifica scoperta: un manuale ragionato sul cinema che l’intellettuale sardo, talento eclettico capace di attraversare più interessi, dall’architettura alla politica, aveva scritto negli anni in cui studiava all’Università di Firenze. Carte, custodite nella stanza proibita, e ora diventate un libro in cui si svela l’anima appassionata di un amante del cinema. E già il titolo curiosamente bilingue, tedesco e italiano, “Praxi un Kino. Prassi e cinema” dice dell’urgenza di far entrare nell’idea di cinema l’esperienza concreta.
«L’ingresso – scrive ancora Pietro Simon – fu entusiasmante». Davanti ai suoi occhi un mondo fatto di cartoni, un comò e una pila di vecchie cassette di faggio, scrigno di un tesoro: sceneggiature, pagine del copione di “Bengasi”, realizzato nel 1942, di cui Simon Mossa fu aiuto regista. «Lo scorrere con gli occhi e con il cuore delle sue pagine di cinema, mi portò al ricordo sempre vivo delle serate in famiglia davanti alla tv». Anni ’60 e la Rai trasmetteva capolavori come Ombre rosse o Vite vendute.
Tenerezza
C’è tanta tenerezza nelle parole di un figlio che ritrova e riscopre il padre perduto troppo presto. Ma il merito di Pietro Simon è di aver raccolto quelle carte e cercato la via più giusta per dargli una vita alla luce del sole.
È nato così “Praxis und Kino-Prassi e cinema”, pubblicato da Rubettino, prefatto da Gian Piero Brunetta, con la collaborazione del Centro sperimentale di Cinematografia e della Società Umanitaria Cineteca Sarda. La critica è affidata ad Andrea Mariani, docente di Teoria dei media all’Università di Udine, specializzato sul cinema del cinema del periodo fascista. «È un lavoro preziosissimo – spiega Mariani – perché è l’opera più complessa e ricca sulla teoria del cinema fatta da giovani nel periodo fascista. Sono loro e tra questi Simon Mossa, all’epoca studente di architettura a Firenze, a guardare a quest’arte con occhi diversi, discostandosi dalla teoria crociana idealista che escludeva qualsiasi riferimento tecnico e tecnologico».
I Guf
I giovani dei Guf, i gruppi universitari giovanili – «un nucleo quasi di avanguardia con privilegi impensabili: per esempio non passavano alla censura» – ribaltano l’approccio dominante e fanno diventare tecnologia ed esperienza diretta, il cuore. «Il lavoro di Simon Mossa lo testimonia con grande lucidità – osserva ancora Mariani – gli aspetti della pratica sono i più importanti». Il tesoro ritrovato «è particolarmente prezioso perché di quel periodo non c’è nulla di così articolato e complesso. Antonio Simon Mossa – osserva ancora lo studioso – si lascia contaminare da tante discipline, la matematica, l’architettura che lui studiava in quegli anni a Firenze, e ha intuizioni sbalorditive. Siamo davanti a un modo di esplorare molto originale, figlio di una generazione e un’epoca. In questo lavoro, oltre ad aprire una strada nuova, ci sono piccoli germi di una cultura alternativa. Era davvero un creativo, che aveva letto testi importanti».
Carteggio
Chi ha tra le mani “Praxis und Kino” troverà anche alcune lettere scritte a un altro grande sardo che ha dedicato la vita alla cinepresa e al documentario, Fiorenzo Serra. Amici, condivisero la passione, alla quale però Simon Mossa volle rinunciare. Scrive Alessandra Sento, direttrice della società Umanitaria di Alghero: «Voleva pubblicare il suo manuale su “Bianco e Nero”. Questa edizione serva a risarcire il nostro debito di riconoscenza nei confronti di un intellettuale funambolico. (…) a noi spetta il compito di raccontare questa storia. Quella del cinema, passione e condanna della sua vita. Assoluto e incondizionato amore. Non corrisposto. Vissuto solo a metà».
Caterina Pinna
La Nuova Sardegna, 5 febbrao 2021