Sofferenza e coraggio nel mondo degli ultimi, di Roberto Sanna
Come è cambiata la vita nelle strutture gestite dal francescano di Bonorva. Percorsi blindati, nuove sistemazioni logistiche e tante attenzioni in più.
Quando il mondo crolla, a pagare il prezzo più alto sono gli ultimi. Lo sa bene padre Salvatore Morittu (nella foto), che ha speso tutta la sua vita a occuparsi di chi ha poco o nulla. E oggi, in piena emergenza sanitaria e sociale, ventiquattro ore per la sua giornata sono davvero poche:
«Abbiamo due realtà – racconta – che sono la Casa per i malati di Aids e la Comunità di S’Aspru. Due mondi che in questo momento hanno bisogno di maggiori attenzioni e nei quali abbiamo anche dovuto modificare il nostro modo di lavorare e interagire»..
Ci parli di queste due realtà e del momento che stanno vivendo.
«La casa che ospita i malati di Aids è quella più delicata dal punto di vista sanitario perché dobbiamo garantire loro la sopravvivenza. Devo dire che siamo al limite del miracolo perché non abbiamo avuto alcun problema, ci siamo mossi anche prima del tempo, nel senso che abbiamo blindato tutto prima ancora che arrivassero le restrizioni governative. Possono accedere poche persone e con percorsi ben definiti, ci sono gli operatori sanitari e pochissimi volontari. Questi ultimi non possono in alcun modo incontrare gli ospiti e chi è in contatto con loro. Abbiamo anche rivoluzionato l’aspetto logistico, la base di tutte le attività è diventata la palestra dove adesso pranziamo, teniamo le riunioni e si celebra la messa. Poi c’è l’aspetto psicologico. Prima di tutto dobbiamo evitare la “sindrome del detenuto”, nessuno può uscire ed è molto dura. E poi anche dal punto di vista interpersonale cerchiamo di relazionarci in modo differente, più adatto al momento che stanno vivendo.
A S’Aspru la vita come procede?
«La situazione logistica è differente e da un certo punto di vista ci aiuta. Anche là è tutto blindato, possono entrare solo gli operatori e le persone che sono comunque funzionali e necessarie alle attività, faccio l’esempio del camion della raccolta del latte o i manutentori, gli idraulici, i falegnami. Fatta questa premessa, sicuramente il fatto di trascorrere le giornate in una tenuta di novantatrè ettari e poter continuare a svolgere le proprie attività quotidiane è sicuramente importante. Curiamo molto l’aspetto formativo e i colloqui sono più intensi, anche qui ci rendiamo conto che bisogna stare vicini in maniera particolare ai nostri ospiti».
Ci sono anche aspetti psicologici più delicati da curare?
«Anche loro sono in difficoltà per il fatto di non poter vedere i loro familiari, ma non c’è solo questo. Bisogna anche pensare che c’è qualcuno di loro che era ormai al termine del percorso e si stava preparando a uscire, ma ora ha una prospettiva differente. Prima di tutto perché quel momento verrà adesso spostato avanti nel tempo, e poi perché se già prima poteva esserci il problema di un reinserimento nel mondo “normale”, adesso tutto sarà ancora più complicato. Penso solo alla difficoltà di cercare e trovare un posto di lavoro. E non dimentichiamo che c’è anche chi si stava preparando a entrare: con grande sofferenza abbiamo dovuto dire di no a cinque persone. Non è un problema solo nostro, tant’è vero che abbiamo fatto una conferenza con tutti i responsabili delle strutture come la nostra in Sardegna per discutere di questa situazione: chiederemo alla Regione che ci garantisca un percorso sanitario in sicurezza per chi deve entrare nelle nostre comunità».
S’Aspru vive dei prodotti della sua terra: come fate a ovviare al problema degli spostamenti limitati e vietati?
«Da trentotto anni la nostra vita è questa, certamente è un problema il fatto che la gente non possa accedere alla nostra struttura. La produzione, in compenso, va avanti, le pecore producono il latte e il formaggio in magazzino aumenta. Per noi è qualcosa di vitale, ci permette di pagare stipendi e bollette, mandare avanti i laboratori. L’idea che ho avuto è chiedere ai miei confratelli di acquistare una parte del formaggio e si è avviata una catena di adesioni inimmaginabili alla quale hanno aderito tante famiglie, alle quali facciamo anche le consegne a domicilio. E poi c’è stata anche una bellissima iniziativa della Dinamo in collegamento con la Caritas: il presidente Stefano Sardara ha detto che acquisterà il formaggio rimasto nei magazzini a patto che venga dirottato alla Caritas, che a sua volta lo donerà ai poveri. Lo trovo molto bello e significativo perché vedrà questi nostri ragazzi improvvisamente diventare protagonisti e mittenti di un dono destinato a chi è più in difficoltà di loro».
Come vede tutta la comunità in questo momento così difficile per tutti?
«Per la Chiesa sono giorni particolari, trascorrere in casa la Settimana santa dovrà tornarci utile per riscoprire i valori e il ruolo della famiglia. E a tutti dico che i sardi, nei momenti di difficoltà, hanno sempre saputo tirar fuori qualità morali e caratteriali che in situazioni normali tendono a tenere nascoste. E sarà così anche questa volta»..
Da LA NUOVA SARDEGNA, 9 APRILE 2020