Il filosofo del dialogo, di Marina Calloni
L’arte di gettare ponti. Crisi delle democrazie, ruolo della fede nelle società secolarizzate, futuro dell’Unione Europea: sono le principali riflessioni a cui Jürgen Habermas (nella FOTO) ha dedicato l’ultimo decennio.
Crisi delle democrazie, ruolo della fede nelle società secolarizzate, futuro dell’Unione Europea: sono le principali riflessioni a cui Jürgen Habermas ha dedicato l’ultimo decennio. Filosofia, politica e critica della società si intrecciano nella sua vita intellettuale fin dai primi esordi giovanili, attraversando i dilemmi del XX secolo, fino agli scenari globali del nuovo millennio. A 90 anni, Habermas (nato il 18 giugno 1929 a Düsseldorf) può essere considerato l’ultimo dei pensatori sistematici del Novecento, dove il principio post-metafisico dell’agire comunicativo diventa una filosofia della comunicazione discorsiva, quale «comprensione del mondo e del Sé, una volta abbandonata la competizione con la metafisica, la religione e le scienze esatte».
Habermas viene solitamente considerato come un rappresentante della seconda generazione della Scuola di Francoforte, fondata e impersonata da Max Horkheimer e Theodor Adorno. Tuttavia, nel corso del tempo, Habermas si è molto differenziato dall’impianto della dialettica negativa sostenuta dai «padri fondatori», che ritenevano che la ragione fosse strumentale fin dagli albori dell’umanità. Habermas è venuto piuttosto a sostenere una concezione procedurale e normativa della ragione comunicativa, che si esprime attraverso più voci e mira a conseguire l’intesa attraverso il linguaggio, incarnato nella vita di tutti i giorni.
A dire il vero, Habermas non pensava di diventare un filosofo. Il suo primo intervento pubblico di rilievo fu un articolo del 1953 sulla «Frankfurter Allgemeine
Zeitung», molto polemico verso Martin Heidegger. La sua attività come giornalista free-lance si interruppe però nel 1954, quando Adorno lo invitò all’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte a far parte di un progetto su «Studenti e politica», che si concluse nel 1959.
I rapporti con il direttore dell’Istituto, Horkheimer, erano intanto divenuti tesi per via di divergenze teorico-politiche, al punto che a Habermas fu impedito di sostenere la propria abilitazione a Francoforte, nonostante l’avesse completata. Fu così che chiese ospitalità a Wolfgang Abendroth (giurista e politologo socialista, esule dalla Germania Est), che gli permise di discutere nel 1961 quel lavoro che ben presto porterà molta notorietà a Habermas: Storia e critica dell’opinione pubblica. La trasformazione della sfera pubblica illuministica rimarrà uno degli assi portanti per la successiva teoria della democrazia deliberativa.
Habermas fu poi accolto a Heidelberg come professore di filosofia (1961-1964) da Hans-Georg Gadamer, il padre dell’ermeneutica contemporanea, che ebbe un’indubbia influenza sulla sua successiva elaborazione dell’interpretazione linguistica. Ma ancora una volta il dibattito politico fece capolino nella vita di Habermas con l’inizio delle rivolte studentesche. E non si sottrasse neppure alle pesanti critiche gli furono mosse per aver usato l’espressione di «fascismo di sinistra» contro alcune posizioni del movimento. Habermas stava allora mettendo a punto un suo originale sistema, dove tradizione filosofica e confronto con altri modelli di pensiero si intrecciavano con la riflessione sulla logica delle scienze sociali, contro l’approccio positivista.
Nel 1968 Habermas aveva scritto un saggio su Lavoro e interazione, dove mise in luce la nozione di riconoscimento come elemento intersoggettivo che precede la relazione materiale fra soggetto e o g g e t to . L a c r i t i ca a l l ’ i mpostazi o ne marxiana della priorità del lavoro sull’interazione sarà il perno attorno a cui ruoterà la teoria dell’agire comunicativo.
Nel 1971, Habermas fu nominato direttore del Max-Planck-Institut di Starnberg per un’indagine sulle condizioni di vita nel mondo tecnico-scientifico. Si trattava di un’ulteriore sfida: lavorare con un gruppo di giovani ricercatori per lo sviluppo di un’inedita teoria sociale e per innovative ricerche empiriche. Da questa esperienza nacque l’imponente Teoria dell’agire comunicativo, dove attraverso i concetti ideal-tipici di sistema e mondo della vita l’autore tematizza i fondamenti di una teoria critica della società. L’opera fu seguita da innumerevoli critiche, soprattutto da parte di teorici «realisti» che bollavano Habermas come un «idealista» per il fatto di impiegare concetti controfattuali come l’agire rivolto all’intesa, quando in realtà il mondo è diretto da scopi strategici. Ma è proprio per questo, ribatté l’autore, che concetti normativi e intersoggettivi sono fondamentali contro ogni abuso e violazione.
Nel 1983, Habermas fece ritorno a Francoforte con una cattedra di filosofia, che terrà fino al pensionamento nel 1994. Difficile riassumere il decennio francofortese, tanto fu denso sia di pubblicazioni filosofiche (dal discorso sulla modernità, all’etica del discorso, fino al primo libro sul pensiero post-metafisico) che di scritti politici (dall’inclusione dell’altro, alla costellazione post-nazionale, alle rivoluzioni post-socialiste fino al multiculturalismo). La curiosità intellettuale di Habermas lo portava a gettare ponti, a trovare luoghi di confronto e di scontro con altri modelli di pensiero. Prima di lui nessun filosofo dell’accademia tedesca, post-hegeliana o marxista che fosse, aveva mai tentato un serio raffronto con teorie d’oltreoceano, nel tentativo di spezzare la netta separazione che distingueva la tradizione continentale dalla filosofia analitica, come se fossero mondi cognitivamente inconciliabili. Invitando a Francoforte i più noti filosofi del tempo, come l’americano John Searle, Habermas mirava a comprendere le ragioni altrui sia per individuare i punti di disaccordo, sia per corroborare ulteriormente la teoria dell’agire comunicativo, correggendo o integrando aspetti specifici, come accadde per il riconoscimento della «dimenticanza» del femminismo come sfera pubblica deliberante e movimento essenziale per il ripensamento della giustizia sociale.
La scelta di ritirarsi a 65 anni dall’insegnamento attivo non ha impedito a Habermas di continuare a svolgere conferenze, a sviluppare il pensiero post-metafisico, a scrivere di politica. I due ambiti principali che hanno ispirato la sua opera negli ultimi anni sono stati la questione della religione e la riflessione sul futuro della democrazia e dell’Ue. L’interesse filosofico verso la religione scaturisce da una doppia ragione, storica e insieme filosofica: a causa della rivitalizzazione nel discorso pubblico della religione dopo il 1989 (come emerge anche dal dibattito del 2004 con l’allora cardinale Ratzinger) e per via della necessità di definire meglio la problematica del sacro nel quadro dell’agire comunicativo, dal momento che era stato fino ad allora semplicemente relegato nella «sfera espressiva». L’attenzione politica verso l’Europa riguarda piuttosto la critica al sistema funzionalistico messo in atto dalle burocrazie comunitarie e insieme la necessità di creare un’alleanza anti-nazionalista, tale che i cittadini possano trovare modalità deliberative in una comune sfera pubblica.
La vera ultima sfida teorica riguarda però il nuovo opus magnum di Habermas che vedrà la luce in settembre presso l’editore Suhrkamp. Si tratta di Anche
una storia della filosofia, una ricostruzione della genealogia del pensiero postmetafisico occidentale, allorché la filosofia si è andata secolarizzando, una volta distanziatasi dalla diade di fede e sapere, con l’autonomizzarsi delle sfere di valore del diritto, della morale e della politica, determinate dal mutamento sociale.
Su questi e altri temi, Habermas terrà una lezione pubblica il 19 giugno all’Università di Francoforte, che sarà senz’altro gremita da un folto pubblico. Quando lo conobbi nei primi anni Ottanta, mentre mi apprestavo a scrivere la mia tesi di laurea, ebbi subito l’impressione che Habermas non solo interrogasse con il pensiero le cose del mondo, bensì scrutasse con lo sguardo le persone per carpirne la verità. E questo è ancora il timone che guida i suoi 90 anni.
Esordì come giornalista nel 1953 con un articolo in cui attaccava Martin Heidegger per la sua reticenza sul nazismo. Durante la rivolta studentesca definì «fascismo di sinistra» alcuni atteggiamenti dei contestatori. Si è sempre confrontato con le correnti analitiche anglosassoni e ha aperto un’interlocuzione con Joseph Ratzinger.
La lettura, 16 giugno 2019