Turismo: cinquanta ragazze si ribellano alla possibile fine del ‘modello Dorgali’, di Salvatore Cubeddu

 

C’è una sirena che esce dalla ‘grotta del bue marino’ a dirci che non sempre il nostro bel mare è pure ‘buono’. E ritorna il detto antico dell’interno della Sardegna, per il quale ‘furat chie benit dae su mare’. In questo caso dalla Sicilia, i 110 mafiosi, in arrivo a guardarci dalle suite carcerarie di Uta e di Massama, e quel pezzo di capitale finanziario che si è acquistato uno dei luoghi simbolo del ‘modello turistico Dorgali’, cacciandovi il soggetto più pregiato, chi ci lavora, le donne innanzitutto.

Difficile affermare che ‘ci voleva’ questo fattaccio ricco di insegnamenti per questa Sardegna infantilmente affidatasi al turismo più per assenza di alternative che per vera convinzione. Il turismo è il più fragile e aleatorio dei settori economici, più condizionato degli altri dalle vicende della ‘storia’ come dagli eventi della ‘natura’. Virus e crisi dei trasporti, come il tempo e l’ingordigia degli stranieri.

E’ da settimane che la lobby turistica appoggiatasi su alcuni media lancia i propri lamenti alla Regione come se dalle loro disgrazie dipendessero sempre e comunque le nostre. Iniziamo a vedere che non è semplicemente così.

Il turismo è innanzitutto un rapporto tra il popolo del territorio e la visita del forestiero. Dorgali è stato individuato dai nostri studiosi del settore quale modello vincente, ed unico come tale, del turismo che può interessare i Sardi. Questi (noi) intervengono nella loro ‘natura’ con propri capitali, chiamano a lavorarci dirigenti e lavoratori del luogo, assumono propri creativi modelli costruttivi (materiali e cultura insediativa), aggiungono alla natura un proprio ‘genio’, propongono al forestiero i propri prodotti (agroalimentari, artigianali e di lusso, i frutti della loro storia millenaria sedimentatasi in architetture, feste, canti etc.). E gestiscono il tutto con il proprio lavoro. Differenti da esso il modello aristocratico (Costa Smeralda nel Nord Est, Forte Village a Sud) e quello turistico di massa (es. Villasimius), di cui parleremo.

Allargato all’insieme della Sardegna, contrasta con tutto questo il passaggio dei camion della MAR che passa direttamente il Tirreno, proveniente da Rimini, a portarci le bistecche della Pianura Padana e le bracciole delle porcellie emiliane già bell’e affettate, con tanto di porzioni di frutta e verdura ed il sugo pronto da riscaldare. Non rallegra che le comitive con viaggio incluso si portino da casa gli intrattenitori che poi presenteranno negli svaghi notturni i barbari tenores dopo che ragazze e ragazzi coperti di sudore nei costumi pesanti di orbace li hanno attesi sorridenti alla scaletta della nave, neanche leggeri come le fanciulle hawiane a cingerti il collo con la corona di fiori. E aumenta l’offesa che i famelici (solo?) investitori siculi abbiano buttato immediatamente la maschera preparando un crumiraggio collettivo pensando di essere in qualche land africano nel sostituire ‘le ragazze del signor Checchi” come altre pronte a sostituirle per qualche centinaio di euro in meno.

… Sì è una vertenza importante per tutti e ricco di significati quella espressa dalla ribellione di queste nostre sorelle. Ancora alla prime battute.

Appoggiandole, studiamo le mosse siciliane e le reazioni dei nostri, la classe dirigente interessate al turismo, nel suo concreto esplicarsi e nella sua ambizione risolutiva dei problemi sardi.l

Bene ha fatto l’assessore Cherchi a stupirsi, condizione imprescindibile per una reazione operativa che renda intollerabile all’amministrazione regionale, a nome e per conto di tutti i Sardi, decisioni come queste.

Non vi è dubbio che avremo molto da apprendere da una vicenda che si annuncia ricca di ammaestramenti. Con un convincimento: la sconfitta del modello dorgalese sarebbe la sconfitta del turismo sardo, l’unico che veramente ci conviene.

 

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