Piccole riflessioni su: “Considerazioni sulla riforma della burocrazia regionale alla luce di una nuova visione del futuro della Sardegna di Enrico Lobina, di FILIPPO SPANU

Filippo Spanu (nella FOTO)  è stato assessore degli Affari generali, Personale e Riforma della Regione sarda nella Giunta Pigliaru. Attenzione: liccando qui a fianco il lettore può accedere al saggio di cui si parla nell’articolo.

A distanza di un anno dalla sua  stesura, e dalla fine della XV Legislatura regionale, vale la pena tornare sull’opera di Enrico Lobina che  analizza con occhio storico l’organizzazione della Regione e offre interessanti spunti per una stagione riformista.

Quanto questi spunti possano essere raccolti nell’attuale legislatura regionale non è dato sapere anche se i primi 12 mesi hanno riservato calma piatta ed una sola norma sul Corpo Forestale, della quale appare dubbia  sia la consistenza che la coerenza con il quadro generale fino ad oggi costituito.

Premetto che queste riflessioni sono prodotte da chi è stato parte in causa sia come esponente, a lungo,  del partenariato economico sociale regionale, che come componente la compagine governativa e responsabile diretto della “macchina” per un limitato periodo. I lettori sapranno filtrare quanto scriveró che parte, evidentemente, da queste esperienze.

E proprio sul tema del punto di vista Lobina compie un’operazione storica e politica intrigante e, a mio modo di vedere, giusta.

Anziché puntare su una analisi apparentemente asettica e tecnocratica  l’ autore dichiara fin dal principio il proprio punto di vista, la propria visione di Sardegna come chiave di lettura e cartina di tornasole sia dell’ analisi storica che del quadro di proposte riportate in maniera sintetica, a volte didascalica, per una ipotesi di futura riforma.

Aleggiano nel testo sempre due domande.

La Sardegna si è dotata di una organizzazione adeguata al compito minimo riservatole dallo Statuto? E cioè essere realmente e pienamente una Regione ad Autonomia rafforzata , o, per meglio dire, Speciale?

E la Sardegna, come deve organizzarsi in un’ottica di Autonomia ancora piú spinta? auspicando l’autore un sistema isolano di fatto confederato allo Stato Italiano e maggiormente protagonista in Europa e nel Mediterraneo.

Il filtro posto da queste due domande è continuo  e consente di leggere con sufficiente facilitá lo scorrere del testo dando un senso ad avvenimenti  che sarebbero altrimenti fini a se stessi.  Prima di tutto la lettura di come si è organizzata la Regione, tradendo fin dall’inizio la sua vocazione alla specialitá. Una organizzazione che, ricorda Lobina, ha adottato fin da subito lo schema ministeriale non avendone peraltro la storia, la forza amministrativa, e forse anche la cultura. Questa prima scelta ne ha implicato una seconda fatta, di  prime dotazioni organizzative mutuate, quasi strappate, al sistema pubblico statale, a volte a quello provinciale e comunale, con successivi meccanismi di selezione (anche per le numerose nuove leve) basati essenzialmente sulla cooptazione politica e professionale.

L’autore ci racconta di come questo metodo abbia generato alterni risultati a seconda dei protagonisti (si pensi alle positive esperienza di riforma  negli enti di sviluppo agricolo o al sostanziale commissariamento dello Stato in molte fasi dell’attuazione del Piano di Rinascita ). Sicuramente fino alla fine degli anni settanta non si è sviluppata nella Societá Sarda e nell’ Amministrazione Regionale una sufficiente consapevolezza culturale e forza organizzativa capace di  affrancare  il nostro sistema da una sudditanza latente nei confronti degli schemi organizzativi statali.

Con il rilancio del pensiero autonomistico tra il 1976 e gli anni ottanta (Soddu, Melis) Lobina individua un rinnovato dibattito ed anche alcune scelte organizzative (prima fra tutte quella del reclutamento per concorso) che sembrano orientare  verso un salto di qualitá del sistema Regionale. Ma mai abbastanza, se si pensa che, come piú volte sottolineato, la Legge di organizzazione 1/1977 (che ancora oggi è il pilastro del sistema insieme alla Legge 31 del 1998)  ripercorre i sentieri giá noti dell’ organizzazione ministeriale collegandoli ad una divisione politica delle competenze “ feudale “.

L’ autore ricorda come è  da quegli anni che comunque la Regione si struttura meglio  rafforzando l’intelaiatura, a volte la stessa consapevolezza amministrativa.

Ma la struttura regionale, affrancata fisicamente dallo Stato, continua a ripercorrerne purtroppo, a volte in peggio, l’ottuso modello basato sulle procedure piú che sulle persone, sulla gestione piú che sulla programmazione, sull’ accentramento piú che sulla delega, sul centralismo piú che sulla sussidiarietá, sia verticale che orizzontale, e su un rapporto tra amministrazione e politica mai adeguatamente e definitivamente basato sulla separazione tra progetto politico, attuazione e valutazione.

Da allora in poi, ricorda Lobina con puntuale dettaglio, tutti i candidati alla guida dell’Isola si porranno l’ obiettivo di superare queste criticitá,  con alterne fortune.

Sono state prodotte articolate, a volte parziali, riforme. Ma con risultati fino ad ora insoddisfacenti o incompleti.

Non manca l’autore di ricordare quanta responsabilitá  in questa mancata crescita e consapevolezza culturale abbiano avuto sia la dirigenza regionale che i sindacati.

Ora, per cambiare sul serio, e per aspirare ad una autonomia piú forte, efficace e decidente,  ci troviamo in una situazione difficile, soprattutto perché i protagonisti nel Sistema Regionale sono sempre gli stessi (il testo ricorda che l’etá media dell’ Amministrazione è di 54 anni, quella del Corpo forestale 57, quella di Forestas 58) e l’energia innovativa per sciogliere i nodi  puó venire prima di tutto da una rinnovamento (anche anagrafico) delle classi dirigenti mai perseguito con decisione.

Ma Lobina lancia la sfida a tutti noi perché cambiare si puó, ancora oggi.

Da un  lato è condivisibile anzi irrinunciabile riprendere in mano una riforma generale che parta dallo Statuto. Dobbiamo ingaggiare con lo Stato Italiano un confronto serrato per modificare la nostra Carta de Logu “ perché le ragioni dell’autonomia sono cambiate . Va ricontrattato il patto.  Lobina denuncia i numerosi passaggi che hanno sempre piú limitato invece gli spazi di sovranitá dell’ isola, in particolare quelli di carattere finanziario. Per esperienza personale questo è avvenuto anche per una nostra debolezza istituzionale, culturale e di popolo. Manca un disegno preciso e soprattutto condiviso che vada oltre gli slogan.

Questo disegno non puó che iscriversi in un perimetro chiaramente confederale. E va perseguito con luciditá mettendo al centro il nostro patto  con la nazione Italiana (intesa nel suo senso piú ampio) . Non si pone allora il problema di essere scavalcati dalle regioni a statuto ordinario. Semmai quello di una azione efficace all’interno della Conferenza delle Regioni per raccogliere alleanze su un sistema che definisca l’unitá nazionale secondo un concetto federale che sa accogliere e valorizzare appieno le differenze. Una unitá pattizia tra pari e sempre meno verticistica.

Un cattivo uso dell’ autonomia e una narrazione sempre piú centralista stanno invece riportando ad un sistema centralistico disordinato e poco sentito.

Il punto  è invece il riconoscimento di una Sovranitá diffusa, con regole chiare nel patto che ci lega, dove si stabiliscono in maniera netta la responsabilitá di ognuno.

L’emergenza sanitaria di questi giorni ci insegna tanto da questo punto di vista.

L’ illusione di un centralismo prepotente e sleale come panacea dei nostri mali ci porta invece  verso l’autodistruzione.

Con questi presupposti  la Sardegna dovrá fare le sue scelte sciogliendo finalmente i nodi di un sistema politico-amministrativo ancora oggi feudale.  Bisogna cambiare la Legge,  cosí come auspica Lobina.

Ed è assolutamente condivisibile da questo punto di vista partire  dalla creazione, anche a livello regionale, di una sistema pubblico degli enti locali in Sardegna definitivamente armonizzato a quello regionale con un inquadramento contrattuale omogeneo tramite un accordo generale sulla contrattazione ed un’organizzazione ridefinita nei compiti e nelle dotazioni.

Questo era il senso di una proposta che, giusto un anno fa, fu fatta dalla Giunta,  per risolvere il nodo contrattuale di Forestas. La proposta fu rifiutata. Forse non era matura. Oggi siamo ancora  in mezzo al guado.

Altrettanta forza puó e deve avere la scelta decisa verso un sistema amministrativo piú flessibile nella sua organizzazione, basato sugli obiettivi, le persone, l’orizzontalitá , la valutazione ed il merito. Un sistema che sappia usare nuove forme di lavoro agile e flessibile alle quali peró, non è corretto attribuire poteri taumaturgici sul ripopolamento delle zone interne.  Le questioni demografiche possono essere favorite da interventi contrattuali, ma hanno soprattutto necessitá di una strategia politica-economico-sociale e finanziaria decisa e condivisa.

Su tutti questi punti la societá civile organizzata, i sindacati per primi in quanto titolari della contrattazione,  devono fare una scelta di campo per l’ innovazione sfidando la politica ad essere all’ altezza. E tra i sindacati particolare responsabilitá hanno i confederali, che non esprimono solo i bisogni dei dipendenti regionali o di quelli pubblici ma rappresentano (con le Associazioni d’Impresa) un interesse piú ampio proveniente da tutti i  cittadini, lavoratori e pensionati.

L’esperienza di Governo della scorsa Legislatura ha, a mio parere, aperto alcune strade ma troppo timidamente. E’ ora di abbandonare le timidezze.

Solo attraverso questi passaggi si potrá aspirare ad un modello che ci porti ad essere una Comunitá, libera, aperta e organizzata, protagonista in Europa e nel Mediterraneo e confederata ad una nazione non piú matrigna.

E’ una strada difficile; Lobina sembra crederci.

Ci crediamo anche noi.

 

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