A CAGLIARI, nel Palazzo di Città, fino al 10 gennaio 2021, la mostra fotografica ”Steve McCurry-Icons”, di Maria Michela Deriu
Per percorrere la mostra fotografica intitolata ”Steve McCurry-Icons” curata da Biba Giacobetti, che potremo visitare al Cagliari presso il Palazzo di Citta’ fino al 10 gennaio, mi son fatta guidare dall’istinto.
Non occorre essere esperti di fotografia, ne’ critici d’arte, basta affidarsi al nostro cervello anarchico che seleziona volta per volta , e senza razionalità ,il senso della rotta che si deve seguire.
Ogni mostra e’ un viaggio, a volte nel tempo, a volte nello spazio. I luoghi fermati da McCurry sono un viaggio nel tempo, tra tribu’ che vivono ancora allo stato primordiale e nello spazio perche’ queste immagini raccontano gran parte di tutti i nostri continenti.
Dalle nevi del Tibet ai monsoni dell’India non ci vuole molto per capire cha la prima dote di un fotoreporter è il coraggio.
Non a caso McCurry vinse la Robert Capa Gold Medal for Best Photographic Reporting from Abroad, destinata ai fotografi che si son distinti per il loro coraggio.
Ma, titoli ufficiali a parte, mentre scorri, e ti fermi, e guardi ritratti da cui ti sembra di essere osservato, e’ impossibile non affermare che quelle immagini immortalano nel tempo luoghi, persone, rituali di un mondo sconosciuti a cui, spesso, e’vietato l’accesso.
Probabilmente questa è la sua missione: portare all’opulento mondo occidentale un mondo sconosciuto e inimmaginabile. Tutt’ora stupefacente anche ai suoi ochi.
McCurry, dopo aver lavorato per la carta stampata, decide di andare in India come fotografo freelance. Partendo dall’India inizia la sua grande avventura che lo portera’ ad attraversare con i mujaheddin il confine tra il Pakistan e l’Afganistan poco prima dell’invasione dei russi. Porto’al mondo dei media immagini di un conflitto complesso e ovviamente crudele e le vittime di questa tragedia: la popolazione inerme.
Poi i grandi viaggi in zone di guerra: da quella del Golfo, all’ Iran, all’Iraq, Beirut…. Fino a fermare in diretta la distruzione a New York delle Torri Gemelle.
In realta’, in tutti questi luoghi distrutti dal furore della guerra, McCurry non gioca sul trucido ma, anche tra le macerie, cerca di cogliere un momento di speranza per ricostruire il futuro. Significativa e’ una celebre foto dove, a Herat in Afghanistan, tra case completamente sventrate dai bombardamenti, coglie un momento di vita domestica:,tra le macerie una famiglia rioccupa la sua abitazione mutilata e li’, all’interno, accende il fuoco.
I suoi scatti non sono foto ma vere e proprie storie.
Lui stesso in un intervista definisce il frutto del suo lavoro ne’ photo, ne’ picture, bensi’ story.
E qui, raccontando”story”, troviamo un’altra riflessione che mi ha suscitato questa mostra: la passione per il prossimo, la passione della conoscenza, senza giudizio. Guardando con interesse il volto del prossimo, cercando di stabilire una relazione tra civilta’, umanita’, costumi e usanze tanto diverse.
Non so se McCurry lo viva con un velato senso di colpa, ma certo e’che , per sua ammissione, uno degli scatti a cui e’piu’ legato e’ quello che, a Bombey, ritrae una mamma con in braccio la sua bambina. Fuori dalla macchina che portava Maccurry all’aereoporto imperversa il diluvio , la donna chiede l’elemosina, il taxi e’ confortevole e provvisto di aria condizionata. Due mondi opposti, che si incrociano divisi, apparentemente, solo da un vetro. Ecco la storia.
McCurry non si definisce un inviato di guerra, quello che lo attrae e’ la vita delle popolazioni civili.
La gran parte degli scatti dell’artista sono infatti ritratti.
Ogni volto e’ una sintesi di vita, passata e presente.
Forse e’una mia percezione, ma e’un interrogativo che spesso mi sono posta anche in altre circostanze. Negli occhi di queste popolazioni che subiscono o scappano dalla fame e dalla guerra non si coglie il buio della disperazione, ma sembra che si intravveda sempre un bagliore di speranza.
I bambini sono i suoi soggetti preferiti. Tra questi vale la pena di soffermarsi su un gruppo di bambini che, facendosi dondolare abbracciando una canna di
cannone col sorriso stampato sulle labbra, ignorano allegramente tutti gli esplosivi di cui sono circondati.
L’altro e’ un bimbo di circa 12 anni, armato di tutto punto, con il petto incrociato dalle munizioni, un baby guerrigliero incontrato a Kabul.
Steve Maccurry ricorda cosa faceva lui alla sua eta’: andava a giocare a football, andava a scuola. La guerra era solo nei film.
E’ proprio grazie ad una adolescente che l’artista conferma la sua notorita’: il volto e’ comparso nella copertina della rivista National Geographic Magazine del giugno1985, fa il giro del mondo e diviene un simbolo del conflitto afgano.
Nella mostra allestita nel Palazzo di Citta’, nel sottopiano, possiamo assistere al film del 2002 che narra la ricerca della ragazza, dopo 17 anni, di quell’indimenticabile scatto.
Sharbat Gula fu ritrovata viva dopo mesi di ricerca
La ragazza afgana, dopo tanto tempo, ora ha un nome.
Invito tutti alla visione di questo filmato avvincente.
Tra gli ultimi lavori di Steve Maccurry non possiamo non citare il video “Tribute to Italy”, omaggio all’ Italia e agli italiani. Non fa parte della mostra ma potete comodamente trovarlo su YouTube.
”L’Italia mi ha chiamato a se piu’volte”.
Vivere bene e pienamente: e’questa la filosofia di vita degli italiani, non li ha abbandonati neppure in questo periodo.
Negli ultimi mesi, l’animo degli italiani ha catturato la nostra attenzione e suscitato il nostro rispetto.
Durante la sfida mondiale al Covid-19, gli italiani hanno mostrato altruismo e coraggio nell’affrontare una tragedia inimmaginabile, e nessuno dubita che riusciranno a trionfare su questa avversita’. In questo momento sono vicino al popolo italiano, siete nel mio cuore”
Steve McCurry
Il video imprime stories che raccontano l’essenza di un’ Italia lontana dagli stereotipi che immagini che scivolano tra le note di”Nessun dorma”della Turandot di Puccini che profeticamente annuncia:
Dilegua, oh notte
Tramontate stelle
Tramontate stelle
All’alba vincero’
Vincero’
Vincero’