INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA REGIONE CHRISTIAN SOLINAS, di Luca Roich

«Ancora in prima linea, ma lavoro per la ripresa». Il presidente condivide le proposte dell’ex assessore Paci: «Ci lavoravo già».


di Luca Rojch SASSARIL’amore ai tempi del coronavirus è un delicato intreccio di pazienza e passione. E forse è difficile parlare di corrispondenza di amorosi sensi tra il governatore Christian Solinas e Raffaele Paci, l’ex assessore al bilancio della giunta Pigliaru. Ma la ricetta lanciata sulla Nuova da Paci viene condivisa da Solinas. Che specifica. «Era quello su cui la giunta già lavorava». Solinas non solo spiega la sua idea per far ripartire l’economia del dopo covid, ma racconta anche la strategia che la Regione porta avanti per affrontare le prossime settimane. E anche nell’isola sarà a breve obbligatorio indossare le mascherine. Il governatore non si sbilancia su una possibile data per la fine della quarantena e per la riapertura delle attività. E per ora preferisce la cautela.

Governatore, la curva dei contagi sembra rimanere costante.«Le misure in campo al momento indicano che siamo riusciti a tenerla schiacciata. Ma non dobbiamo abbassare la guardia. Ci troviamo davanti a un virus insidioso che conosciamo da pochi mesi a livello mondiale e di cui non possiamo prevedere con precisione l’andamento. Per ora posso dire che manterremo tutte le misure adottate».

Il virologo Andrea Crisanti ha detto che la Sardegna sarà la prima a riaprire. Ma sarà cosi? «Interpreto le sue parole come un apprezzamento al lavoro svolto in queste settimane dalla Regione per affrontare l’emergenza e sui buoni risultati che abbiamo ottenuto fino a ora. Ma è davvero presto per fare ipotesi e non dobbiamo vanificare il lavoro fatto dai sacrifici dei sardi in queste settimane. Dobbiamo tenere fermo livello di guardia per uscire da questa situazione».

In Lombardia e Toscana c’è l’obbligo di indossare la mascherina per uscire. Pensa di introdurlo anche in Sardegna?«Per prima cosa garantiamo l’approvvigionamento massiccio di dispositivi di protezione individuale. Nei giorni scorsi è arrivato il primo milione di mascherine, domani (oggi ndr) ne arriveranno altri due milioni di chirurgiche e Ffp2. Nel momento in cui le avremo e saranno diffuse diventerà obbligatorio utilizzarle per accedere nelle strutture pubbliche rimaste aperte, come i supermercati. Io credo che sia un fatto di rispetto e civiltà».

Nelle scorse settimane aveva denunciato di non avere ricevuto macchinari e presidi dal governo. È sempre cosi? «C’è stata una difficoltà oggettiva da parte del governo ad affrontare questa emergenza che ha riguardato tutte le regioni contemporaneamente, La domanda di macchinari e presidi è globale in una pandemia. E tutte le nazioni hanno una domanda molto alta degli stessi dispositivi: ventilatori polmonari e di protezione individuale. Nessun sistema sanitario era pronto a una emergenza simile. Il governo ha privilegiato le regioni dove l’emergenza era maggiore. Ma ora qualcosa inizia a essere consegnato. A noi un grande aiuto è arrivato dalla solidarietà e dalle donazioni dei privati che hanno regalato diversi dispositivi e ci consentono di acquistare sul mercato l’attrezzatura».

Ospedali e case riposo sembrano essere l’anello debole. «Le case di riposo sono il nostro punto di maggiore attenzione insieme agli ospedali. Perché sono frequentati dai soggetti più deboli dal punto di vista della risposta immunitaria. Nelle case di cura abbiamo inviato delle task force che hanno portato a termine uno screening che ci consente di avere un quadro preciso. Andremo avanti nei prossimi giorni visto che stanno per arrivare 10mila kit di tamponi e reagenti».

Siamo in piena emergenza sanitaria, possiamo parlare di ripresa delle attività economiche? E secondo lei quando avverrà?«Si tratta della situazione più grave che l’umanità abbia affrontato dal secondo conflitto bellico mondiale. Dobbiamo avere la capacità di governare l’emergenza per costruire un futuro, anche economico, ma oggi la priorità è contenere la diffusione del virus con misure dure, ma necessarie. Come il distanziamento sociale, la chiusura di attività non essenziali e la limitazione della circolazione dei cittadini. Registriamo i primi effetti positivi dei sacrifici delle ultime settimane e sarebbe un grave errore pensare di allentarne ora l’intensità col rischio di pregiudicare l’obiettivo finale. Nello stesso tempo, con le misure di carattere sanitario, dobbiamo immettere da subito liquidità nelle mani dei cittadini in difficoltà e del sistema economico produttivo. Tutti devono essere in grado di sopravvivere a queste restrizioni in attesa del momento in cui si dovrà ripartire e riprendere una nuova normalità, perché molto sarà cambiato nel modo di vivere, rapportarsi e operare dopo questa fase»

.La preoccupa la situazione economica in cui è precipitata l’isola? «Gli ultimi studi dicono che le previsioni di crescita debole dell’Italia, stimate a più 0,4 per cento del Pil prima dell’emergenza, debbano essere corrette per il 2020 fino a un meno 10 per cento. L’impatto sarebbe devastante per qualsiasi economia. Le previsioni sono preoccupanti su scala globale, tanto che il segno negativo è dato per certo anche in sistemi forti come Usa e Cina. In un contesto simile, gli elementi di preoccupazione per la Sardegna sono accentuati da due fattori. La pandemia ha travolto a livello mondiale il comparto turistico, che per noi vale l’8 per cento del Pil e raggiunge con l’indotto circa il 14%. Senza parlare delle esportazioni di prodotti di qualità dell’agroalimentare, molto penalizzate dalla chiusura delle frontiere e dalla percezione internazionale dell’Italia come focolaio attivo di pericolo per la diffusione del virus. Servono misure straordinarie e di sistema, nel senso che tutte le istituzioni, da Roma a Bruxelles, devono entrare nell’ottica di sospendere ogni regola fondata su valori predefiniti assolutamente modificabili, come i parametri sul deficit. Solo con un aumento del debito pubblico, condiviso a livello europeo, sarà possibile riassorbire la perdita di reddito sostenuta dal settore privato e l’indebitamento che le aziende avranno accumulato per superare il momento ed evitare che la recessione si trasformi in una depressione prolungata».

Si parla di stagione turistica probabilmente già finita. È cosi?«Il turismo paga in modo drammatico l’emergenza sanitaria. Abbiamo incontrato gli operatori fin dal principio dell’epidemia in Cina e nelle zone cluster del Nord Italia, quando cominciava a diffondersi la paura collettiva e si registravano cancellazioni sul prenotato fino all’80%. Noi facciamo tutto quanto è nelle possibilità della Regione per trasmettere l’immagine di una situazione sotto controllo dal punto di vista sanitario e la prospettiva di una riapertura non appena ci saranno le condizioni di sicurezza per la salute pubblica. Con un quadro simile, non è facile fare previsioni, Ma è certo che il comparto e il suo indotto vanno sostenuti, anche per mantenere pronto il tessuto economico produttivo dell’isola al momento in cui l’emergenza cesserà e dovremo riconquistare le nostre quote di mercato. Alcune misure sono già state adottate, sia sulle politiche del lavoro sia sul versante delle moratorie bancarie e dell’accesso ai fondi di garanzia. Altre sono in fase di definizione, soprattutto con riguardo all’esigenza di trasferire liquidità immediata alle aziende».

Oggi l’ex assessore al Bilancio Paci, che ha elogiato il modo in cui la Regione affronta l’emergenza, ha fatto tre proposte per consentire la ripresa economica. Via il pareggio di bilancio in Regione. Possibilità di contrarre mutui per affrontare la spesa corrente. La possibilità che la spesa sanitaria aggiuntiva sia coperta da risorse statali. Le condivide?«Voglio prima di tutto ringraziare Raffaele Paci perché col suo intervento ha dimostrato che, pur nella corretta distinzione dei ruoli e delle appartenenze politiche, la classe dirigente sarda possa trovare un terreno di confronto e di condivisione di percorsi nel preminente interesse della nostra isola e dei sardi, come auspicato dal presidente Mattarella all’indomani dell’emergenza Covid 19 nel Paese. Dobbiamo mettere a sistema tutte le intelligenze, le capacità e le sensibilità migliori che la Sardegna può esprimere in ogni settore e non “infantili e sterili contrapposizioni”. Personalmente ho più volte proposto un’apertura in questo senso, colta dalle parti più responsabili e significative dell’arco costituzionale. E credo di averlo dimostrato nei fatti, anche di recente, facendo scelte sulle competenze e la professionalità di manager ed esperti al di là di ogni sfumatura partitica o politica. Sul punto specifico, non posso che condividere le tre proposte, sulle quali siamo già a lavoro con la struttura regionale insieme a ulteriori azioni, come l’anticipazione attraverso Cassa depositi e Prestiti delle risorse già previste nell’accordo col Governo per 1,6 miliardi. Dovranno essere in parte utilizzati per coprire le spese in conto capitale già finanziate con risorse regionali. In questo modo quelle risorse saranno liberate e si potranno usare per la spesa corrente. Sarebbe un ottimo punto di partenza per il confronto se l’opposizione consiliare scegliesse Paci come proprio referente per le questioni economiche e potremmo avviare da subito un tavolo di confronto con l’assessore Fasolino ed i nostri tecnici».

Ritiene le proposte di Paci realistiche?«Le ritengo necessarie, in primo luogo. Giorno per giorno, gli indicatori economici peggiorano. Le aziende si trovano a fronteggiare una crisi epocale. Molti stanno già ridimensionando la forza lavoro. In queste condizioni, senza misure consistenti, è inevitabile una profonda recessione. Se questo è lo scenario, abbiamo bisogno del maggior apporto possibile di risorse pubbliche per dare sicurezze ai cittadini e salvaguardare le aziende e l’economia dagli choc che non potrebbero riassorbire da sole. Come osservato, di recente, da Mario Draghi la domanda chiave davanti a questa congiuntura non è se, ma come lo Stato e la Regione dovrebbero sfruttare il proprio bilancio. È evidente che, per superare la crisi, un livello di deficit molto più elevato contraddistinguerà le nostre economie per i prossimi decenni, anche per supportare la cancellazione di una quota significativa del debito privato».

Basteranno queste tre mosse per ricostruire il tessuto produttivo già fragile della Sardegna?«Ogni grande crisi segna profondamente la società e l’economia, ma porta con sé anche nuove prospettive. Credo che la sfida più importante al momento sia agire con tempestività e adeguatezza di risorse, sia per garantire un reddito di base a chi perde il lavoro, a chi non può trovarlo, ai tanti privi di qualsiasi fonte di sostentamento. Sia per preservare il nostro tessuto economico e imprenditoriale fatto di imprese ma anche di commercianti, artigiani, agricoltori, pastori, partite iva e professionisti. In caso contrario, alla fine dell’emergenza sanitaria ci ritroveremmo con una capacità di produrre reddito e occupazione molto ridotta. Per questo è indispensabile un’immediata iniezione di liquidità nel sistema, per le grandi aziende, ma soprattutto per le piccole e medie imprese e per gli autonomi per sopportare i costi e prepararsi alla ripresa. Siamo impegnati a mettere in campo subito 120 milioni per sostenere famiglie e cittadini e circa 200 milioni per le imprese, puntando a una battaglia comune che ci porti a sospendere il pareggio di bilancio e il divieto di finanziare la spesa corrente con mutui per arrivare a destinare almeno un ulteriore miliardo di euro alla ripresa economica e sociale della Sardegna».

L’intervista è uscita ieri su La Nuova Sardegna.

 

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