SA CAMBIADA,apocalisse, n° 2, sa de tres dies, zòbia, 12 de martzu 2020, de Boredhu Morette (Salvatore Cubeddu)
Ispiegaus sos foedhos, spieghiamo i termini (nuove abitudini, nuovi valori …. sa cambiada-l’apocalisse, su mare-il male). S’INIMIGU, i contrari: noi tutti che, bloccati ogni giorno di più dalla paura, ci chiudiamo al cambiamento e alla battaglia contro il male. ARRESONAMENTOS PO SA ZENTE, Considerazioni per il Popolo: articolo di Marcello Veneziani (Manca una risposta spirituale al contagio, nella foto: a destra) ARRESONAMENTOS PO CHIE CUMANDAT. Considerazione ad uso delle autorità: articolo di Walter Veltroni (Ma verrà un «dopovirus», nella foto: a sinistra). A SA FINI, corollario.
BOLLETTINO: Conte: «Restrizioni in tutta Italia. Chiusi bar, negozi e ristoranti. Aperti farmacie, alimentari, tabaccai e edicole. Garantiti i trasporti. Tra 2 settimane vedremo gli effetti. E ci riabbracceremo» .
EMERGENZA CORONAVIRUS. Per spostarsi adesso serve un’autocertificazione: come funziona| Scarica il modulo. Trump sospende i voli tra Usa e Europa. Le Borse affondano: Milano perde il 6%. Cina: «Superato il picco dell’epidemia». Tre turisti italiani ricoverati a Cuba. Tom Hanks e la moglie: «Siamo positivi». L’INTERVISTA. Il sindaco di Codogno: «Giuste misure più rigide, da noi ha funzionato»|Parla
il paziente 1: «Sono a Lodi?»
12 MARZO 2020 – SU MES’E MARTZU DE SU 2020
De ita foeddàus:
Tema: Ancora il cambiamento nel senso di ‘apocalisse’.
Ispiegaus sos foedhos, spieghiamo i termini (ancora de sa cambiada-l’apocalisse, su mare-il male)
SA CAMBIADA O SA FURRIADA? Po ‘furriàda’ nois naràus cussa chi in italianu est ‘curva’ , chi podet essere de 180° ma est triballosu chi s’agatet in d’un’istrada. “Cambiàda dh’impitàus innoghe cun sentidos morales, poita custu mare (mare, it.) pigat sa zente passande de s’unu a s’ateru, custu metro de distantzia est fatu po s’ich’istesiare in fisicu e comente timorìa s’unu de s’ateru. Donniunu chi passat e acostat podet essere cussu chi ti passat sa maraìa, dhu depes tìmere. Custu balet po sa pessone, ma dhu sèus bidende tra sas cittades e sas bidhas, tra regione e regione (Lombardia e Sardigna), tra sos istrado (po como, nessunu in su mundu cheret chi un italianu s’acòstete a domo issoro, comente nois cun sos cinesos, mancu unu mese prima de oe. Ma ant a cambiare idea candhu sa maradìa si dh’ant agatae acanta). Ananti de su perigulu o dezidèus d s’azudare o si chi bogàus sos ogos s’unu cun s’ateru.
CAMBIAMENTO, come “apocalisse”. Sul tema della ‘fine del mondo’ come rivelazione la Fondazione Sardinia ha promosso il convegno ““Agostino di Ippona e le apocalissi dell’occidente”, i cui atti trovate in questo sito cliccando questo titolo, a cura di Placido Cherchi. I due articoli che ci oggi ci aiutano nella riflessione non ci sembrano lontani dal nostro filone di pensiero, almeno come atteggiamento.
àS’INIMIGU, i contrari al cambiamento e alla battaglia contro il male.
àARRESONAMENTOS PO SA ZENTE. Considerazioni per il popolo.
Manca una risposta spirituale al contagio, di Marcello Veneziani
C’è una dieta spirituale da osservare in questi giorni d’incubo e d’incubazione? Non mi è parso di leggere o di ascoltare da nessuna parte riflessioni, consigli, terapie che avessero a cuore l’anima delle persone e che ponessero la questione virale dal punto di vista “spirituale”. Parola desueta, intrusa, se non estinta nel nostro lessico quotidiano. Eppure mai come in questo caso necessaria perché laddove tornano in gioco la vita e la morte, la vecchiaia e la malattia, la solitudine e la solidarietà, torna l’urgenza di una preparazione spirituale agli eventi e alla nostra vita. E invece, il massimo ambito interiore lambito in questi giorni è materia di psicologi, psicanalisti e psichiatri. Viene medicalizzata pure la coscienza, ospedalizzata anche l’anima.
È forse la prima volta che davanti al contagio appare del tutto assente la Chiesa e irrilevante la religione; in ogni evenienza tragica del passato la religione cristiana è sempre stata il rifugio, il conforto, l’invocazione e perfino l’esorcismo per fronteggiare il male o disporsi al rischio mortale. Questa volta è come se si fosse ritirata dal mondo per non contribuire a spargere il virus, come se avesse chiuso i battenti per ragioni di profilassi medica e precauzione sanitaria. L’unico messaggio che giunge dalla Chiesa è infatti non celebrare messa, allinearsi alle disposizioni governative, chiudere le chiese per responsabilità civile e umanitaria; la sua unica funzione comunitaria è quella di non accrescere i rischi di contaminazione. E dunque arretrare, auto-sospendersi, tacere, inviare solo sommessi messaggi televisivi. Intendiamoci, nessuno pensa che i sacerdoti debbano sostituire i medici e affidarsi alle preghiere sia meglio che affidarsi alle strutture sanitarie. Ma non c’è mai stata un’assenza così totale del riferimento religioso davanti all’emergenza del contagio. La Chiesa aveva sempre svolto un ruolo primario in questi frangenti; e proprio la Chiesa come “ospedale da campo” e “soccorso umanitario” è totalmente chiusa in se stessa e inerte.
Ma la dieta spirituale a cui facevo riferimento non è solo di natura religiosa e confessionale; certo, non può eludere il ruolo della fede, della preghiera e della liturgia ma spirituale allude a una visione della vita, a un rapporto tra i fatti e la nostra interiorità, la relazione tra anima e corpo, il senso della vita e della morte. Come si può rispondere sul piano spirituale a questa situazione? Provo a soffermarmi in particolare su tre ambiti, tre livelli spirituali di risposta.
Il primo è non lasciarsi assorbire dal contagio, non vivere dentro il suo incubo, non ridursi al rango di degenti, sottrarsi al talk-show permanente e ossessivo intorno al virus. È il messaggio accorato, e assai frainteso, che cercai di dare la scorsa settimana: non uno stupido fregarsene delle precauzioni e della profilassi sottovalutando il pericolo ma rispettiamo quelle norme e quei divieti, però poi non viviamo dentro questo Virality show, non facciamolo diventare il pensiero dominante, come ci inducono a fare i media. Pensare ad altro, vivere d’altro. Parliamo d’altro per favore, e non sembri assurdo che lo sostenga in un articolo dedicato proprio a quel tema; personalmente sto provando a leggere, pensare, scrivere altro che non sia sempre e solo il discorso sul virus. È la prima forma di reazione spirituale: non finire dentro l’ossessione del virus, non fare il suo gioco, alzare lo sguardo, dedicare la propria mente e la propria attenzione ad altri ambiti, compatibili con la situazione e i limiti sanitari imposti.
La seconda risposta spirituale è riattivare quelle energie e quei mondi che abbiamo atrofizzato nell’indaffarato scorrere dei giorni. Se non vuoi vivere agli arresti domiciliari del presente hai la possibilità di aprirti ad altri mondi che sono il passato, il futuro, l’eterno, il favoloso. Riprendere a fare i conti con la memoria, la storia e i suoi eventi, le aspettative e i progetti, il senso delle cose che durano. Lo descrivevo nel mio libro Dispera bene ma non pensavo che quell’esortazione e consolazione dovesse diventare d’un tratto così urgente e necessaria. Mi riferivo alle macchine del tempo che ci permettono di evadere dalla prigione del presente e tra queste, oltre le arti, i miti, i pensieri, la musica e i ricordi, mi riferivo alla preghiera, al di là della pratica confessionale, come un esercizio di attenzione, concentrazione e collegamento con energie spirituali superiori; restituisce un disegno compiuto alla vita. Riprendiamo il filo d’oro dell’amore come nostalgia e lontananza, pathos della distanza. Riempiamo gli spazi vuoti a cui ci costringe l’inerzia forzata di questi giorni, per non finire preda della psicosi o della paranoia per la segregazione prolungata.
Il terzo livello più delicato riguarda il nostro rapporto con la vita e con la morte. Lo eludiamo da tempo, non guardiamo più in faccia la morte; e invece occasioni come questa ci ricordano che il nostro problema non è la solita fragilità psicologica, come si ripete ogni giorno, ma è accettare il nostro limite e la nostra finitudine, prevedere l’appuntamento senza scampo. Dobbiamo rielaborare il rapporto con la morte, riuscire a concepire la nostra scomparsa, sforzarsi di pensare che il mondo non cominciò con noi e non finirà con noi, l’essere sopravanza l’esistere. Acquistare dalla disperazione una fiducia ulteriore che è amor fati e abbandono fiducioso alla sorte, dopo aver fatto tutto quel che potevamo per disporla verso il meglio.
Non sono rimedi, tantomeno soluzioni, ma piccole ed enormi svolte per guardare la realtà con altri occhi. E chi le indica non ha raggiunto la saggezza, tantomeno la sapienza, ma è ancora immerso con voi nelle contraddizioni, paure e insofferenze per quanto accade. Però è necessario rianimare la propria vita spirituale per rispondere alla situazione, senza esserne succubi o spenti dalla noia e dal terrore. Cominciate provando a pronunciare la parola spirituale …
MV, La Verità 10 marzo 2020
àARRESONAMENTOS PO CHI CUMANDAT. Considerazione ad uso delle autorità.
Ma verrà un «dopovirus», di Walter Veltronl
ARRIVERAILDOPOVIRUS SOLO INSIEME RICOSTRUIREMO, di Walter Veltroni
Così come il dopoguerra è stato uno spartiacque, per un continente che si era odiato e ucciso.
L’emergenza. Il dopoguerra è stato uno spartiacque, per un continente che si era, al suo interno, odiato e ucciso per decenni. Ma la guerra, in primo luogo, bisogna finisca .
Sistemi sanitari. Ora è l’Italia al centro di tutto, però domani capiremo perché inglesi e americani fanno finta di niente.
Governo mondiale. Ci sarà un nuovo mondo, nulla sarà come prima. E l’Europa farà bene a capire che il tempo del freno a mano è finito.
Forse non abbiamo ancora capito cosa ci sta succedendo. Eppure basterebbe affacciarsi alle finestre delle case dove siamo autoreclusi per sopravvivere – già un ossimoro – e guardare le strade vuote, le saracinesche dei negozi abbassate; basterebbe ascoltare il silenzio che ci fa rimpiangere il suono dei clacson per rendersi conto che la nostra vita non sarà più la stessa. Non potremo più dire che siamo la generazione che non ha conosciuto la guerra. Siamo in guerra. In guerra con un nemico misterioso, invisibile, che non è al fronte e non ci bombarda dall’alto ma entra, silenzioso come un serpente, nelle nostre vite attraverso il contagio di un altro, innocente come noi. Ma questo virus – qualcuno un giorno ci dirà con certezza da dove è sbucato? – cambia la storia. È esistito nel novecento, per fortuna, un dopoguerra che è stato una specie di anno zero, di spartiacque, per questo continente che si era, al suo interno, odiato e ucciso per decenni. go, bisogna finisca. Per questo dobbiamo prendere tutte le decisioni, anche le più drastiche e difficili, perché questo accada. E al ceto politico bisognerebbe chiedere, in queste ore drammatiche, un sovrappiù di responsabilità e misura. Governo e opposizione, in questo dramma, devono ascoltarsi e collaborare. I cittadini, i medici esausti, gli anziani atterriti non capirebbero nulla di diverso.
Poi esisterà un dopovirus. Una ricostruzione che non sarà diversa da quella che i nostri padri, con il sole negli occhi, avviarono quando l’Italia era macerie, solo macerie. Fisiche e morali. Bisognerà, quando potremo, tornare ad abbracciarci e stringerci la mano, a viaggiare e incontrarci, che il mondo riparta. Il mondo. Perché ora è l’Italia al centro di tutto, ma domani lo saranno gli altri. E capiremo perché inglesi e americani fanno finta di niente, diversamente da noi che ci danniamo l’anima per frenare il contagio. Perché il loro sistema sanitario è discriminatorio ed esclude una parte rilevante della popolazione, la più fragile, dall’uso delle strutture mediche. Se il virus si diffonderà, speriamo di no, quel modello, che è sociale prima che sanitario, sarà messo a dura prova. Per problema non esista.
Questa crisi chiama in causa il mondo intero. Da noi colpirà, sta colpendo, la salute dei cittadini, la vita delle imprese, il lavoro dei singoli, il destino di imprenditori, operai, lavoratori part time, proprio perché esiste, nelle società moderne, una «comunità di destino», che ci lega, indissolubilmente, l’uno all’altro. Aver spezzato, anche emotivamente, questo legame diffondendo la paura dell’altro ci rende più fragili, oggi. Dopo che l’odio ci ha reso nemici oggi dobbiamo unirci per fronteggiare un nemico comune, al quale nessuno è in grado di sfuggire da solo.
Il dopovirus sarà come il dopoguerra. Troveremo macerie. E allora che senso ha continuare a parlare dei vincoli, delle compatibilità, dei deficit da sforare? Tutto dovrà rinascere diverso da prima. Anche le regole finanziarie internazionali. Per definire compatibilità nuove. Non l’anarchia ma nuove regole, presto.
Il governo italiano ha assunto un impegno solenne. Sono parole alle quali devono corrispondere i fatti, pena la fine della democrazia. Ha detto «nessuno perderà il lavoro per colpa del coronavirus». E ha fatto bene. Ma quest’ obiettivo non si raggiunge con dei pannicelli caldi. Questo mese negozianti non potranno pagare l’affitto dei locali, lavoratori perderanno il posto e non avranno i soldi per la pigione della casa. Ora, subito. Non dopo la fine del contagio. E se non si garantirà – Alesina e Giavazzi hanno dato indicazioni coerenti sul come – la possibilità per tutti di vivere come prima, sarà la democrazia a diventare fragile. Sarà l’ultima contagiata dal virus. E questo problema non è italiano. Sarà di tutto il mondo. Ci vorrà un governo mondiale che faccia ripartire l’economia, che immetta denaro pubblico per dare ossigeno all’impresa e al lavoro, che aiuti le famiglie con forme nuove di fiscalità, di sostegno alla salute e alla formazione diffusa. Un nuovo mondo, perché nulla sarà come prima. E l’Europa farà bene, presto, ad accorgersi che il tempo del freno a mano è finito.
Anche noi, ciascuno di noi, uscirà diverso da questo inimmaginabile incubo. Sulla rete in cui ormai dilagava quotidianamente l’odio – «la password del nostro tempo» secondo la felice definizione di Stefano Massini – si sta facendo strada un nuovo sentimento. Forse figlio solo del momento che stiamo vivendo. Ma non è un momento che si dimenticherà. Mai.
In rete ora ci sono insegnanti che non interrompono il loro lavoro con gli studenti, attori affermati che la sera leggono poesie, cantanti famosi che fanno concerti improvvisati, maestri di yoga o di piano che forniscono lezioni via smartphone. Tutti capiscono che oggi bisogna dare qualcosa di sè agli altri. Che questo è, in fondo, l’unico modo per sopravvivere. E non solo al virus. Da Il corriere della sera, 12.03.2020
A SA FINI, corollario
In sardo chiamiamo ‘furriàda’ quella che nel gergo stradale italiano indichiamo come ‘curva’. Cambiàda è termine poco utilizzato, sia perché un’inversione totale è inimmaginabile in una strada normale e forse anche perché i Sardi il cambiamento totale delle proprie disgrazie l’hanno sempre invocato ma ancora non raggiunto. Non c’è stata ‘cambiàda’ perché non abbiamo ancora avuto l’apocalisse nel suo vero senso e significato, che non è solo e tanto quello normalmente utilizzato di ‘distruzione totale’ del soggetto-oggetto a cui si accompagna (mondo, culture, fenomeni sociali e culturali …). Apocalisse è il cambiamento che si accompagna ad una ‘rivelazione’, è il mondo nuovo che sostituisce quello vecchio, come tale è la costruzione che succede e non si fa annullare dall’angoscia della distruzione, cerca anche di guardare oltre il tunnel, sa che alla fine la luce prende il posto delle tenebre, il nuovo avanza rispetto al passato.
Tutti potremmo avere nuove ore per leggere. Ai ragazzi che sono a casa i loro professori hanno la straordinaria occasione di suggerire in streaming delle letture che dimostrano nel concreto l’utilità dello studio della letteratura. Dopo la ‘peste’ descritta dal Boccaccio il Rinascimento ha accresciuto la sua vena neo-pagana perché “del domani non c’è certezza”. La pesta di metà seicento è stata caratterizzante dell’ultima fase della civiltà spagnola controriformista così come ce la descrive il Manzoni e che tanto avvicina quella Milano a questa dei nostri tg quotidiani (l’accaparramento nei supermercati all’assalto ai forni; il lazzaretto di padre Cristoforo e di don Rodrigo con la città della modernissima immensa sala dove arriveranno i seicento letti quale ultimo baluardo di incubazione prima della alternativa finale, vivere o morire; e gli accaparramenti con i passaggi di ricchezza; e le perversioni e le conversioni, le vigliaccherie e gli eroismi, le separazioni ed i ritorni …”. Chi rifletta sulle reazioni, può spassarsela in villa con ‘le fanciulle ed i giovani fiorentini delle novelle del grande Francesco, o approfittarne per discutere sull’esistenza ed il senso del male propostoci nella drammatica discussione ad Orano tra il medico ed il sacerdote occupati in quella disperazione, che Albert Camus ci propone ne ‘La peste’. I film si sprecano sul tema, ma … suppone l’imbocco di una strada, l’accettazione della razionalità, la curiosità che vince la paura dell’ignoto, il coraggio di andare fino in fondo, l’onestà della verità. Anzi, la scelta che esista una verità.
A ben vedere questo mio ragionare è troppo anticipatorio: il coronavirus non lascia segni visibili come i bubboni della peste nera, il sistema sanitario non c’entra niente con i monatti, i decreti del presidente Conte hanno ben altro seguito che le famose ‘grida’ del vicerè spagnolo della Milano di allora. E poi … ancora non si vede la necessità di un altro palazzo/lazzaretto a Roma, a Napoli, a Palermo e, crediamo di scamparcela?, Cagliari. In Italia quel sant’uomo di papa Francesco invita i suoi preti a ‘visitare i malati’ portando loro la santa comunione …. come se non parlasse alla categoria italiana mediamente più anziana e quindi più a rischio, che non può muoversi con gli scafandri, che potrebbe intralciare il lavoro dei lavoratori della sanità, che avrebbe problemi ad entrare anche nelle case di più fedeli.. Sarebbe curioso sapere come e quanti preti abbiano risposto concretamente, con quale concreta possibilità di agire, con quali marchingegni la loro generosità (o vigliaccheria) sia riuscita a divenire operativa.
Abbiamo ospitato due articoli che ci sono capitati stamane, ci hanno colpito entrambi, indipendentemente che arrivino da parti politiche opposte.
Continuiamo ad osservare e a meravigliarci.