Problemi della Chiesa in Sardegna. Calo di vocazioni, religiosi in fuga, di Mario Girau
Pochi e anziani: così chiudono conventi, oratori e centri educativi. Suore e monache in trent’anni da 2500 a 1000. Il clero e gli ordini religiosi femminili e maschili sono gli apripista della crisi demografica della Sardegna. I numero dicono che si tratta della prima categoria che si assottiglia fino al rischio di estinzione.
Chiudono case e istituti, conventi e monasteri storici, oratori, scuole e centri educativi. I religiosi non arretrano ma riducono il numero delle frontiere d’impegno. Non ce la fanno più: troppo pochi e soprattutto anziani per continuare a guidare parrocchie, dirigere oratori e centri giovanili, fare i cappellani negli ospedali, far funzionare scuole paritarie. Ordini e congregazione religiosi, maschile femminili, si guardano all’interno, si contano, occhio attento alla carta d’identità e via la decisione di chiudere. Carenza di preti.
Cronaca di questi giorni: dal prossimo settembre i salesiani lasceranno, dopo 40 anni, parrocchia e centro giovanile di San Domenico Savio nel quartiere nuorese di “Città Nuova”. A Fonni i frati minori lasciano la basilica dei “Martiri” spezzando un plurisecolare legame con il centro ai piedi del Monte Spada. Ma i ritiri dei religiosi si susseguono da tempo: i salesiani hanno lasciato nel volgere di 30 anni Lanusei, Santulussurgiu, Arborea, Selargius. I cappuccini l’ospedale “Brotzu” di Cagliari, la parrocchia di Gesturi; i conventuali hanno unificato due prestigiose parrocchie cagliaritane (San Francesco e Santissima Annunziata) e la medievale chiesa di San Francesco di Iglesias; i Gesuiti hanno ceduto alla Caritas la casa della “Congregazione mariana” da cui sono usciti presidenti della Giunta regionale, sindaci e assessori. «Solo la carenza di preti – dice don Michelangelo Dessi, direttore dell’Istituto salesiano di Cagliari – è all’origine delle nostre decisioni, che prendiamo sempre con sofferenza». Scelte mirate. La matematica non è un’opinione neppure per i preti. I salesiani del centro Italia, Sardegna compresa, nove anni fa erano 580 distribuiti in 58 case. Quest’anno sono 305 e gli istituti rimasti 19. «Le nostre scelte – aggiunge don Dessì – sono determinate dalle possibilità di lavorare in prospettiva tra i giovani. Tra Sassari e Nuoro abbiamo preferito rimanere nella prima perché è città universitaria, quindi con i giovani, campo privilegiato d’impegno dei discepoli di Don Bosco. Ma nella città barbaricina abbiamo assicurato la continuità della nostra presenza con le suore Figlie di Maria Ausiliatrice, quindi stesso nostro carisma».
I numeri. L’emorragia tra le file di religiosi e religiose dal 1970 in poi è stata lenta ma costante, con il graduale abbandono di importanti postazioni in tutta la Sardegna. Nel 1991 nell’isola erano impegnati 358 frati (oggi 256), di cui 68 nella diocesi di Sassari (oggi 42), 7 in quella di Tempio (8), 28 ad Alghero-Bosa (27), a Oristano 38 (24), a Cagliari 176 (128), a Iglesias 12 (3), a Lanusei 10 (3). Tra ordini e congregazioni religiose maschili a Sassari 30 anni fa operavano 11 istituti (oggi 7); a Oristano 7 (5), a Cagliari 20 (20), a Nuoro 4 (2), a Lanusei 3 (1), a Ozieri 1 (2).
Nessun calcolo economico. L’alta età media dei frati in servizio rafforza le ragioni del ritiro. Il problema anagrafico era nell’aria fin dal 1995 quando la maggior parte dei religiosi era formata da over 50. A 25 anni di distanza non ci sono le forze per correre per i campi dell’oratorio o stare tutta la giornata in mezzo ai giovani o in cattedra a insegnare latino e greco nelle “scuole dei preti”. «All’origine delle nostre decisioni – dice don Michelangelo Dessì – non ci sono calcoli economici, ma solamente la preoccupazione di avere risorse umane in grado di dare continuità e respiro ai nostri progetti educativi».
Le sorelle. La crisi non ha risparmiato le religiose. Oggi in Sardegna sono presenti 70 istituti religiosi con 900 suore e 10 monasteri di clausura con 80 monache. Nel 1991 le congregazioni femminili erano 69 con quasi 2500 sister. «Proprio in questa situazione al limite – dicono le religiose – la vita consacrata è chiamata a prendere consapevolezza della realtà, che non può costituire un fattore paralizzante ma piuttosto uno spazio per ripartire. Il che significa uscire dall’autoreferenzialità, camminare insieme dietro al popolo e vivere la mistica dell’incontro, abitare la realtà in modo generativo, ri-educarci ad una relazionalità significativa che tiene conto della complessità e allontana dalla tentazione dell’omologazione e della mercificazione, non rassegnarci alla mediocrità, coltivare e attuare un processo di umanazione (assumere natura umana, come Cristo, ndc)».
Ripensare il ruolo. «La mancanza di vocazioni – dice padre Franco Rana, missionario vincenziano come Padre Manzella – ha mille ragioni: denatalità, la ricerca del successo immediato nella vita senza aspettare il tempo di lunghi progetti di vita, esasperato individualismo. Infine può darsi che certi carismi religiosi non siano più attuali e che occorra ripensare a nuove forme di presenza nella società».
la nuova sardegna, 19 giugno 2020