Padri e … figli …

E’ un impressionante spaccato di storia del comunismo del Novecento quello che Massimo Cirri tratteggia nel libro Un’altra parte del mondo (Feltrinelli) raccontando di Aldo Togliatti.( il libro è stato presentato il 10 settembre al Festivaletteratura di Mantova).


Dagli anni Venti al 2011 quando morì in una clinica psichiatrica a Modena. Di questo figlio che il Migliore aveva avuto da Rita Montagnana per anni quasi si erano perse le tracce. Con un lungo lavoro di ricerca, Cirri ne ha ricostruito la vicenda biografica e umana, dall’infanzia trascorsa in giro per l’Europa quando i genitori comunisti furono costretti a scappare agli anni, dal ’34’ al ’45, quando Aldo, che già aveva manifestato segni di forte disagio, fu mandato a studiare ingegneria in Urss, in una sorta di collegio d’eccellenza, ad Ivanovo. Dove studiavano i figli dei più noti leader comunisti allora in clandestinità e impegnati nella lotta partigiana, in Spagna, in Italia e su altri fronti di lotta al nazi-fascismo.

Fra gli allievi illustri c’erano anche i figli di Mao. Quando il più grande tornò in Cina trovò un padre che aveva imposto il culto della personalità. Preferì andare in Crimea, dove fu ucciso. Il figlio di Tito fu creduto morto. Mentre il figlio minore di Mao, Kolja, si suicidò.
Dopo Ivanovo il ventenne Aldo, riluttante, tornò in Italia, dove fu preso da un senso di spaesamento, seguito dal tentativo fallito di continuare gli studi e di inserirsi nel mondo del lavoro. Poi l’acuirsi delle crisi, le cliniche psichiatriche in Urss, i farmaci, l’elettroshock, fino al ricovero a vita. Questi i nudi fatti, che Cirri trasforma in uno straordinario affresco di storia, da cui affiorano domande importanti sul comunismo, sull’Urss, sulla svolta di Salerno ma anche sulla realtà umana di leader che poi sono stati a lungo mitizzati. Domande, non giudizi morali. Cirri fa un’opera di fino, da grande narratore componendo in modo avvincente fatti e lettura del senso più profondo della storia. Provando a illuminare la complessa trama delle relazioni personali e intime di personaggi che tutti conosciamo nella loro ufficialità, per raccontare le persone più in profondità. Un lavoro che gli è costato otto mesi di ricerca e almeno altrettanti di scrittura. «Ho scritto questo libro pian piano, cercando di raccontare nella maniera più rispettosa possibile. Mi sembrava già di per sé un dramma tale… una vita non vissuta, aggiungere qualcosa di più mi pareva inopportuno, irrispettoso».
Da psicologo e scrittore, lei scrive di un «ritiro dal mondo» da parte di Aldo che «mite», «silenzioso», si chiude sempre più in se stesso…
La diagnosi allora fu di schizofrenia autistica, l’ho saputo da uno psichiatra di Bologna che ha letto la cartella clinica di Aldo Togliatti. Una malattia grave. Chiusura totale dal mondo. Si parla di un signore che ha paura di tutto e si ritira dalla realtà. Quello che colpisce da un punto di vista umano è che – chissà perché, chissà come – quella “timidezza” di Aldo bambino con gli anni e il procedere degli eventi e dei rapporti diventò una sofferenza gravissima e totale chiusura. Una signora che lo incontrò negli anni 70 in una occasione pubblica (allora lei era una giovane militante) mi ha raccontato che le sembrò malatissimo.
Aldo stava già male quando fu spedito a studiare a Ivanovo, dove le giornate erano organizzate molto razionalmente, fra studio e esercizio fisico ma «non c’era spazio per la vita interiore». Il controllo era totale. La delazione veniva premiata. Tutto questo quanto ha pesato?
Difficile dire. Anche Bianca Vidali è stata a lungo ad Ivanovo. Se li ricorda come anni di terrore, nonostante il posto privilegiato. Le persone sparivano, finivano in carcere perché da un momento all’altro diventavano nemici del popolo. Però poi lei ha avuto una vita “normale”. Le storie individuali sono complesse, diverse fra loro. Uno ce la fa, un altro ne esce rovinato. La storia dei figli di Longo apparentemente era ancora più difficile di quella di Aldo Togliatti. Si ritrovarono da soli, a 8 e 15 anni, nella grande Parigi. Ma poi hanno avuto una vita che potremmo dire realizzata. Al drammatico addensarsi di eventi di quegli anni hanno reagito in modi differenti.
Anche a ciò che gli veniva detto o impartito a Ivanovo. Anita Galliussi Seniga, nel libro è sbigottita per il patto fra Urss e Germania, “Ma come? Non eravamo nemici dei nazisti?”. Lei tratteggia una ragazzina vitale, reattiva. Diverso fu il caso dei figli di Mao, facevano parte di una generazione che ha creduto in un comunismo che proponeva ideali alti ma, al contempo, nascondeva contraddizioni feroci?
Io credo di sì. Miriam Mafai, che li aveva conosciuti tutti i figli dei dirigenti storici, diceva che erano molto infelici. Molti leader di allora non riuscirono a mettere insieme militanza, intesa come motivazione profonda ma totalizzante e la vita privata, le contraddizioni, i casini. Molte testimonianze dicono che tormentato, disperato, per la malattia di Aldo, Palmiro Togliatti quando adottò la bambina Marisa Malagodi fu generosissimo di tempo, come cercando di riparare…
Quando Aldo e gli altri ragazzi tornarono in Italia si trovarono completamente spiazzati, incapaci di accettare la realtà, «dovevano cambiare fede», lei scrive. Ritrovarono genitori non più in clandestinità, ma diventati figure istituzionali, come Togliatti che ormai trattava con Pio XII e la Chiesa.
Fu un cambiamento veramente radicale. Aldo non voleva tornare in Italia, viene e trova un segretario del partito che è venerato come una divinità in terra, una madre che è nella Costituente, così come la nuova donna del padre. Non sa trovare un suo posto.
L’idealizzazione di Lenin «il purissimo», l’attaccamento alla Pravda, una prassi che sembra quasi sostituire il pensare, sono l’altra faccia di Rita Montagnana?
La sua era una fede fortissima, quel tipo di militanza assoluta era una cosa del Novecento. A loro interessava solo l’impegno nel partito, lo studio, la cultura. Oggi non è più così ma tutto è anche drammaticamente più liquido, più affaristico o corruttivo.
Aldo muore nel 2011, perché in una clinica psichiatrica di Confindustria?
Banalmente è una clinica che aderisce a Confindustria. Il grande interrogativo è: perché fu internato per 31 anni? Possibile che a Modena non siano stati in grado di inventarsi un modo per cui una persona anche molto matta, incasinata ecc, potesse ricevere delle cure? Fu richiuso lì per timore di pubblicità, perché la stampa di destra ha sempre cercato di attaccare il padre tramite Aldo? Il senatore Sposetti mi ha inviato a fare una presentazione del libro a Modena alla festa dell’Unità, se non mi picchiano, proverò a fare qualche domanda!

AVVERTENZA: l’amministratore di questo sito, che spesso pubblica gli articoli che legge, ha ritrovato questo pezzo di una decina di mesi or sono e ha deciso di pubblicarlo, nonostante che, per cause spiegabili solo in errori di cancellazioni, nel frattempo inconsapevolmente ne avesse perso la collocazione originaria,  ilnome dell’autore ed il titolo. L’essenziale rimane interessante e meritevole di attenzione (s. c.)

 

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