Luigi Oggiano, “LA BARONIA di Posada, primo tentativo di ricostruzione storica”, di Antonello Pipere

La Baronia di Posada è un saggio di carattere storico con il quale Luigi Oggiano affrontò la sua dissertazione di laurea nel 1914 nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università di  Sassari. Il testo,  pubblicato mentre l’autore svolgeva il servizio militare, uscì nella rivista Archivio Storico Sardo (XII volume, 1916-1917), edita a Cagliari e diretta da Arrigo Solmi.

Le numerose citazioni del saggio, effettuate nella seconda metà del Novecento, ne mettevano in evidenza l’importanza nell’ambito degli studi storici locali. Da qui l’idea di una nuova edizione, di proporre ai lettori una nuova ristampa, effettuata a seguito di una comparazione tra la copia pubblicata a suo tempo e una copia autografa, fortunatamente lasciata da Oggiano e recentemente digitalizzata dal Comune di Siniscola insieme a un nutrito corpus di documenti storici.

Questa riedizione appare in una veste grafica riveduta, completa di note bibliografiche, di alcuni paragrafi e di un’appendice documentaria espunti nella prima stampa, insieme a quelle parti più liriche e circonfuse di idealità giovanili attualmente riscontrabili in numerosi brani. In premessa al volume compare una prefazione di Angelo Castellaccio che permette di collocare la ricerca di Oggiano nel contesto formativo e nell’ambito della storiografia dell’epoca.

Sotto il profilo dei contenuti il saggio va visto come “un interessante excursus sulle vicende della Baronia”, suddiviso in tre capitoli nei quali l’autore delinea le origini degli insediamenti nell’area baroniese, la nascita di Feronia Polis, l’affermazione del sito romano di Portus Luguidonis fino alle dominazioni pisana e aragonese. Seguono altre sezioni sulla natura giuridica del feudo, sull’affermazione della curatoria, sul momento dell’infeudazione e un’accurata ricostruzione dei diversi passaggi di proprietà del feudo, fino al riscatto definitivo nel 1841, in epoca sabauda. Nell’ultima parte, infine, è raccolta un’appendice di fonti storiche consultate da Oggiano. Tra gli autori esaminati vi è il Fara, lo Zurita, l’Angius, lo Spanu, il Tola, il Besta, il Pais e alcuni importanti documenti trascritti dall’autore nell’Archivio di Stato di Torino. Si tratta di un quadro storico descritto nella sua evoluzione, diacronicamente, attraverso le fasi evolutive, all’interno di un contesto locale fino ad allora inesplorato, all’interno di un quadro generale che permette di comprendere le dinamiche storiche che hanno coinvolto il territorio baroniese e la Sardegna nelle diverse epoche. Si tratta di un testo di facile lettura, ispirato da autentiche motivazioni ideali, specialmente dove Oggiano affronta il tema delle dominazioni nel territorio e nell’Isola, con “un’attenzione schietta verso le conseguenze negative delle egemonie straniere sul territorio locale” (Strinna).

A distanza di oltre un secolo da quella prima, giovanile pubblicazione, con la tesi di Oggiano la conoscenza attuale sul territorio baroniese si è arricchita di altre ricerche e di nuove informazioni, specialmente nel settore archeologico. Per gli studiosi successivi la “Baronia di Posada” di Oggiano è stato un testo ineludibile, una tappa obbligata fino a delineare uno scenario attualmente più nitido, arricchito anche da fonti determinanti, come quelle degli archivi della Corona d’Aragona.

Su un altro piano di lettura il testo è da situare criticamente all’interno dell’itinerario intellettuale e politico dell’autore, osservabile come una sorta di palestra giovanile sulla ricerca storica, un primo avvicinamento allo studio dei fenomeni sociali, un fecondo esercizio sulla scrittura: aspetti che contribuiranno a formare l’intellettuale e a darne esiti più maturi nell’azione politica con il ritorno dalla guerra. Infatti, in queste pagine è rintracciabile il giovane studioso, neolaureato, ma anche il liceale dell’Azuni che ha respirato attivamente l’ambiente della Sassari giolittiana dei primi decenni del Novecento; infine vi affiora, in nuce, il futuro dirigente sardista, forte di una cultura giuridica universitaria e di quella necessaria abilità di discernimento critico che poi eserciterà attivamente nel corso dell’avvocatura nel foro di Nuoro. Anche per queste motivazioni il testo si propone ai lettori con pagine suggestive, di notevole interesse, con una scrittura ricca di aulicismi e di richiami colti di carattere letterario derivanti dalla formazione accademica.

Del saggio  si propongono alcuni brani significativi.

 

Luigi Oggiano, La Baronia di Posada , primo tentativo di ricostruzione storica, 1914.

Le prime popolazioni nell’area di Posada

“Prima che il dominio dei Cartaginesi si affermasse definitivamente, erano sorte in Sardegna, e in particolar modo nelle coste orientali che un piccolo tratto di mare separa da quelle tirrene, varie colonie etrusche.

La breve distanza dell’isola e il genio della nazione, doveva naturalmente spingere gli etruschi, non solo a conoscere le spiagge sarde, ma ad abitarle o stabilirvi veri e propri mercati e centri commerciali. Le terre del litorale anzi, a prescindere dal fatto che si presentavano assai ricche di prodotti naturali da sfruttare, erano necessarie alla loro fortuna marittima, poiché porgevano ad essi una stazione media opportunissima alle consuete navigazioni per la Spagna e per l’Africa.

La parte orientale della Sardegna che da Orosei va sino a Terranova, si presentava come la più comoda e per la vicinanza alla madre patria e per i porti, ad un loro stanziamento.

Si ha notizia infatti di popoli Aesaronenses e di popoli Carenses, stabiliti i primi lungo la spiaggia tra Orosei e Posada, raccolti intorno ad una capitale Aesar, ed i secondi a nord di Posada aventi per capitale Cares. E furono certamente gli etruschi a fondare il luogo, ove oggi sorge Posada, Feronia, così chiamata dal nome di una divinità tutrice dei Toschi: da lei i popoli che le diedero origine tolsero il nome di Feronienses.[…]

La curatoria

A capo della curatoria, sotto il governo dei Giudici, era il curatore, il quale aveva sede a Posada, come nella villa più importante del distretto.

Trovavan compenso nella partecipazione ai proventi derivanti dall’esercizio della giustizia e in certi servigi dovuti a loro personalmente come le “Silvas de curadore” e le “operas de curadore”. Erano eletti direttamente dal regolo, non a vita bensì a tempo, e duravano forse in carica cinque anni. La Curatoria era amministrativamente e giudiziariamente divisa in “scolche” e “ville”, a capo delle quali stava il majore de villa che aveva funzioni di polizia sovrattutto, e intorno alle quali era poi una fioritura di altre distinzioni e divisioni amministrative.

La giustizia civile e criminale era sovratutto, e naturalmente in diverso grado per la diversa autorità degli ufficiali, nelle mani del curadore e del majore de villa. I quali nel dispensarla erano sempre assistiti dai “bonos homines” scelti fra i paesani più distinti per onestà e buon senso. Supremo magistrato era il giudice al quale pare fossero deferite le cause in appello.

La Curatoria era naturalmente sottoposta al pagamento di certi tributi che, secondo il Besta, erano i seguenti: su dadu o datu, percepito direttamente sul patrimonio dei sudditi, secundu sa forza issoro; sa collectura o colta, non più corrisposta in danaro come il primo, ma in derrate o in animali, ed altri di natura indiretta, di cui non fa mestieri tener parola, rimandando chi voglia averne un’idea esatta allo studio esauriente del Besta .

Il passaggio dalla curatoria al feudo

(…) Questa forma di amministrazione della curatoria del Montalbo pare si sia conservata perfettamente identica in ogni sua parte sotto i Pisani, poiché non risulta che qui vi abbiano essi introdotto, come altrove nella Sardegna, gli ordinamenti e gli statuti del Comune: forse, se una mutazione per avventura s’ha da supporre come avvenuta, essa fu semplicemente dei nomi delle cariche e degli ufficiali che lo coprivano. Ma il fondamento amministrativo non mutò neanche sotto gli Aragonesi; i quali come è noto lasciaron che la Sardegna conquistata conservasse quasi dappertutto le antiche divisioni territoriali e nei singoli distretti quel genere di amministrazione che s’era formato sotto i precedenti governi ed affermato nella tradizione.

Le condizioni politiche dell’Isola non permettevano del resto che si seguisse altra via. La curatoria del Montalbo fu, poco dopo la conquista aragonese, costituita in feudo, poiché grande cura del nuovo sovrano dell’isola fu quella di distribuirne le terre ai compagni  d’armi che avean seguito ed aiutato nell’impresa (….)

L’avvento degli aragonesi e le guerre locali

Sommamente tristi dovettero essere le condizioni della regione, dappoiché gli Aragonesi, sbarcando nel 1323 in  Sardegna, non solamente combatterono una guerra contro i Pisani, ma aprirono una serie di lotte snervanti e talvolta sanguinose, che dal 1326 –ritirata dei Pisani-si protrassero fino e oltre il 1400.

Sottoposte a pericoli e turbamenti gravissimi la pace e la sicurezza del paese, e avvicendandosi nelle lotte, il dominio aragonese come quello genovese ed arborense, non è meraviglia che le popolazioni paurose disertassero i campi necessariamente saccheggiati dalle genti comandate a combattere. Per circa un secolo la curatoria del Montalbo fu il teatro delle lotte più accanite che la casa di Aragona dovette combattere in Sardegna: la conquista del castello della Fava lo scopo di tutte le avanzate e di tutte le imprese.

E se i campi eran per le necessità della guerra abbandonati e non curati con la diligenza di un tempo, poiché l’agricoltura era la normale occupazione delle popolazioni, bisogna pensare che ad una sorte ben triste per decenni andassero incontro i nostri villaggi. La fame, la peste, la guerra ne decimarono gli abitanti. Vi furon momenti di sosta nelle armi e passarono anni di pacato dominio del Re D’Aragona o del giudice d’Arborea: troppo brevi peraltro perché potesse dar nuove e vigorose fronde il tronco in tal maniera ripetutamente e crudelmente reciso. D’altra parte nella sosta, in questa specie di tregua di Dio a lunga durata, animose e veloci come le fiere del deserto africano, apparivano sulle rade le navi dei barbareschi e ne ripartivano – dopo la strage – carico il ventre di preda e di creature umane.

Il Cinquecento e  le scorrerie dei Saraceni

(…) Dal 1511 al 1642 – per un secolo e mezzo circa – corre il periodo più oscuro e forse più doloroso di tutta la storia della Baronia.

Forse più doloroso, perché se in altri tempi le angherie dei signori e le scorrerie dei Saraceni ridussero a mal partito le povere genti della contrada, effetti ben più tristi dovette produrre l’avvicendarsi a brevi periodi di tempo di nuovi signori, per lo più viventi fuori della regione null’altro interessati che a sfruttare il più duramente possibile le popolazioni comprate, fino a quando non apparisse più conveniente lo sbarazzarsene con un atto di compravendita. Il dominio degli Ospedali di Barcellona e di Saragozza poi attesta molto eloquentemente dell’assenza di ogni principio di autorità e della giustizia dell’amministrazione (…)

La cronaca non ha registrato che alcune delle numerosissime incursioni fatte per circa un millennio dai pirati sulla costa orientale della Sardegna: ma nella tradizione dei villaggi lungo il mare, o che il mare guardano furtivamente dalla difesa delle montagne, vivono ancora i ricordi delle sventure che ad ogni declinare d’estate venivano dall’oriente, dalla parte donde veniva la luce. Certi atteggiamenti della coscienza popolare sembrano riflettere tutto intero il dolore delle povere genti, le quali sotto la minaccia di saccheggi e di catene, come sotto l’incalzare della marea, lentamente dalla costa risalivano le pendici delle montagne. Perché in un’epoca molto lontana, la quale sfugge alla nostra indagine, numerosi villaggi – per parlare della nostra regione – da Capo Comino a Tavolara, tra Orosei e Terranova, s’allietavano alla vita, stretti intorno alle rade che navigatori d’oltre mare frequentavano a scopo di mercanzia. Furono i navigatori stessi i fondatori, il primo nucleo intorno a cui convennero numerosi i figli della terra: ogni rada aveva il suo popolo intorno. Venne poi un’altra genia di navigatori, meglio pirati che mercanti, e le popolazioni si ritirarono  nell’interno, non ancora nella montagna, frapponendo tra le nuove sedi e la marina una piccola distanza, quanta si credeva bastasse a scongiurare i saccheggi e le incursioni: ed ecco tra il mare e le montagne sorgere i primi accampamenti e intorno a questi inverdire nei pascoli e biondeggiare delle messi rigogliosamente la terra. Ma nuova forza agitò e sospinse gli animi e i pirati che nelle spiagge deserte non trovavano merce e per le saetie: essi avanzavano nell’interno verso la ricchezza delle biade e degli animali, e innanzi a loro fuggirono sui monti ed entro i boschi le genti con le mandrie e coi dolori: si stabilirono nuove sedi che i barbari non avrebbero violate. Ma vennero le pesti e le carestie, all’inclemenza del cielo e all’asprezza della terra, e quelle far le genti che non furono distrutte ridiscesero al piano e si fermarono. Questo sembran dire le leggende che dipingono le vallate della Baronia ricche un tempo di villaggi e ricchi di villaggi e di piccoli altipiani intorno al Montalbo. E la terra sembra lo confermi quando all’umile aratore ed al dissodatore infaticato offre tesori e reliquie, o talvolta, quasi serbando l’impronta del ferro del fuoco sterminatori, nega al pastore il pane rigoglioso per le greggi.

 

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