AUGURIOS A SOS SARDOS, IN SA DIE DE SA FESTA.

Sommario: Sa Die de sa Sardigna, l’insurrezione di un popolo, di Antonello Angioni. Strofe per il canto dell’inno nazionale sardo (strofe1-2, 4, 24, 46-47) – Chi era Francesco Ignazio Mannu, l’autore dell’inno del Popolo sardo “Procurade ‘e moderare barones sa tiranìa”?

 

 

Sa Die de sa Sardigna, l’insurrezione di un popolo, di Antonello Angioni

Nel gennaio del 1793, la minaccia di un’invasione della Sardegna da parte degli eserciti della Francia rivoluzionaria diventa concreta: la flotta del contrammiraglio Truguet, radunata nel golfo di Cagliari, inizia a bombardare la città. Il viceré Balbiano non assume alcuna decisione per fronteggiare il pericolo per cui gli Stamenti – i tre bracci dell’antico Parlamento sardo che non venivano convocati da quasi un secolo – si autoconvocano per organizzare il piano di difesa. In particolare sono i miliziani sardi, guidati da Giralomo Pitzolo e Vincenzo Sulis, che, complice una tempesta, costringono i francesi alla fuga.
Stamenti
Il re Vittorio Amedeo III dimostra una qualche apertura verso i sardi e gli Stamenti formulano le Cinque domande (richieste di particolari provvedimenti a favore della Sardegna). Le Cinque domande , peraltro, non furono il portato improvviso dell’autoconvocazione del Parlamento sardo dopo il fallito sbarco francese ma il frutto di una lunga, tormentata, gestazione alimentata da due fattori: da una parte, la resistenza dei ceti privilegiati all’offensiva assolutistica che aveva connotato il riformismo boginiano; dall’altra, il malessere delle nuove generazioni che, pur avendo studiato durante i regni di Carlo Emanuele III e Vittorio Amedeo III nelle Università riformate, avevano visto sempre più deluse le loro aspettative di impiego e di carriera nei ranghi dell’Amministrazione dello Stato. La prima delle domande, vale a dire la ripresa della convocazione decennale del Parlamento per la trattazione degli affari generali del Regno e la discussione del donativo, era volta al recupero del nucleo essenziale della tradizione parlamentare. Anche la domanda relativa alla conferma dei “privilegi” (il ripristino degli antichi ordinamenti del Regno) assumeva un significato autonomista e si connotava per una forte carica antiassolutistica in quanto richiamava il rapporto pattizio intercorrente tra il sovrano e la nazione sarda . Una delegazione stamentaria si recò a Torino per illustrare le richieste che tuttavia non vennero accolte.
Gli arresti
A Cagliari il malcontento serpeggiava forte. Il viceré, ritenendo che si stesse organizzando una congiura, ordinò l’arresto di due avvocati, Vincenzo Cabras e il genero Efisio Pintor, considerati i capi della cospirazione. Era il 28 aprile 1794. Fu la scintilla dell’insurrezione: i parenti del Cabras, popolare e stimato, invitarono i cagliaritani a dare un’adeguata risposta. La città s’infiammò e la popolazione, guidata da Sulis arresta tutti i piemontesi. Il viceré abbandonò il Palazzo Viceregio e si rifugiò nell’Arcivescovado. Il 2 maggio, verrà imbarcato insieme a i suoi conterranei fatta eccezione per l’arcivescovo Melano.
La mancata accettazione, da parte del governo piemontese, delle Cinque domande innescò non solo un’ondata di comprensibile sdegno ma anche un processo di rivendicazione autonomista e una presa di coscienza della propria identità culturale oltre che delle ingiustizie presenti nella società. Da tale humus ebbe origine un ampio movimento politico e sociale che, partendo da Cagliari, si diffonderà presto nelle campagne dove le popolazioni chiedevano l’abolizione del sistema feudale. Questo periodo racconta la vicenda di un popolo, il popolo sardo, e, come in un grande affresco, narra anche le sue attese, le sue rivendicazioni, le sue lotte, il suo affacciarsi alla storia e la sua ferma volontà di prendervi parte. Le lotte sono le stesse che contadini, pastori e intellettuali, dagli inizi del Settecento, conducono l’Europa contro il feudalesimo e l’Ancien Régime. E sono quelle lotte che danno l’avvio alla conquista delle libertà moderne che segnano l’inizio dell’età contemporanea.
La Giornata
In particolare, l’insurrezione cagliaritana del 1794 sta alla base di Sa Die de sa Sardinia, la Giornata del popolo sardo, istituita nel settembre 1993, e che tutti gli anni, il 28 aprile, si celebra, per iniziativa della Regione e in collaborazione con associazioni e fondazioni costituite in apposito Comitato.
Antonello Angioni

 

 

 

 

 

INNU DE SU PATRIOTA SARDU A SOS FEUDATARIOS Strofe per il canto come “Inno della Regione Sarda”.

(strofe1-2, 4, 24, 46-47) –

1.

Procurade ’e moderare

Barones sa tiranìa,

Chi si no pro vida mia

Torrades a pè in terra.

Declarada est già sa gherra

Contra de sa prepotenzia

E cominzat sa passienzia

In su populu a faltare.

Procurade etc.

 

2.

Mirade ch’est azzendende

Contra de bois su fogu,

Mirade chi no est giogu,

Chi sa cosa andat de veras,

Mirade chi sas aeras

Minettana temporale;

Zente consizada male,

Iscultade sa oghe mia.

Procurade etc.

4.

Su Populu, ch’in profundu

Letargu fit sepultadu,

Finalmente despertadu

S’abbizat ch’est in cadena,

Ch’istat sufrende sa pena

De s’indolenzia antiga,

Feudu, legge inimiga

A bona Filosofia!

Procurade etc.

24.

O Poveros de sas Biddas,

Trabagliade trabagliade,

Pro mantenner in Zittade

Tantos caddos de istalla;

A bois lassan sa palla,

Issos ragoglin su ranu,

E pensan sero e manzanu

Solamente a ingrassare.

Procurade etc.

 

46.

Custa Populos est s’ora

De estirpare sos abusos,

A terra sos malos usos,

A terra su despotismu!

Gherra gherra a su egoismu,

E gherra a sos oppressores!

Custos tiranos minores

Est precisu umiliare!

Procurade etc.

 

47.

Sino calqui die a mossu

Bonde segades su didu,

Como chi est su filu ordidu

A bois toccat su tesser,

Mizzi chi poi det esser

Tardu s’arrepentimentu:

Cando si tenet su bentu

Est precisu bentulare.

Procurade etc.

1. Cercate di moderare, baroni, la tirannia, altrimenti, lo giuro sulla mia vita, tornate a piedi a terra! È già dichiarata la guerra contro la prepotenza, e nel popolo la pazienza comincia a venir meno.

2. Badate che si sta accendendo l’incendio contro di voi; badate che non è uno scherzo, che la cosa sta diventando realtà; badate che il cielo minaccia il temporale; gente mal consigliata, ascoltate la mia voce.

4. Il popolo, che era sprofondato in un profondo letargo, finalmente si è risvegliato e si rende conto che è in catene, che sta scontando la pena della sua ormai secolare incapacità di reagire contro il sistema feudale, ordinamento [politico e sociale] contrario alla saggezza di una sana filosofia.

24. Lavorate, lavorate, o poveri dei paesi, per mantenere in città tanti cavalli stalloni! A voi lasciano la paglia, mentre essi s’impossessano del grano e mattina e sera pensano solo a ingrassare.

46. Popoli, è giunta l’ora di estirpare gli abusi! A terra le cattive consuetudini, a terra il dispotismo! Guerra, guerra all’egoismo e guerra agli oppressori! Dovete umiliare [i feudatari,] questi piccoli tiranni!

47. Se non lo fate, un giorno [per la rabbia] vi staccherete le dita a morsi! Ora che la trama è già ordita, spetta a voi tessere! Badate che poi sarà tardivo il pentimento. Quando [sull’aia] tira il vento favorevole, allora si deve separare il grano dalla pula.

 

Chi era Francesco Ignazio Mannu, l’autore dell’inno del Popolo sardo “Procurade ‘e moderare barones sa tiranìa”? di Luciano Carta

Quest’anno la celebrazione del 28 aprile, con la definitiva adozione dell’inno di Francesco Ignazio Mannu Procuade ’e moderare come inno ufficiale della Regione Sarda e, dunque, del Popolo sardo, assume un significato tutto particolare.

Non è fuori luogo, pertanto, delineare la figura di questo importante personaggio e cercare di individuare alcuni contenuti essenziali dell’inno; quest’ultimo, infatti, difficilmente può essere compreso se non viene inquadrato nel contesto culturale del Settecento sardo, partecipe, nel suo piccolo, della cultura e delle idealità del Secolo dei Lumi.  Il magistrato ozierese, infatti, fu ampiamente coinvolto nelle vicende del “triennio rivoluzionario sardo” del 1793-1796.

Era nato a Ozieri il 18 maggio 1758 da Giovanni Michele e Margherita Roig, entrambi appartenenti alla piccola nobiltà locale. Conseguì la laurea in utroque iure a Sassari 6 febbraio 1783. Nell’ateneo sassarese egli fu partecipe della riforma delle due Università sarde iniziato dal ministro sabaudo Gian Lorenzo Bogino a metà degli Sessanta del Settecento, che infondeva linfa nuova nella asfittica cultura isolana, mettendola a contatto con la più evoluta cultura italiana ed europea e con la mentalità nuova del secolo dei lumi. In questo ambiente culturale rinnovato egli acquisiva una marcata coscienza politica e identitaria, nello sforzo di affermare la specificità culturale dell’isola e di rivendicare l’autonomia delle istituzioni del Regno sardo contro l’assolutismo sabaudo. La cultura rinnovata delle Università costituì l’antecedente imprescindibile, quasi una “fase di incubazione”, di quel vasto moto di riforma politica, sociale e culturale che culminerà nel “triennio rivoluzionario sardo” del 1793-96. Alle vicende e ai progetti di quel periodo sono legate l’azione politica e l’opera letteraria più significativa del Mannu.

Trasferitosi a Cagliari dopo la laurea, egli vi esercitò la professione di procuratore legale. Attirò su di sé l’attenzione nel periodo in cui, respinto vittoriosamente dai sardi il tentativo della flotta francese di conquistare Cagliari, lo Stamento militare, di concerto con gli altri due bracci, ecclesiastico e reale, si autoconvocò, prima per approntare misure di difesa a seguito dell’inazione del viceré Balbiano, poi per predisporre una piattaforma politica unitaria di rivendicazione autonomista della “nazione sarda”.

Il dibattito in seno agli Stamenti svoltosi nella primavera del 1793 diede luogo alla piattaforma politica delle “cinque domande”, recata a Torino da una delegazione di sei ambasciatori, due per ciascun braccio degli Stamenti. Con esse i rappresentanti della Sardegna chiedevano il ripristino della convocazione decennale del Parlamento, mai convocato dai sovrani sabaudi dalla presa di possesso dell’isola nel 1720; il rispetto delle leggi fondamentali del Regno di Sardegna, in particolare del ruolo che un reggimento monarchico “misto”, in cui la sovranità veniva esercitata insieme dal re e dai corpi intermedi; l’assegnazione ai sardi dei posti nella burocrazia statale; l’istituzione di un Consiglio di Stato; la costituzione di uno specifico Ministero per la Sardegna a livello di governo centrale.

Il ruolo svolto dal Mannu nei dibattiti parlamentari dovette essere particolarmente incisivo e propositivo se, dopo la partenza della delegazione stamentaria per Torino, il 27 luglio 1793 egli fu chiamato a ricoprire il delicatissimo incarico di “Avvocato dello Stamento militare”. Un ruolo di assoluto rilievo, riconosciutogli anche da Giuseppe Manno, massimo storico sardo l’Ottocento, che nella Storia moderna della Sardegna (1842) ne ha così delineato il carattere e la personalità: “giovine di animo bollente, benché ascoso sotto tiepide apparenze, dotato di acume straordinario d’intelletto, e per la sua finezza di ragionamento e per la copia della dottrina legale assai pregiato nello stamento militare di cui era membro”

Nella primavera del 1794, il mancato accoglimento da parte del sovrano delle “cinque domande” diede luogo all’insurrezione cagliaritana del 28 aprile, che comportò lo “scommiato”, ossia la cacciata, di tutti i piemontesi dall’isola. Nell’attuazione di questo significativo episodio, provocato dall’insofferenza dei sardi verso la politica assolutistica del governo piemontese, il Mannu ebbe un ruolo non secondario. Una fonte coeva dice di lui “che avrebbe rinunziato al paradiso, qualora vi avesse trovato un piemontese”. Subito dopo la cacciata dei piemontesi egli provvide, come avvocato dello stamento militare, alla riconvocazione dei membri dello Stamento militare. In assenza del viceré, tra aprile e settembre 1794, gli affari pubblici furono gestiti autonomamente dalla Reale Udienza, massimo organo giurisdizionale e politico, coadiuvata dai tre rami del Parlamento sardo. In questo contesto il Nostro portò avanti una linea d’azione di rigido autonomismo, che esigeva l’applicazione integrale delle prerogative della “nazione sarda”, in sintonia con il dettato costituzionale del Regno. Tale rigore autonomistico lo portò, di lì a poco, a rinunciare all’incarico di Avvocato dello Stamento militare. Avendo il sovrano proceduto, nel giugno 1794, accogliendo in parte le “cinque domande”, a nominare quattro sardi alle più alte cariche del Regno, senza però rispettare la legge della terna, contro il parere della maggioranza degli stamentari, il Mannu preferì dimettersi dall’incarico nel corso della seduta del 7 luglio 1794.

Da questo momento il suo ruolo politico appare più defilato. Il suo nome ricomparirà nel settembre 1795, quando fu nominato giudice aggiunto della Sala Civile della Reale Udienza.

Tra settembre 1794 e luglio 1795 una grave frattura si era verificata all’interno del partito patriottico sardo: due dei funzionari nominati dal sovrano nel luglio 1794, l’Intendente Generale Pitzolo e il Generale delle Armi marchese della Planargia, rei di aver tradito il disegno autonomistico del partito patriottico con l’intento di rinforzare l’autorità regia, vennero assassinati. Intanto, a partire dall’estate 1795, alle istanze autonomistiche e anti-assolutistiche si aggiungeva la rivolta delle popolazioni rurali contro il sistema feudale, autentica cancrena dell’organizzazione politica e sociale della Sardegna.

Nell’agosto 1795 i feudatari del Capo meridionale dell’isola e il governo viceregio, per venire incontro alle rivendicazioni del moto antifeudale, si dichiararono favorevoli ad una politica di apertura verso le popolazioni infeudate. Un decreto viceregio invitava i vassalli dei feudi a nominare dei delegati incaricati di discutere a Cagliari, davanti alla Reale Udienza e agli Stamenti, in contraddittorio con i rispettivi feudatari, degli abusi introdotti nell’esazione dei diritti feudali, al fine di giungere ad una equa soluzione delle controversie. Questa apertura non fu condivisa dai feudatari del Capo settentrionale, che tentarono, con l’avallo del governo centrale, di provocare una secessione. Seguì la radicalizzazione della lotta antifeudale. Le popolazioni del Logudoro, che propugnavano l’abolizione del sistema feudale, giurarono dei patti tra le ville dei rispettivi feudi, denominati “Atti d’unione e di concordia”. Attraverso uno strumento pubblico sottoscritto alla presenza di un notaio le ville s’impegnavano a riscattare a titolo oneroso i rispettivi feudi, a condizione che i feudatari rinunciassero in toto alla giurisdizione feudale. All’oltranzismo della feudalità sassarese, il movimento antifeudale rispose con un gesto clamoroso: il 28 dicembre 1795 un esercito contadino conquistava Sassari, costringendo i feudatari alla fuga e prendendo in ostaggio l’Arcivescovo e il Governatore. Nel febbraio 1796, fornito di pieni poteri, fu mandato a Sassari il giudice della Reale Udienza G. M. Angioy. Convinto fautore del superamento del sistema feudale, egli tentò di dare una soluzione legale al problema, facendo adottare a tutte le comunità del Capo settentrionale i citati “Atti d’unione”, uno strumento cioè di eversione del sistema feudale ragionevole e concordato tra le parti. Ma la feudalità intera, il governo viceregio e la maggioranza degli stamentari non vollero seguirlo sul terreno dell’abolizione pura e semplice del sistema, pur con la soluzione concordata dell’indennizzo. Accusato di fellonia, G. M. Angioy fu costretto a desistere dall’impresa e a fuggire in esilio nel giugno 1796. Subito dopo iniziò una feroce repressione contro i suoi seguaci.

Nel cuore degli avvenimenti della lotta antifeudale Mannu scrisse, attorno alla fine del 1795, l’inno antifeudale Su patriota sardu a sos feudatarios, l’opera letteraria alla quale sono esclusivamente legati il suo nome e la sua fama.

Su patriota sardu a sos feudatarios è un lungo e complesso carme in sardo logudorese, di 47 ottave di versi ottonari, modellato sul metro dei gosos, cioè dei canti di origine spagnola che nella tradizione religiosa locale vengono cantati in onore dei santi. La tradizione vuole che l’inno sia stato stampato alla macchia in Corsica nel pieno della lotta antifeudale. Raffa Garzia, codificando una consolidata tradizione ottocentesca, volle ribattezzare l’inno come la “Marsigliese sarda”, attribuendogli significati e valenze di carattere democratico e giacobino storicamente improbabili e sotto il profilo dell’analisi testuale del tutto improponibili. In realtà l’inno di Mannu è il più noto manifesto politico della fase moderata del movimento antifeudale, avviata con le aperture del governo viceregio e dei feudatari del Capo meridionale nell’estate del 1795, il cui obiettivo era quello di sanare gli abusi di cui si era reso storicamente responsabile il sistema feudale. Un inno, quindi, che veicola una visione moderatamente riformatrice della società e del Regno di Sardegna di fine Settecento, sebbene i toni di alcune strofe denotino una convinta e robusta denuncia dei mali indotti dal sistema feudale nella società sarda. Inoltre l’inno ripercorre, con toni duramente polemici, le principali vicende del “triennio rivoluzionario sardo”: in esso un “patriota zelante” quale fu F. I. Mannu, denuncia il  tradimento della “sarda rivoluzione” da parte di coloro che, per interesse personale o di parte, ne avevano abbandonato l’originaria ispirazione autonomistica e il progetto di una moderata riforma politica e sociale, da realizzare all’interno dell’istituto monarchico, del tutto aliena da aspirazioni di carattere democratico e giacobino.

Fu sicuramente questo sostanziale moderatismo, dopo il fallimento del moto antifeudale, che consentì all’ex Avvocato dello Stamento militare, che fu anche uno dei più accesi fautori dell’Angioy e in quanto tale proposto per il confino, di non essere né perseguitato né epurato. Egli, infatti, anche dopo l’arrivo in Sardegna nel 1799 del sovrano sabaudo, cacciato da Torino dalle armate napoleoniche, poté continuare indisturbato il suo servizio nei ruoli dell’alta magistratura. Giudice effettivo della Sala Civile della Reale Udienza nel 1807, nel settembre 1818 fu nominato giudice del Magistrato del Consolato, tribunale incaricato di dirimere le controversie sul commercio.

Parsimonioso e filantropo, alla sua morte, avvenuta il 19 agosto 1839, lasciò un cospicuo patrimonio di 40.000 scudi all’Ospedale Civile di Cagliari.

 

Luciano Carta

 

 

Condividi su:

    Comments are closed.