Narciso non è il diavolo Cerca il rispetto di sé, di Beatrice Magni

Senza dubbio il culto dell’io, sostiene il filosofo Simon Blackburn, oggi dà spesso luogo a forme di insensibilità, ma risponde anche a un’esigenza rilevante di riconoscimento che non si può eludere. Se pensiamo «perché io valgo», dobbiamo pensare anche: «Perché ogni individuo vale».

«Essere ingannati, dicono, è triste. Non essere ingannati è la cosa più triste di tutte. Nulla infatti potrebbe essere più lontano dalla verità dell’idea che la felicità umana risieda nelle cose come effettivamente sono. Essa dipende dalle opinioni». Il filosofo inglese Simon Blackburn usa la citazione di Erasmo da Rotterdam in apertura del suo saggio Specchio delle mie brame (Carbonio). Da Narciso a Re Mida, passando per celebri campagne pubblicitarie (una su tutte quella di L’Oréal, con lo slogan: «Perché io valgo!»), per arrivare a banchieri, manager di hedge fund, e politici più o meno recenti: Ronald Reagan, Margaret Thatcher, George W. Bush, Tony Blair. Tutti colpevoli del peccato più deplorevole della Me Generation: il narcisismo. Ma laddove il narciso, spesso, si rivela nella sua mediocrità, il narcisismo — sostiene l’autore — è un fenomeno complesso, molto istruttivo per comprendere la condizione del mondo in cui viviamo. Quindi in qualche modo da riabilitare.

I temi che Blackburn invita a considerare nel suo libro ci conducono infatti sulla pista di un attento e severo esame del fenomeno, che coinvolge i nostri problemi morali più «caldi», quali l’orgoglio, il rispetto di sé, la stima, e le loro ombre più cupe: vanità, invidia, insensibilità. «La Lettura» lo ha intervistato, e il risultato finale è stata una inattesa forma di indulgenza nei confronti del primo peccato capitale.

Il suo libro si apre con un riferimento a una nota industria cosmetica, che ha ispirato le sue riflessioni sul narcisismo grazie a una delle sue più riuscite campagne pubblicitarie, dominata dallo slogan «L’Oréal, perché io valgo!». Come mai ha scelto questo slogan come punto di partenza?

«Mi ha molto colpito quella pubblicità. La vanità della modella ci seduce, e nel medesimo tempo ci danneggia, per il disprezzo e il solipsismo del suo atteggiamento, e anche per il suo modo corrosivo di adulare, che crea invidia. Un esempio perfetto di narcisismo, a nostre spese, mi sono detto. Tuttavia, ho pensato, questo atteggiamento narcisista può anche essere volto in positivo: se pensiamo “perché io valgo”, dobbiamo anche pensare “perché ogni individuo vale”. Così mi è venuta l’idea di approfondire le mie riflessioni sul tema. Specchio delle mie brame è il risultato».

Che ne pensa della nuova campagna pubblicitaria di una nota marca sportiva (Nike), nota come «campagna curvy», per una linea incentrata su una clientela differente, e inusuale, dalle forme morbide? Anche un target così diverso rischia a suo avviso di cadere nella trappola narcisistica?

«In questo caso penso che siamo in presenza di una dinamica differente, laddove giocare sul desiderio di essere oggetto di invidia era precisamente il metodo di L’Oréal, che in questo rese esplicito il tarlo che si insidia al cuore della nostra cultura del consumo».

Nei primi capitoli il libro affronta la tensione tra un’etica dell’artificio e un’etica dell’autenticità. Tratta in modo avvincente temi come l’autostima, l’orgoglio e l’integrità. Anche le relazioni politiche possono essere interpretate come rapporti di dipendenza: nel loro ambito talvolta l’inganno e l’auto-inganno sono inevitabili. Al contrario, nel momento in cui l’integrità viene vista come una forma di purezza, si crea il rischio del fanatismo. Secondo lei, il narcisismo si può conciliare con l’integrità?

«In generale, non penso che sia un errore considerare l’integrità come una virtù: l’errore si manifesta nel momento in cui una fanatica devozione mi fa credere che io solo la possegga. Quanto invece al rapporto tra ipocrisia e politica, una preoccupazione significativa riguarda il fatto che la politica in senso stretto non sembra più essere necessaria per le nostre vite. Persone del calibro di Donald Trump e Boris Johnson non temono le conseguenze della loro ipocrisia, e quel che è peggio è che nessuno sembra preoccuparsene. Stiamo assistendo a un declino dell’affidabilità in politica».

Nel film «Le relazioni pericolose», tratto dal romanzo di Pierre Choderlos de Laclos, la marchesa de Merteuil ci porta nell’universo dell’artificio puro: i costumi dell’aristocrazia francese a fine Settecento. Nella scena finale, tuttavia, l’artificio si dissolve, il trucco scema, e qualcosa di più potente, l’autenticità della persona, prende il sopravvento. Lei crede che la stessa cosa accadrà alla nostra «Me Generation»?

«Francamente, penso di sì. In fondo, come dico nel libro, è la mancanza di ammirazione da parte degli altri a ferirci di più. Il semplice bisogno di rispetto di sé che accompagna la nostra condotta, e a volte si spinge fino al narcisismo, risponde a un’esigenza di grande rilievo quando entriamo nell’universo sociale. È importante tuttavia per il rispetto di noi stessi essere in qualche misura parte della felicità altrui, non solo come causa di essa, ma nel senso molto più importante che quello che facciamo, o la nostra presenza, sia la fonte del piacere. In questo senso lo stesso narcisismo può avere una funzione positiva».

L’invidia invece è sempre da biasimare?

«Penso che sia sempre un gran peccato quando le persone provano invidia, e sarebbe certo meglio se non succedesse. Ma penso si tratti più di una debolezza che di un vizio: non abbiamo bisogno di immaginarci nei panni di un eroico John Wayne interiore per sfuggire all’ipocrisia di un Bush interiore. Se siamo abbastanza fortunati, l’educazione, il processo di crescita e le esperienze, che ci hanno reso quello che siamo, ci hanno fornito difese sufficienti. Abbiamo effettivamente dei veri io e si spera che molti di loro ci dicano di agire giustamente, in un’ampia gamma di rapporti quotidiani. Ma questi io non sono interiori, né coperti e nascosti dalle circostanze contingenti che di fatto li hanno creati. Sono i nostri io empirici, con le loro empiriche costanti, a volte le loro empiriche contraddizioni, e spesso le loro empiriche complessità».

Come difendersi dalla sindrome narcisistica?

«Possiamo naturalmente stare attenti, ma la cosa più importante è affidarsi a un progetto costituzionale in grado di assicurarci che nemmeno chi si trova al vertice possa cavarsela senza essere esaminato e senza sottostare al giudizio altrui. Narciso non poteva smettere di guardarsi, ma il leader narciso deve essere costretto a guardarsi di più, a patto che possa farlo senza innamorarsi di nuovo. Non è, questo, un esercizio di scoperta, ma, direbbe Immanuel Kant, un esercizio di libertà».

LA LETTURA, 13 OTTOBRE 2019

 

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