Pane e casu, di Nino Ruggiu

Tempi difficili … persino di fame? Parliamone, per agire al meglio: con efficienza ed efficacia.

Negli ultimi giorni si è tanto discusso, anche sui media nazionali della misura adottata dalla Regione Sardegna che prevede la distribuzione gratuita di pane e formaggio agli indigenti con un investimento regionale di 6 milioni di euro. (Delibera della Giunta Regionale n 52/16 del 23.10.2020 in attuazione dell’art. 31 della legge regionale 23 luglio 2020, n. 22).

Siamo di fronte all’ennesima prova di come attualmente, complice anche l’emergenza epidemiologica in corso, le politiche pubbliche (a tutti i livelli) siano orientate all’assistenzialismo, a dimostrazione del non troppo sforzo di approfondimento da parte dei decisori pubblici e la “fretta” di investire risorse da aggiungere alla lista delle cose fatte.

Premesso che non è mia intenzione disconoscere il problema della povertà che affligge tristemente molte famiglie e persone in Sardegna e fatta salva la logica del “meglio qualcosa che nulla”, provo ad analizzare dal punto di vista dell’efficacia e dell’efficienza economica e quindi della capacità di stimolare processi di crescita, questa politica pubblica che rievoca molto gli interventi post bellici.

Innanzitutto la delibera regionale ci ricorda (e non sarcasticamente) che:

- I sardi si nutrono quasi esclusivamente di pane e formaggio, a maggior ragione se sono indigenti;

- La proporzione esatta tra pane e formaggio è di 1/6 contro 5/6. Questo non vale a casa dei miei genitori dove mio padre incentiva al consumo di pane almeno in egual misura rispetto al formaggio, onde evitare il ripresentarsi della fame prima del pasto successivo.

- Non esiste pane fresco, gli isolani dotati dalla natura di un apparato dentario forte, si cibano solo di pistoccu, bistoccu, carasau ed altri fantastici tipi di pane che abbiano la caratteristica di non essere morbidi.

Appurato questo, studiando la misura nel dettaglio ci si accorge di alcuni aspetti che non la rendono l’icona della semplificazione e dell’efficienza.

I 6 milioni di euro previsti (1 per il pane e 5 per il formaggio) dovranno essere gestiti dai 377 comuni sardi e saranno suddivisi per il 30% in parti uguali, per il 35% in base alla popolazione e 35% in proporzione al tasso di indigenza. Non conoscendo nello specifico i parametri di riferimento, si può dire che, considerando solo la parte divisa in parti uguali e quindi il 30% dello stanziamento, ogni comune sardo riceverà almeno € 4.774,53 (€ 1.800.000/377 comuni).

I comuni potranno scegliere se:

A) emettere buoni per gli aventi diritto (con determinati parametri reddituali) da  spendere presso i punti vendita che manifesteranno interesse rispondendo ad un bando pubblico. I produttori poi dovranno attivarsi per recuperare i soldi dai comuni secondo le convenzioni stipulate.

B) affidare a soggetti terzi il servizio completo di gestione dei buoni attraverso una gara d’appalto;

C) usufruire di convenzioni già in essere, ad esempio con enti del terzo settore (volontariato, caritas, ecc.); anche in questo caso bisognerà farlo rispettando il codice degli appalti.

Già da questo punto appare evidente come i 6 milioni non siano spesi in maniera efficiente, “scaricando” sui comuni, ed in particolare sui servizi sociali, già sovraccaricati e spesso sotto dimensionati, l’onere burocratico di gestire procedure complesse con tempi da rispettare. Potenzialmente 377 procedure diverse, per la stragrande maggioranza per poche migliaia di euro, considerando la presenza dei piccoli comuni in Sardegna!

Passiamo oltre e vediamo un altro scenario. Il comune di Sardinia Town (nome di fantasia) ha deciso di occuparsi direttamente dell’emissione dei buoni. Il comune in questione è un bellissimo villaggio del centro Sardegna, poche centinaia di abitanti, con mezzi pubblici scarsi e strade tortuose per l’accesso.

Una famiglia composta da 4 persone (padre e madre disoccupati, due figli piccoli) ha diritto a 120 euro al mese (30 euro per ogni componente). Il buon padre di famiglia ritira dal comune, con la dignità che lo ha sempre contraddistinto, i buoni e si accorge che potrà ritirare il pane presso il produttore più vicino, inserito nell’elenco di cui alla manifestazione d’interesse, a circa 40 km dal suo paese e il formaggio presso il caseificio industriale a 80 km. Purtroppo la sua auto non è assicurata (sai la crisi!) e i mezzi di trasporto non arrivano nei comuni del panificio e del caseificio più vicini a casa sua. Come potrà fare per spendere il buono?

Arrivati a questo punto direte: “Beh, dai… i produttori di pane e formaggio in Sardegna sono tantissimi e sparsi su tutto il territorio regionale. Nell’elenco ce ne saranno tantissimi, parteciperanno in massa alla manifestazione d’interesse”

Io rispondo con altre domande:

“Perché un piccolo caseificio di un paese qualsiasi della Sardegna dovrebbe partecipare ad una procedura pubblica per cedere il proprio prodotto con dei buoni che gli verranno rimborsati successivamente ed anticipare proprie risorse? Soprattutto se i numeri della produzione non sono elevatissimi ed è riuscito con fatica a piazzare tutta la produzione nel proprio piccolo mercato di riferimento?

Oppure la misura è più conveniente per quei pochi caseifici industriali che hanno necessità di svuotare i magazzini?

Si potrebbe continuare a lungo con i ragionamenti ma preferisco non dilungarmi e concludere affermando che:

- La misura per come è studiata non favorisce la spendita veloce ed efficiente delle risorse, e appesantisce le già deficitarie strutture comunali di ulteriori oneri.

- L’obiettivo di aiutare i produttori locali non è facilmente raggiungibile soprattutto per via della difficoltà per i piccoli e piccolissimi produttori di anticipare risorse anche in relazione ai numeri della produzione;

- Ancora una volta (l’ennesima e non solo a livello regionale!) si pensa ai fondi pubblici non come “moltiplicatori e stimolatori di crescita” ma come aiuti “una tantum” che non risolvono il problema ma che hanno tutto il sapore di piccole mance frutto di una visione non oltre il proprio alluce dello sviluppo locale.

- Non mi addentro in considerazioni sociali che vanno oltre le mie competenze ma mi limito a prendere in prestito alcune parole del Sindaco di Samassi che in un punto di un suo comunicato relativo al programma varato dalla Regione afferma:

…”Come si può pensare che chi non sa come sfamare i propri figli non si senta mortificato dall’esser costretto ad esporsi al pubblico giudizio per ricevere prodotti “tipici” che in quel momento prenderà solo perché ha fame. Una fame in cui l’individuo è soggetto passivo dinnanzi alle Istituzioni che si arrogano il diritto di decidere come sfamarlo.

Gli indigenti non sono “soggetti” appartenenti ad una “categoria sociale” da alimentare con ciò che il mercato non riesce a vendere, sono esseri umani che meritano sensibilità, rispetto e attenzioni ancora maggiori quando si trovano in uno stato di estrema necessità”….

Concludo (veramente!) dicendo che l’attuazione del programma di intervento dovrà essere autorizzata dalla Commissione europea che dovrà dire se gli interventi non sono considerati aiuti di stato … ma questa è un’altra storia.

 

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