Socrate e Gesù, un confronto originale e suggestivo, che apre la mente a interrogativi e prospettive inattesi: Achille Carone Fabiani, avvocato, studioso del diritto e dei suoi percorsi nelle vicende della Storia, ci propone questi “profili di ‘correlazione’”, sottolineando e analizzando i punti che avvicinano queste due grandi figure, ovviamente diverse tra loro, accomunate da una visione etica atemporale, e dalla drammatica conclusione delle loro vite. La cicuta per Socrate, la crocifissione per Gesù.
La condanna di Socrate è emessa nel 399 a. C. da un tribunale formato da cinquecento cittadini ateniesi, di fronte al quale è accusato di corrompere i giovani con i suoi discorsi, di non riconoscere gli dèi della città, di volerli sostituire con altri.
La sentenza contro Gesù è decisa dal governatore romano della Giudea, ed eseguita da soldati romani. La crocifissione era la pena che la legge romana riservava ai “ribelli” di ogni tipo, e veniva di frequente applicata in quella provincia considerata dagli occupanti pericolosamente turbolenta.
Su entrambi i processi esiste un’ampia produzione storica e letteraria, e da tempo sono argomento di discussioni, analisi, ricerche.
Il lavoro dell’avvocato Carone Fabiani non vuole essere una ricostruzione dei due eventi giudiziari, ma, con un taglio personale, il raffronto tra due messaggi, tra due visioni dell’essere umano di fronte al mistero della vita e della morte. Né Socrate né Gesù lasciarono nulla di scritto. Al di là delle testimonianze elaborate da discepoli e seguaci, ci resta l’insegnamento dei loro principi essenziali, come un dialogo sempre attuale, e sempre aperto.
p.p.
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La “lettura” dell’opera cinematografica “Socrate” di Roberto Rossellini ha suscitato, nella persona dell’autore di questo scritto, riflessioni varie che possono definirsi: correlazioni generali fra il personaggio di Socrate e l’entità di Gesù di Nazareth; profili di somiglianza fra l’Apologia di Socrate (secondo Platone) e la cosiddetta “autodifesa” di Gesù di Nazareth; fonti bibliografiche: 1) “L’Apologia di Socrate”, a cura del prof. Vito Costa, collana “I cirannini” casa editrice Tiranna – Roma; 2) “Il Vangelo di Gesù”, testo di quattro vangeli, coordinato in una sola narrazione Edizioni Isg Istituto San Gaetano – Vicenza; 3) “Tutto letteratura greca” editore Istituto Geografico De Agostini Novara 2002; 4) “Sul concetto di Ironia, in riferimento costante a Socrate” a cura di Diario Borso – Edizioni angelo Guerini ed associati s.r.l. 1989, (Soren Kierkegaad); 5) “Pensieri” di Blaise Pascal; collaba I classici del pensiero – Fabbri Editore – 1982.
Correlazioni generali
I profili di “correlazione” (per quanto sia lecito usare tale locuzione) fra i predetti (Socrate e Gesù di Nazareth) sono molteplici, considerati nel contesto del momento storico e della società di appartenenza.
Nella valutazione generale di essi, si coglie, necessariamente, il rapporto fra il “dia – Logos” quale mezzo di comunicazione fra gli uomini, quindi quale valore relativo (Socrate) ed il logos, quale principio assoluto, trascendente e che si manifesta in Gesù di Nazareth. Il primo ha rappresentato la “ricerca della verità”, che parte dall’uomo, il secondo, la “rivelazione della verità”, che viene da Dio.
L’attuale momento storico ripropone il problema se il valore assoluto logos, ossia la rivelazione della razionalità, necessiti, per la sua comprensione, affermazione e realizzazione, dello “strumento” del dialogo, fondato sull’esercizio della razionalità quindi, di ogni possibile “forma di comunicazione” fra i popoli.
Il Santo Padre Ratzinger, di contro al pericolo del “dominio” del relativismo, afferma: “Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il figlio di Dio, il vero uomo. E’ lui la misura del vero umanesimo”.
Invero: il tempo in cui è vissuto Socrate ha segnato il passaggio “dal mito alla ragione”, quindi, la “nascita dell’umanesimo” (l’uomo che diventa il centro della speculazione razionale, di contro all’interesse utilitaristico per le cose del cosmo); quello in cui è vissuto il Cristo ha segnato il passaggio dalla ragione che ricerca la verità stessa alla conoscenza (ed accettazione), della “verità” rivelata da Cristo mediante l’uso della ragione (Blaise Pascal, nella sua opera “Pensieri” sostiene che il vero Cristianesimo consiste nella sottomissione ed uso della ragione: “Bisogna saper dubitare dove occorre, prendere per certo dove occorre, sottomettersi ove occorre; – chi non fa così, non capisce la forza della ragione… omissis… Pensieri – Cap. XIVI versetti 170-268); così come dice S. Agostino: fides avae non cogitatur, nulla est (la fede non ripensata non è fede)”.
Invero: l’interesse di Socrate è rivolto all’agire umano, ma, nel suo messaggio, la filosofia, come esercizio del pensiero (cioè del dia-logos) deve porsi al servizio della verità che è l’aspetto proprio dell’intelletto e non dell’utile. Il carattere profondamente innovativo e provocatorio del suo pensiero fa nascere una tale ostilità all’interno della società ateniese che costa a Socrate la condanna a morte.
Così, il carattere profondamente innovativo e provocatorio della parola di Gesù (di fronte alla tradizione ed al culto dei testi biblici sacri – ossia della torah arbitratiamente interpretati da parte dei sacerdoti del Tempio) fa insorgere una tale ostilità all’interno del Sinedrio e delle autorità civili che determina anche a suo carico la condanna a morte.
Invero: Socrate elegge di non lasciare nulla di scritto; il pensiero è una ricerca incessante legata al dia-logos, con ogni interlocutore possibile, e non una esposizione sistematica di una dottrina precostituita (la sua testimonianza umana ed il suo messaggio si deducono da più fonti indirette: Aristofane, Platone, Aristotele, Senofonte, messe anche in relazione fra loro). Così, il Cristo fece della parola il mezzo espressivo esclusivo della sua volontà, anche egli rifiutando ogni formale dipendenza dalla lettera della legge che non tiene conto dello spirito. (Egli era il Verbo per eccellenza).
Invero: Socrate “abbandonava” il politeismo e si metteva alla ricerca della verità, ispirato nel suo intimo da una (sola) “divinità”, nella convinzione di essere investito di una “missione”.
Così, Cristo si poneva, nei confronti della tradizione religiosa, cosciente della “divinità”, cioé di essere figlio di Dio, incarnato nella natura umana, quale “testimone” di Dio Suo Padre, “investito” a rivelare e rappresentare la verità ultima e definitiva della vita umana offrendo la interpretazione omogenea con la sua “missione” di salvatore dell’umanità intera per il raggiungimento della vita eterna, l’eterno (disattendo così, ogni verbo) proveniente solo dall’uomo.
Cristo andava all’assenza dei precetti religiosi e civili, offerti dai testi sacri, per avviare un percorso di “conversione” del cuore dell’uomo, di contro al comportamento meramente “esteriore” e conformistico dei farisei, privo di amore, per la verità, osservanti solo della lettera della legge. Cristo ricercava e rendeva possibile, col suo esempio, l’interiorità di un rapporto personale dell’uomo con Dio.
Si può, pertanto, assumere che la morte di Socrate rappresentò un dramma della democrazia ateniese, mentre quella del Cristo rappresentò una tragedia per gli ebrei che lo rifiutarono e per tutti coloro che di fronte alle richieste della “sua verità” avrebbero preferito la propria autosufficienza.
Profili di somiglianza
Momento storico.
– Quanto a Socrate: quello della sottomissione a processo per addebiti di corruzione ed empietà.
– Quanto a Gesù di Nazareth: quello dell’avvio della persecuzione da parte dei sacerdoti del Tempio e primi effetti di defezione da parte dei suoi seguaci.
a) L’accusa:
– per Socrate l’accusa, (contro “colui che dice la verità,” cap. 10, dialogo morale), proveniente da cittadini ateniesi, durante la sua vita e, in prossimità del processo, da Meleto ed altri, era data dal fatto che Socrate “si occupasse” di “cose celesti” e di “cose sotterra” (cap. 0), denegando la “esistenza degli dei”, ma Socrate, nella premessa della sua difesa, oppone che il processo si svolga “come è caro al dio” (cap. 2), già introducendo una entità superiore, nella quale evidentemente credeva e/o si ispirava;
– per Gesù di Nazareth l’accusa era data dal fatto che (operando guarigioni anche nel giorno del sabato) “chiamava Dio suo Padre e facendosi eguale a Dio” (Vangelo di Giovanni); invero, introduceva la sua “difesa” dicendo: “in verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può far nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che Egli fa, anche il Figlio lo fa…” (Vangelo di Giovanni).
b) Testimonianza:
– Socrate adduce come testimone della “sua sapienza” il “dio di Delfo” (capp. 5, 6, 7); invero, così conclude nella “ricerca sulla sapienza” (cap. IX): “Da questa ricerca appunto, o cittadini ateniesi, sono nate contro di me molte inimicizie, e queste assai moleste e gravi, cosicché molte calunnie sono derivate da esse, e questa parola è pronunziata, (cioè) che (io) sono sapiente. Ciascuna volta infatti i presenti credono che io stesso sia sapiente in quelle cose nelle quali riesco a confutare un altro; invece, o cittadini, pare che in realtà il dio sia sapiente e che con questo oracolo voglia dire ciò, che (cioè) la sapienza umana valga qualche poco, anzi niente. E pare che non voglia dire questo sul conto di Socrate, ma si sia servito del mio nome facendo di me un esempio, come se avesse voluto dire che (=così): “Tra voi, o uomini, il più sapiente è colui che, come Socrate, ha conosciuto di nulla valere in verità quanto a sapienza”. Ciò a
dunque io ancora oggi vado investigando anzi scrutando, secondo il dio, se ritengo essere sapiente qualcuno (e) dei cittadini e degli stranieri; e quando non mi pare (che sia sapiente), venendo in aiuto al dio, dimostro che non è sapiente. E per questa occupazione (non) mi è rimasto tempo di fare qualche cosa degna di menzione né tra gli affari della città né tra quelli di casa (mia), ma mi trovo in estrema povertà per il culto del dio”.
– Gesù di Nazareth adduce come testimone il Dio Suo Padre; invero (Vangelo di Giovanni) Egli così continua la sua “difesa”: “Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera; ma c’è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace. Voi avete inviato messaggeri da Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità; io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché possiate salvarvi. Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato, E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. Ma voi non volete venire a me per avere la vita”; e più avanti (Matteo): “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna… omissis…; chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”.
c) Prospettazione della persecuzione:
– Socrate (cap. XVI) così continua la difesa, prospettando il comportamento futuro degli atenieri: “Del resto, o cittadini ateniesi, (per dimostrare) che io non sono colpevole secondo l’accusa di Meleto, non mi pare che ci sia bisogno di una lunga difesa, ma anche questo (è) sufficiente; ciò che dicevo anche in precedenza, che (cioè) una forte inimicizia è nata contro di me e presso molti, sapete bene che è vero. E questo è ciò che mi colpirà, se pure (mi) colpirà, non Meleto né Anito, ma (e) la calunnia e l’nvidia dei più. Le quali cose appunto hanno colpito già e credo che ancora colpiranno molti altri e ragguardevoli uomini; e non (c’è) pericolo che si arrestino a me”.
– Gesù di Nazareth così predice (Matteo): “Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato”.
Più avanti (cap. XVII), Socrate così spiega: “… omissis… e invece, quando il dio (mi) ordinava, come io (e) pensai e ritenni, che mi conveniva vivere filosofando ed esaminando me stesso e gli altri, allora, temendo o la morte o qualunque altro rischio, vessi disertato il posto”; “… omissis… Infatti il temere la morte, o cittadini, niente altro è davvero se non credere di essere sapiente, senza esserlo; è invero creder di sapere ciò che non (si) sa. Poiché nessuno sa della morte se non sia veramente per l’uomo il maggiore di tutti i beni, e (la) temono come se ben sapessero che è il più grande dei mali. E ciò come non è ignoranza, anzi appunto la più vituperevole, quella di credere di sapere ciò che non (si) sa? Ma io, o cittadini, per questo ed in questo forse differisco dalla maggior parte degli uomini”.
d) Annuncio della “missione”:
– Socrate (cap. XVIII) dichiara la sua missione verso gli uomini: “Questo farò con chiunque (io) m’incontri, sia giovane che vecchio, sia forestiero che cittadino, e più coi cittadini, in quanto mi siete più vicini per nascita. Questo infatti (mi) ordina il dio, sappiate(lo) bene, ed io penso che nessun bene maggiore vi è ancora per voi nella città se non questa mia divina missione. Null’altro infatti io vado attorno a fare se non a persuadere e giovani e vecchi tra voi a non curarsi del corpo né delle ricchezze a preferenza né così intensamente come dell’anima, perché sia quanto più perfetta (è possibile), dicendo(vi) che non dalle ricchezze deriva la virtù, ma dalla virtù le ricchezze e tutti gli altri beni agli uomini e privatamente e pubblicamente. Se, dunque, dicendo queste cose corrompo i giovani, queste cose saranno nocive; ma se qualcuno dice che io affermo cose diverse da queste, dice un (bel) nulla. In conseguenza di ciò, o ateniesi, o ubbidiate ad Anito o no, e o (mi) assolviate o no (mi) assolviate, posso dir(vi) che io non farò cose diverse neppure se dovessi morire più volte”; più avanti, dirà: “ora dunque, o cittadini ateniesi, io sono ben lontano dal parlare in difesa di me stesso, come qualcuno potrebbe pensare, anzi (parlo) in difesa di voi, (affinché) condannando me non pecchiate in qualche cosa intorno al dono del dio a voi. Se infatti mi mandate a morte, non troverete facilmente un altro simile (a me), destinato, se pure (sembra) troppo ridicolo dir (ciò), dal dio esclusivamente alla città, come ad un cavallo grande e generoso, ma alquanto pigro per la (sua) grossezza e bisognoso di esser stimolato da qualche sprone; in simil guisa appunto mi sembra che il dio abbia destinato alla città me (come un uomo) siffatto che, svegliandovi e persuadendo(vi) e rimproverando(vi) ad uno ad uno, per nulla cesso di star(vi) addosso tutto il giorno dovunque.
Un altro simile (a me) dunque non facilmente sorgerà per voi”; più avanti ancora, dirà (cap. XIX) “Causa di ciò è poi quello che voi spesso mi avete sentito dire in più luoghi, che (cioè) in me vi è qualcosa di divino e soprannaturale (una voce), proprio quello che Meleto facendo(sene) beffe scrisse anche nell’accusa; questa cosa poi che cominciò in me fin da fanciullo consiste in una certa voce che (mi) si fa sentire, la quale, quando si fa sentire, mi distoglie sempre da ciò che sto per fare, mai invece (mi ci) spinge; questo è quel che mi impedisce di occuparmi della politica”; ancora più avanti (cap. XXI) “Io però giammai sono stato maestro di nessuno; se poi qualcuno, sia giovane o vecchio, desidera ascoltarmi quando parlo e attendo alla mia missione, a nessuno mai (lo) ho vietato, né parlo quando prendo denaro, o non (parlo) quando non (ne) prendo, ma mi offro ugualmente e al ricco e al povero per interrogar(li) e, se qualcuno vuole, rispondendo, ascoltare ciò che posso dire, (mi presto a parlare). E di queste dottrine io, sia che qualcuno divenga onesto sia che no, potrei assumermi giustamente la responsabilità, poiché di esse (dottrine) né ho promesso né ho dato mai a nessuno alcun insegnamento… omissis…”.
– Gesù di Nazareth (in Matteo): investe della propria “missione” i dodici apostoli, conferendo loro i suoi “poteri”, così confermando l’investitura ricevuta da Dio Suo Padre.
e) Predizione di punizione come “giustizia”:
– Socrate (capp. 29, 30) predice perpetua infamia per coloro che lo condanneranno, per i quali “(Io) dico invero, o cittadini che mi avete condnnato, che su di voi cadrà tosto, dopo la mia morte, una punizione molto più severa, per Giove, che (quella) alla quale mi avete condannato; giacché ora avete fatto questo credendo di poter esimervi dal rendere conto della (vostra) vita, ma la cosa accadrà a voi tutto al contrario, come io (vi) assicuro”.
– Gesù di Nazareth (in Matteo) così annuncia: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi (rivolgendosi agli apostoli) accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto… omissis…”.
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