Riflessioni sul Partito Democratico in Sardegna, di Luca Roich

Un partito immobile alla ricerca di identità. Dopo le politiche del 2018 la scossa per cambiare non è mai arrivata. Freddezza con Zedda, e c’è chi pensa a un ingresso nella maggioranza in Regione.

Si è preferito attraversare la narcotica palude della politica. Azzerata la direzione, si è passati a un coordinamento. Di emergenza, si intende. Qualcosa di transitorio, che durasse qualche mese e desse un sostengo al segretario Emanuele Cani, in attesa del congresso. Ma la provvisorietà è la condizione naturale della politica. Segretario e coordinamento restano saldi nel placido naufragio Dem. Il congresso si farà a ottobre, colpa del Covid. E forse Cani non poteva fare qualcosa di molto diverso. L’assenza di una direzione ha reso la sua posizione fragile, un segretario a responsabilità limitata, destinato a gestire al massimo l’ordinario anche di fronte a sbandamenti del partito. Dalla disfatta delle Politiche i Dem hanno sempre cercato di mimetizzarsi. In questi anni il rinnovamento spesso ha coinciso con la negazione. Candidati non politici, meglio ancora se senza tessera e senza simbolo. Ma sarebbe sbagliato pensare al Pd come un tutto indistinto, come la notte in cui tutte le vacche sono nere. La foresta non è pietrificata, il correntismo è ancora l’essenza di un partito che somiglia sempre più a un grande contenitore. A dominare le dinamiche interne ci sono le anime dei Dem. Ma nell’isola la geografia in questi ultimi mesi si è modificata. I soriani si sono liquefatti, quasi estinti. Soru ha deciso di lasciare il partito, e forse la politica, dopo la zuffa di Abbasanta. Un’assemblea che si era trasformata in una sorta di rissa da saloon. Spintoni, grida, accuse. Forse uno dei punti più bassi della storia del Pd nell’isola. Il passo di lato di Soru ha portato a una sorta di fuga dalla corrente. Resta salda la maggioranza dell’asse Fadda-Cabras, o per chi ama le sigle: i Popolari-riformisti. Nell’Aula regionale può contare su sei consiglieri su otto, e una forte vicinanza del settimo, Roberto Deriu. E tra sindaci e parlamentari irrora i gangli del partito. Sopravvissuta anche l’anima ex renziana del partito. A guidarla è Gavino Manca, con lui l’ex assessore regionale Pierluigi Caria. Vicino anche l’ex soriano Chicco Porcu, e l’area Parisiana. Il grande assente è Giuseppe Luigi Cucca, che con Renzi è passato a Italia Viva. La novità è la creazione di un’area legata a Zingaretti in cui sono confluiti una parte degli ex soriani e di ex Pds. Ad animarla è Tore Cherchi, che è riuscito a fare da collante. In molti danno verso questa corrente l’ex consigliere regionale Luigi Lotto e l’ex parlamentare Siro Marrocu. Ma anche Pietro Cocco, uno degli uomini più vicini a Soru, dialoga con Cherchi. L’ex governatore Francesco Pigliaru avrebbe mantenuto una sorta di ruolo da pontiere tra le diverse anime. In questo quadro il partito vive la sua fase di immobile dinamismo. Il segretario Cani, sostenuto dall’area Fadda-Cabras, gestisce l’infinita transizione, come un giro in tondo nell’oceano. E la crescita del Pd in questi mesi sembra in parte legata a una liquefazione del consenso intorno ai 5 Stelle, anche se la maggior parte dei voti grillini in uscita sono andati a destra. Ma dentro il Pd da qualche mese la vita c’è. Le elezioni sono come adrenalina che risvegliano il paziente catatonico. Le amministrative sono un nuovo terreno di speranza del partito che nelle ultime tornate elettorali ha più o meno perso tutto. Sassari, Olbia, Cagliari, Oristano, e anche Nuoro in un certo senso, sono guidate da sindaci che non sono del Pd. E questo da solo basterebbe a spiegare perché il Dem qualche domanda dovrebbero farsela. I democratici non governano nessuno dei principali Comuni dell’isola. Anche nelle roccaforti tira un vento differente. Lo scollamento tra il partito e le amministrazioni in questi anni è diventato sempre più evidente. I sindaci da tempo lavorano a un movimento trasversale che riesca a catalizzare i consensi dei cittadini. Per il Pd un altro colpo di accetta sulla base elettorale. Ma neanche questa minaccia sembra avere cambiato la placida rotta dei democratici. La riscossa potrebbe partire dalla sfida per la conquista di Comuni chiave come Nuoro, Quartu, Porto Torres. A questo si deve aggiungere l’elezione per il collegio del nord Sardegna di un senatore. Ma basta fare un rapido passaggio dentro le stanze del Pd in cui si discute di candidature per capire lo stato di salute dei Dem. Le riunioni tra le correnti, tutte fatte sulla piattaforma on line Zoom, sono fittissime. Si cercano candidati autorevoli. Ma i migliori il simbolo del Pd proprio non lo vogliono. Graziano Milia è già partito con un progetto civico, e di avere il logo del Pd sotto il suo nome non ne vuole sapere. Vuole ripetere il modello Soddu a Nuoro, o Campus a Sassari. Il civismo del partito dei sindaci, che sembra avere molto più appeal sull’elettore dello scolorito logo Dem. Il Pd sarà costretto a fare le primarie e trovare un suo candidato nel terzo Comune della Sardegna con la certezza di avere un fortissimo avversario a sinistra. A Nuoro la situazione non è molto differente. Con il Pd che ha fatto a lungo la corte a Soddu, dopo averlo candidato e quasi eletto alle Europee. E anche in questo caso i democratici sono andati contro sé stessi. Soddu è stato scelto come candidato per le Europee contro il volere del partito a Nuoro. Ora il sindaco preferisce ritentare la sua corsa senza logo Pd e senza passare dalle primarie. Un altro smacco per i Dem che potrebbero anche in questo caso presentare un proprio candidato. Ma la dimensione dello smarrimento del leaderismo del Pd è nella scelta del candidato per il seggio del senato. Come è spesso capitato in questi ultimi anni i Dem vanno in ordine sparso. Qualcuno cerca una figura esterna, un viso digiuno di politica, come se fosse un’onta avere militato in un partito. Ci sono anche anime più ardite all’interno del Pd. In molti sondano un possibile accordo con i 5 Stelle. Due le soluzioni, o un candidato comune, ma trovare la convergenza sembra davvero complicato, o un patto di desistenza. L’M5s dovrebbe dimenticarsi di presentarsi. C’è anche chi pensa al seggio al senato come un cavallo di Troia. Per esempio si vorrebbero candidare alcuni consiglieri regionali come Gianfranco Ganau o Giuseppe Meloni, per liberare poltrone in consiglio e consentire alle altre correnti di piazzare i loro uomini, o donne. La lista dei nomi in questo momento è quasi sterminata. Si va dal sottosegretario Giulio Calvisi, all’ex senatore Gian Piero Scanu. Dall’ex assessore regionale Carlo Careddu, all’ex parlamentare Silvio Lai. Al presidente dell’Anci Emiliano Deiana. Più o meno si possono aggiungere tutti i consiglieri regionali. E l’elenco potrebbe continuare. Segno che il nome non è ancora arrivato. Il motivo è semplice. La vittoria non è un evento scontato. Il crollo di consensi dei 5 Stelle non si è trasformato in un travaso automatico di voti al Pd. Troppo immobile per avere appeal. Molti elettori si sono spostati sul centrodestra. E rischiare di perdere di nuovo in modo pesante diventa un deterrente per qualsiasi potenziale candidato. Sarà come sempre l’accordo tra correnti a dare la sintesi. Ma in questo momento il Pd ha anche qualche difficoltà a coordinarsi. Ci sono i segretari provinciali solo a Cagliari, Sassari, nel Medio Campidano e in Gallura. Ci sono altri due nodi intorno a cui il Partito democratico si è aggrovigliato. Il primo è il rapporto con gli alleati. Una grossa fetta del partito non ha mai nascosto la propria distanza da Massimo Zedda e il gruppo fa fatica a riconoscerlo come leader dell’opposizione. Progressisti e Dem viaggiano a compartimenti stagni. E c’è un gruppo che chiede un taglio netto dei rapporti con l’anima più a sinistra dell’opposizione. Dopo oltre un anno tra Zedda e il Pd l’amore non è arrivato. Il candidato governatore non è diventato il capo dell’opposizione in aula. La sua designazione a una parte dei Dem non è mai stata realmente condivisa. Al massimo accettata perché Zedda incarnava il modello perfetto di candidato. Non del Pd, sindaco con eccellenti risultati, giovane. L’unica possibilità per il centrosinistra di contrastare il vento di centrodestra che spirava nell’isola. Dopo la sconfitta le distanze in questi mesi tra i democratici e i progressisti sono aumentate. E dentro l’aula, e il partito si fa strada un’idea inconfessabile, forse. Dare un sostegno in consiglio a una giunta desalvinizzata, con la Lega fuori dalla maggioranza. Il motivo è la gestione dei 5 miliardi di euro di risorse che potrebbero arrivare dall’Europa per la ripartenza post covid. Risorse mai viste nell’isola che se ben utilizzate potrebbero cambiare l’economia della Sardegna e le sue prospettive di crescita. Ma questa opzione viene frenata dal devastante effetto che potrebbe avere sull’opinione pubblica. L’operazione già portata a casa a livello nazionale rischia di non avere lo stesso gradimento se ripetuta nell’isola. Il Psd’Az a trazione Solinas, con in più Forza Italia e i Riformatori, è qualcosa di molto diverso dai 5 Stelle.

LA NUOVA SARDEGNA 15 giugno 2020

 

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