IO SO COSA SIGNIFICA VIVERE IN CERTI PAESI, di Antonio Ledà
L’economista Nando Buffoni si schiera con la ragazza rapita e ricorda il sequestra della sua famiglia in Kazachistan,
«Ho lavorato, per anni in Paesi nei quali i sequestri erano all’ordine del giorno e ho vissuto il dramma di Silvia Romano come se fosse quello di una figlia».
Nando Buffoni, economista bittese con una lunghissima carriera alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, interviene sulle polemiche che hanno fatto seguito alla liberazione della giovane volontaria milanese. Accetta di dire la sua forte di un’esperienza vissuta sulla propria pelle quando era responsabile dell’istituto comunitario ad Almaty, capitale del Kazakhstan. Era il 1995 e il Paese era ancora fortemente legato – soprattutto dal punto di vista economico – alla Russia di Boris Eltsin. Buffoni si accorse che un investimento milionario aveva preso una strada “sospetta” e dispose la restituzione della somma.
«Avevo capito che i soldi finivano a Mosca per finanziare società e gruppi legati al partito comunista – racconta l’economista -. Sapevo che il blocco dei finanziamenti non sarebbe stato accolto bene e così è stato».
Che cosa è successo?
«Un pomeriggio un gruppo di persone mascherate ha fatto irruzione nell’appartamento dove abitavo. Io ero fuori per lavoro ma a casa c’erano mia moglie e le mie due figlie arrivate in Kazakhstan per farmi una sorpresa in occasione del compleanno. Il commando ha chiesto dove fossi e ha tenuta sequestrata la mia famiglia per tutta la sera. Poi, hanno capito che non sarei rientrato e sono andati via portando con loro un po’ di soldi e qualche oggetto di valore, forse per simulare una rapina».E invece? «Invece era un gruppo kazaco al quale, evidentemente, il blocco dei denari dava molto fastidio. Da allora ho vissuto con un colonnello dell’esercito in casa. Sono stati due mesi difficili. E, mi creda, col mio lavoro in zone depresse i momenti duri non sono mancati».E’ per per questo che si è così immedesimato nel rapimento di Silvia Romano? «Capisco che cosa significa vivere in posti dove la sicurezza è una chimera».Che cosa ha provato all’annuncio della liberazione? «Un misto di gioia e di soddisfazione dopo mesi di attesa e di angoscia….».
Non tutti, nel Paese hanno festeggiato. Anzi, le polemiche in questi giorni si sprecano.
«Il paragone con il “figliol prodigo” in questo caso non è del tutto fuori luogo. Silvia è partita spinta da un principio di fratellanza e di umanità, forse non consigliata bene, forse non preparata bene, forse anche non protetta. Ma i giovani devono seguire la propria strada e questa era una strada piena di umanità che è stata interrotta brutalmente, falsamente, nel nome di un Dio che queste brutalità condanna. Anche nel Corano».
Si parla di un riscatto. Di un rapimento a fine di lucro. Lei che conosce bene anche quei posti che idea si è fatto?
«Io dico che sarebbero sufficienti i termini della sura 17 del Corano che riporta (in parte) il contenuto dei Comandamenti per illuminare un lettore maturo, non condizionato dalla situazione specifica sulla congruenza tra lo stato di privazione della libertà e le indicazioni del libro sacro che parla di fratellanza verso i propri simili. Ma è fratellanza quella che usa il proprio simile come merce di scambio sottraendo la libertà per la vendita in cambio di denaro? Di questa permissività nel Corano non c’è traccia. Ma capisco che queste sono considerazioni di un adulto seduto in poltrona».
Lei parla di maturità e comprensione mentre sui social volano insulti e sospetti.
«Ho letto le critiche per la “conversione” e i veleni su una presunta maternità (peraltro smentita). Io non giudico, cerco di capire convinto come sono che nulla possa modificare l’affetto di genitore verso un figlio. Anche se fosse vera la voce di una maternità sarebbe, in ogni caso, un dono, fosse anche frutto di violenza o di inganno. Vangelo e Corano comandano la vita».
Pare che dietro il sequestro ci sia la mano del Qatar.
«Che i paesi del Golfo e la Libia finanziassero gli estremisti mussulmani nel sud delle Filippine lo sapevano tutti. Io l’ho sentito più volte da magistrati mussulmani che operavano a Zamboanga, Mindanao e Lanao. L’ho letto in documenti informativi non particolarmente segreti se erano alla mia portata. Certo, questa storia del Qatar mi disturba molto e dovrebbe disturbare anche gli organi istituzionali (Regione Sardegna compresa) che fanno affari con quello Stato».
Anche sul riscatto, pagato forse dallo Stato, le polemiche politiche si sprecano.
«Mi viene da pensare che una parte di quella cifra erano anche soldi miei. Erano tributi che lo Stato ha prelevato nel corso della mia attività professionale. Quanto? Beh, sommando tutto, per oltre 40 anni, fanno una bella cifretta. Ma il problema non è questo. E’ che lo Stato avrebbe dovuto chiedermi se fossi d’accordo che si pagasse un riscatto, perchè avrei posto qualche domanda e qualche condizione. A chi vanno i soldi? A finanziare asili, scuole, ospedali? Ad aiutare i poveri, gli abbandonati? A combattere soprusi e ingiustizie? A promuovere pace, giustizia, fraternità? Oppure a sostenere i mercanti dell’odio e della morte abusando del nome di Dio? La risposta mi interessa. Perchè nel secondo caso, mi sarei opposto decisamente, perchè era un ricatto. Un ricatto dei trafficanti e mercanti di morte. E avrei detto no anche se si fosse trattato di un mio figlio. Si sarebbe trattato per evitare il sangue di un innocente rischiando di spargere il sangue di molti innocenti… E ciò che è più blasfemo è che questa vicenda si inquadra nella sfera di un Dio che non è quello Islamico/Cristiano, perchè nè il Corano nè il Vangelo hanno niente a che fare con questo, anzi esigono l’opposto».
Ha un suggerimento per la famiglia di Silvia?
«Auguro alla mamma di riuscire a seguire con pazienza il percorso di conversione della figlia e di poter pregare insieme lo stesso Dio, come già succede in molte comunità. Ma ricordo anche il battesimo è per sempre. E il tempo ci dirà che cosa è accaduto realmente il questi 18 mesi di prigionia».