Nereide Rudas poetessa e il suo impegno sociale.

Rubrica curata da Maria Michela Deriu, con un ricordo di Giuseppe La Sala Dubois.

Nota dell’amministratore del sito: Due poesie che rappresentano la lezione appresa dagli eventi del 1989 con la fine del comunismo: difficile dire di più e di meglio di quanto non sia riuscito a Nereide Rudas in queste poesie.


La prima fototessera del giovanissimo Antonio Gramsci.

L’impegno sociale di Nereide rappresentava l’essenza della sua ragion d’essere fatalmente insita nel suo quotidiano.

Emozionalmente ed intellettualmente era dedita all’altruismo e riteneva che nessun malato era più fragile e bisognoso di aiuto di colui che era leso nella mente.

Agognava una società più giusta e fraterna e ha condiviso con l’amico Umberto Cardia il pensiero che già fu di Gramsci ritenendolo foriero della sua sognata società ideale ed immaginandola realizzata nella sua amata Sardegna.

Per lei fu drammatico il risveglio dal sogno in occasione degli eventi che hanno caratterizzato la fine degli anni ‘80 con il crollo dell’ideologia in cui ha creduto.

Costituisce una rivisitazione di drammi sofferti.

”CHIAMAMI MOLTI ANNI FA”: Berlino, Dallas, Praga, Cile e di speranze vissute ormai lontane, ma che ricorda e vuole ricordare.

Ma la realtà è quella.

‘SCRIVIMI MOLTI ANNI FA”: in molti errammo fascinati da un sogno, perduti ci ammalammo della falsa coscienza.

Fedeli a icone vuote con truccati dadi giocammo la partita. Ora siamo freddi e nudi,

come Chisciotte, privati del delirio.

Il mese di ottobre di quel lontano 1989 ha segnato un cambiamento epocale delle ideologie e delle coscienze.

”FRA MOLTI ANNI”, forse il sogno ritornerà “sotto gli arcobaleni”.

Un amico, Giuseppe La Sala Dubois.

 

Ringrazio il professor La Sala per l’esplicazione contestualizzata della lirica che ”Fa rivivere ricordi a chi non più giovanissimo” o, aggiungo, a chi, troppo giovane, ”ne è stato” o non ha potuto ”essere attento testimone.”

 

Successivamente alla criptica lirica ”Chiamami molti anni fa” presenterò ”Gramsci la radice di un sogno”.

 

Chiamami molti anni fa

Chiamami

molti anni fa

in quell’ora

omessa dai quadranti

quando il sole brillava

d’un raggio verde

che non riuscii

a vedere.

Chiamami

molti anni fa dalla sponda del sogno,

ove tutto luceva

persino il nero

d’una bottiglia vuota.

Telefonami da Berlino

prima del muro,

da Dallas prima degli spari,

da Praga

prima della morte dei fiori,

da Tien An Men

prima dei carri,

da Beirut

prima che Picasso

la vedesse in Guernica.

Telegrafami

dal Cile

che Allende non è morto

e dagli States

che i giovani americani

non partono per il Viet

ma giocano nel sole.

 

Scrivimi

molti anni fa

prima della discesa…..

Sbarazza la valigia

da doppiezze e da torti

da alibi e tradimenti,

confusi tra i calzini

e i colpevoli doni.

Abbandona

l’Io diviso

nel gioco degli specchi.

Non tentarmi

con la tua malattia,

non convincermi

con la tua caduta.

 

In molti errammo

fascinati da un sogno,

perduti ci ammalammo

della falsa coscienza.

Fedeli a icone vuote

con truccati dadi

giocammo la partita.

Ora siamo

freddi e nudi,

come Chisciotte,

privati del delirio.

 

Chiamami

molti anni fra,

quando non ci sarò

quando dormirò

e forse sognerò

sotto gli arcobaleni.

Ottobre 1989.

 

 

In molti errammo fascinati da un sogno.

Nereide Rudas era una donna concreta che al sogno univa l’azione.

E’ nota la sua lunga militanza nel PCI.

Al fine di non annoiarvi con un lungo elenco ricordo gli incarichi più significativi.

In seguito al congresso della Federazione regionale comunista del 1957 venne istituita una Commissione Culturale, tra i componenti spiccava per impegno e l’originalità di pensiero Nereide Rudas.

Il suo contributo politico si espresse sopratutto nell’Unione Donne Sarde e poi nell’istituto Gramsci.

La sconfinata ammirazione di Nereide Rudas per Gramsci è espressa ne L’isola dei coralli, dove l’autrice dedica al grande pensatore di Ales un intero capitolo.

 

”La vita emblematica di Gramsci e la sua straordinaria opera rivelano una ricchezza e una problematicità che restano per certi versi inesplorata. La sua biografia, che emerge specie nelle Lettere, disegna una grandiosa testimonianza umana, culturale ed etica, capace di commuovere e insieme di sollecitare cognitivamente antichi e nuovi lettori.”

 

Stilisticamente in ”Gramsci: la radice del sogno” mi ha colpito, al centro della lirica, una

improvvisa e lunga sequenza di antonimi altamente descrittivi. Questo rompere con uno schema fisso penso sia un grande sintomo di innovazione e libertà o meglio come definiva lei stessa la possibilità del ”pensiero divergente”.

 

 

Gramsci: La radice del sogno

A Umberto Cardia

 

Al cader delle foglie

i monti e l’altopiano

aprivano la mano,

le dita liberavano

mandrie e pastori.

Truppe notturne

di greggi indrappellate

guadagnavano il piano.

Fischi, latrati, passi,

lacci, belati, sassi,

tramestio di sonagli,

zoccoli e gambali,

uomini, pecore e cani

guadavano il lontano.

Figure mute, altere,

ritte su corti trotti,

feritoie avide d’occhi

da calate visiere

scrutavan caccie grosse,

superbi cieli d’erba

occasioni e bardane.

La montagna sciamava

in rivoli animali.

 

Un fanciullo ascoltava

la diastole autunnale,

il suono che esiliava

la montagna pulsante.

 

Riposare/vegliare

fame/sazietà

stare/andare

costanza/novità,

confinarsi/spaziare,

centro/perifericità

transumare/stanziare,

cambio/identità,

passare/ostacolare,

caso/volontà

sottostare/sfidare,

carcere/libertà.

 

Fuori la vita

i cancelli assediava.

Solo un recluso

il tempo by-passava

nel tempo.

Pascoli maternali

brucava,

nel marsupio d’erba

covava

nascite-idee verticali.

La sua mente

in extracorporea

vorticava.

Da una ferita del muro

un raggio di luce entrò:

palpabile/impalpabile

il pulviscolo turbinò

per il Mondo socchiuso,

nella frattura decifrò

l’altra faccia della Storia.

Raggio,

assenza dello spazio,

della memoria,

dell’in-naturale legge

dei ritmi circadiani

d’uomini e di montagne.

Luce,

ombra del progetto

insonnia di frangere

l’orologio di pietra.

Nei quaderni seminò

alberi e parole,

nubi e cavalli

segni e sogni.

Ereditari passi

d’antiche transumanze

camminaron il viaggio….

Novembre 1988

 

 

Il sogno di Gramsci si ricollega probabilmente al fervore culturale e sociale che si viveva alla fine della prima Grande Guerra.

Scriveva Gramsci nel novembre del 1917.

”Tre anni di guerra hanno reso sensibile il mondo.

Noi sentiamo il mondo; prima lo pensavamo solamente.

Sentivamo il nostro piccolo mondo e ci saldavamo alla collettività più vasta solo con uno sforzo di pensiero, con uno sforzo enorme di astrazione”.

Ora la saldatura è diventata più intima. Vediamo più distintamente ciò che prima era incerto e vago.

Vediamo uomini, moltitudini di uomini dove ieri non vedevamo che Stati o singoli uomini rappresentativi”.’

 

Antonio Gramsci -Cronache Torinesi -Correva l’anno 1917

E’ la nascita del sogno.

Taccio ,

ha già parlato la Storia.

 

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