Un romanzo di donne e del Sulcis, SE LA GRANDE MADRE VUOLE, ARRESOLUTU, presentazione di Salvatore Cubeddu
A Cagliari, ieri, il romanzo è stato indicato al secondo posto nel Festival Emilio Lussu, VI edizione, sezione Narrativa.
Il romanzo l’ho letto per le insistenze di un caro amico. Sono affogato di lavoro, come per altri saggi – troppi, purtroppo – dicevo a me stesso: aspetta di essere libero, poi potrai ingozzarti di romanzi sardi quanto vuoi! Ma a lui chiedevo il favore di controllarmi cose urgenti scritte da me, e pure lui, incurante degli impegni che conosce, continuava a insistere: “Niente, devi leggerlo”!
L’ho letto – si legge in tre ore se leggi in fretta, otto ce ne ho messo io che leggo e penso – e sono qui da voi, i lettori che si stupiranno che mi butto persino a commentare letteratura.
Sì, tra i pensieri che mi sono arrivati, c’è questo: ecco a cosa serve la letteratura, il romanzo e quant’altro: ad attirarti e appassionarti a storie, a considerare persone di cui nella normalità quotidiana non ti saresti accorto e per le quali mai ti saresti appassionato. Quando lo scrittore è bravo, il suo racconto diviene anche il centro del tuo mondo e il lettore lo introietta come parte di sé.
Eppure lo so che chi scrive di un’opera deve porsi in distanziamento critico, ma io non sono un critico letterario e scrivo proprio come se il film l’avessi appena visto. Come tanti sardi anche a me era arrivato nell’infanzia il pregiudizio sui ‘meurreddini’, tardi abitanti di una già grande terra della storia sarda ma abbandonata e riabitata da sardi e da ‘arrivati’ da altrove, chissà da dove, da molti considerata un’ultima tellus, in un’Isola essa stessa ultima per altrettanti, nostri e non nostri. Un romanzo da un paese del Sulcis?
Arrìu è una frazione di Naracao. Marco Piras è di Narcao. Va sulla settantina. Abita da tempo in Svizzera e per amore della moglie scomparsa ha aggiunto al proprio il suo cognome. Ha studiato a Carbonia fino ai diciott’anni, ha frequentato l’università a Bologna, laureandosi con una tesi sulla ‘lingua sarda di Narcao’. Nella città emiliana ha avuto la socializzazione giovanile del tempo, aggiungendovi il tocco di sardismo che ha pure coinvolto molti studenti sardi in Continente. Poi la Svizzera, senza mai smettere di essere sardo.
La sua Narcao è uno dei paesi durati nel tempo, perché gli abitanti erano sardi che si sapevano difendere, o forse per il fatto di non essere troppo vicini ai pericoli in arrivo dalla costa (quella così facile da raggiungere che oggi, quotidianamente, gli algerini raggiungono con barchini). L’Arrìu, nome inventato, del tempo del romanzo – quasi tutto il Novecento attraverso le sue cinque generazioni – è poco più grande di un medàu, un gruppo di case isolate nel territorio, ma ha il prete (per fortuna, stimato), un folto gruppo di minatori e un nucleo di contadini.
Ma i mestieri non contano perché il protagonismo è quasi tutto al femminile, nonostante i pochi uomini che per esse curano l’economia del campo o lo stipendio della miniera, non si sa quale più gravoso. Sì, e le donne sono le lavoratrici della casa, le colonne della socialità della famiglia, della cura di chi abita le case, della storia affettiva di chi con loro vive.
Mi hanno sempre stupito gli uomini che conoscono talmente le donne da fidarsi di scriverne. E in questa storia le donne vengono descritte dall’occhio di un paesano che vede e, come tutti i paesani, tutto sa delle persone, ma dentro non penetra, perché la conoscenza stessa fa velo all’interiorità più profonda.
La storia è tanto semplice e non posso raccontarla. Posso insistere, però, che le donne sono il filo conduttore delle storie degli uomini, è a loro che fa capo il riferimento ai valori della tradizione, anche la più arcaica, quelli che influenzano le scelte. Solo tornando nel proprio ambiente Erminia troverà la forza di perdonare. E’ nel volgersi della loro storia che Arresolùtu troverà pace per la sua sete di giustizia.
Il volume non è lungo ma l’Autore vi si è trattenuto per ben quindici anni. In molti passaggi, senza che il lettore quasi se ne accorga si è inventato un lingua, italianizzando pensieri molto interni ai sardi. Così raffinato che quasi non te ne accorgi.
E’ una storia di donne, quindi, ma con una grande madre, la dea madre, quella della terra, la partoriente dea mediterranea. Ovviamente in rapporto all’uomo, in questo caso un maschio ‘arresolùtu’, deciso. Con le conseguenze del caso.
Le donne si chiamano: Iàia Gràcia, Luisa, Rosetta, Erminia, Daniela. La prima è la nonna di Taniè’, l’Arresolutu. Luisa è la madre di Rosetta, questa di Erminia, Erminia di Daniela. Ci sono ancora altre donne e pochi uomini.
Se Il giorno del giudizio è il grande romanzo moderno di Nuoro, questo di Marco Piras-Keller concorre ad esserlo del Sulcis.
Giudizio arrischiato, dopo aver ammesso il dilettantismo da critico letterario. Allora faccio come il mio amico e insisto: leggetelo!
Uno dei miracoli della Sardegna di oggi è che ogni luogo sta rileggendo se stesso tramite i propri romanzieri. E’ così, come tutto il mondo. Appunto!
Marco Piras – Keller, SE LA GRANDE MADRE VUOLE, ARRESOLUTU, Condaghes, Cagliari, 2019, euro 15,00.
By Marco Piras-Keller, 4 ottobre 2020 @ 15:48
Davvero grazie a Salvatore Cubeddu per questa sua limpida recensione e con spunti critici originali. Lusinghiero, per me, avere una sua recensione anche se ottenuta sotto minacce di un amico che l’ha costretto alla lettura.