Una malattia brutale che ti devasta, di Sara Marci
Lilli Mura, 61 anni, amministrativa dell’Azienda ospedaliero-universitaria e nessuna malattia pregressa, sta cercando di uscire dall’inferno Covid. Ha accetato di farsi intervistare rinunciando alla privacy. Intervistata da Sara Marci, giornalista de L’Unione Sarda, trova il coraggio di descrivere ciò che gli è successo con rara efficacia. Rende un servizio alla comunità, a tutti noi. Molto utile, per chi cerca di capire. La ringraziamo e le auguriamo una veloce e totale guarigione.
«La gente gridava tutto il giorno. Urla disumane, di dolore, di disperazione». Un colpo di tosse, «mi scusi», la voce affannata. «C’erano anziani che invocavano la mamma, di continuo. E signor Luciano, nel letto a fianco al mio, ripeteva porca vacca, porca vacca ». Signor Luciano è morto, Lilli Mura, 61 anni, amministrativa dell’Azienda ospedaliero-universitaria e nessuna malattia pregressa, sta cercando di uscire dall’inferno Covid. «Spero che le mie parole possano servire ad aprire gli occhi a tutti, a chi minimizza, a chi continua a dire che è solo un’influenza ». Nuovo colpo di tosse. «Io che sono malata Covid, e sono una malata vera, dura, vi dico che è terribile. Devastante».
Primi sintomi?
«Un mal di testa feroce, ho preso un Aulin, senza dargli troppo peso. Poi è arrivato un malessere generale, per precauzione mi sono messa in ferie e in auto-isolamento. Dopo qualche giorno è comparsa la tosse, ho perso gusto, olfatto, non mi reggevo più in piedi, Avevo fame d’aria, cercavo di buttarla giù e sembrava non ce ne fosse».
Il passo seguente?
«Il mio medico era al corrente di tutto, nel frattempo mi aveva messo in malattia per influenza.Ma era ovvio non fosse solo un’influenza. Quando mi chiamarono dall’ospedale dicendomi “le dobbiamo fare una tac e altre analisi”, avevo la certezza che si trattasse di polmonite. Ma la gravità la possono stabilire soltanto le macchine».
Diagnosi?
«Polmonite interstiziale. Da Covid».
Qual è stato il primo pensiero?
«No, non ci credo. Assurdo, proprio a me che sono stata così attenta, e stressavo tutti, anche in ospedale, perché fossero prudenti».
Il secondo?
«La morte. Lavorando in ambito ospedaliero so bene cosa significa una diagnosi Covid. Quando mi chiamarono dall’ospedale, preparai le mie cose. Uscendo da casa, la salutai, pensando che non sarei più rientrata».
Com’è un reparto Covid visto da dentro?
«Un inferno. Io ero in semintensiva, con l’ossigeno, sentivo imprecazioni, preghiere, pianti e urla. Urla continue. È uno dei rumori di fondo che non dimenticherò mai, insieme alle porte del carcere che si chiudevano alle mie spalle quando facevo la volontaria. C’erano tanti anziani che ripetevano Mamma, mamma , deliravano. Era un coro ininterrotto di disperazione, terrore e smarrimento».
Che effetto fa?
«Sconvolgente. Quelle grida entrano nel cervello, non le dimentichi più».
Quanto tempo è stata al Pronto soccorso?
«Un giorno e mezzo, non appena si è liberato un posto mi hanno trasferita in semintensiva. È come un limbo, si sente di tutto».
In che senso?
«Eravamo in tanti, tutti in attesa di ricovero ma con la certezza di essere positivi. Ricordo una signora di una certa età, parlava al telefono col marito con tono perentorio, gli diceva “devi andare in tale camera, spostare la mensola, quella con il soprammobile, lì ci sono 20mila euro”. Forse i risparmi di una vita, una sorta di eredità che stava lasciando al marito credendo di non farcela. Un’altra donna dava indicazioni al marito sul contenuto del freezer.Sono scene che possono far sorridere, ma rappresentano una grande lezione di vita».
Come sta adesso?
«Sono a letto, in isolamento, ancora positiva sintomatica.
Non sento odori, sapori, ho il busto pieno di pustole che scoppiano dolorosamente. Sono perennemente in dormiveglia, stordita, debole».
Ci racconta il rientro a casa?
«Dopo qualche giorno in semintensiva sono migliorata e mi hanno dimessa. Certo non ero e non sono guarita, ma i letti, lì dentro, sono preziosi, nessuna polemica, per carità. A casa mi sono guardata allo specchio per la prima volta».
Com’è andata?
«Il coronavirus ti distrugge fisicamente. Ero piena di lividi, buchi, avvizzita, sporca, disperata. Mi sono vista come avrei pensato di essere tra vent’anni. È dura, mi creda».
È credente?
«Non sono credente ma neanche non credente. Sono profondamente religiosa, ma non è la stessa cosa. Purtroppo non ho la capacità di rivolgermi agli altri, ho cercato di trovare forza dentro di me, motivazioni per resistere. Quando ho salutato la mia casa ho pensato ai miei cari che non ci sono più, ai miei cani. Ho detto tra me e me venitemi a prendere non lasciatemi sola . Se questa è una preghiera, allora ho pregato».
Sara Marci
L’unione Sarda 29 ottobre 2020