ARRESONAMENTOS , di Salvatore Cubeddu
L’EDITORIALE della FONDAZIONE, della DOMENICA
Sommario: I. Le vecchie e nuove forme di centralismo attuano in continuazione e senza scrupoli, l’abbandono della Sardegna. 2. E’ tempo di federalismo, di metterci all’opera. 3. Il mutamento che invochiamo ha al centro l’ INDIVIDUO e la SOCIETA’ sardi.
In mezzo ad altre carte ho ritrovato tre fogli dattiloscritti titolati ‘arresonamentos’, che non ricordo di avere reso pubblici. Parlano di FEDERALISMO nei termini in cui la proposta istituzionale di riforma dello Stato italiano potrebbe riproporsi e diventare urgente anche rispetto alla riforma delle istituzioni del Popolo sardo. Il testo risente evidentemente del tempo e delle condizioni in cui è stato pensato, seppure la questione non sia cambiata di molto. Perché non riprendere il tema in questo inizio d’anno?
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I Sardi, come individui e come popolo, hanno bisogno di prospettive, di obiettivi attraverso i quali pensare un migliore domani, di uomini con cui condividere una speranza attiva.
E’ una possibilità offerta alla nostra generazione. E’ un compito da adempiere. E’ un dovere.
In che modo è possibile, a quali condizioni, con quale spirito e modo dello stare insieme, mettersi in grado di rendere più chiaro e desiderabile quel futuro?
E, se individuassimo una proposta, possiamo decidere di dirigere in quella direzione l’ impegno dei singoli e di un insieme di Sardi liberi e decisi?
I. Le vecchie e nuove forme di centralismo attuano in continuazione e senza scrupoli, l’abbandono della Sardegna.
Il diritto all’ indipendenza (sovranità) quale asse della questione nazionale sarda è il faro che deve e può guidare questa fase di forti scelte. Di fronte al possibile e non lontano mutamento istituzionale non si dà per noi un tertium all’ alternativa cruciale: partecipare come soggetti, cioè come Nazione Sarda, alla trattativa con lo Stato italiano o essere oggetto di decisioni che, se assunte in un contesto solo generale (commissione bicamerale, assemblea costituente italiana, …. ), non potranno che vederci parte di un decentramento dello Stato in cui le forme di governo proteggono meglio gli interessi forti (economici, territoriali, di ceto, … .).
Di un federalismo che sostituisce solo nel. nome l’ autonomia e il regionalismo non sappiamo cosa farcene. Occorre, invece, riempirlo di contenuti e costruirlo con metodo.
I punti cruciali sono:
A. il soggetto contrattuale: la Nazione Sarda riunita in sede costituente. La commissione consiliare per lo Statuto potrebbe prolungare il proprio impegno in vista della preparazione delle votazioni (col sistema proporzionale) dei Padri Costituenti della Sardegna federata e, “ intanto, predisporre le carte” nel momento in cui al Consiglio regionale si affianca l’Assemblea costituente del popolo sardo eletta nei territori della Sardegna praticando il metodo federalistico.
Partecipano del Popolo Sardo tutti i residenti in Sardegna da almeno 5 anni.
Resta, comunque urgente un’ iniziativa popolare per stimolare e incalzare le istituzioni.
B. La Nazione Sarda si riconosce organizzata in. una pluralità di soggetti istituzionali, economici, culturali, politici, (ed etnici, in alcune minoranze: la catalana, la tabarchina .. .): la sussidiarietà.
C. La solidarietà del federalismo costituisce un valore di per sè valido. Se il nostro interlocutore (l’Italia nel suo insieme, o il suo centro-nord) intendesse continuare in una logica egoistica e sfruttatrice, sarebbe tale qualità dei rapporti a mettere in discussione la nostra disponibilità. Maa è bene, utile, giusto dialogare con chi è aperrto al nostro metodo ed interessato al positivo confronto sulla “questione sarda”.
2. E’ tempo di federalismo, di metterci all’opera.
Qui e ora: cioè “politicamente”. Chi, come, quando? Cioè: con quale progetto?
2.1. PRATICAREL’OBIETTIVO
I Sardi sono una Nazione. Devono comportarsi come tali. Di fronte all’Italia, al mondo, a se stessi.
A se stessi , innanzitutto: identificandosi, pensandosi un comune futuro, progettando le proprie istituzioni, affermandole di fronte al mondo.
Con l’Italia il rapporto rimane speciale. Tutto ciò che di buono c’è stato nel secolo e mezzo di diretti rapporti, va mantenuto ed esaltato. E quello che c’è stato di oppressivo, di strumentale, di inaccettabile per noi, va decisamente reciso. Per molti motivi non siamo italiani. Ed è meglio cosi’. Col mondo bisogna collegarsi andando anche oltre la mediazione italiana.
2.2. TITOLARITA’ DELLA TRATTATIVA
Nel mutamento istituzionale dobbiamo trattare noi, la Nazione sarda quale unico soggetto rappresentante degli interessi della Sardegna, e chi rappresenta l’Italia. Liberi noi di rappresentarci come vogliamo. Liberi “i Continentali” di rappresentarsi con le istituzioni che scelgono ( partiti, movimenti, blocchi elettorali, etc .. .).
2.3. LE DIFFICOLTA’
L’ esito del confronto non è scontato. Una nostra piattaforma non è trattabile a priori. I nostri diritti sono tali perchè cosi’ noi decidiamo. I Sardi hanno diritto all’autodeterminazione. Nè piu’ nè meno degli altri popoli.
I prezzi da pagare per l’ottenimento dei nostri obiettivi potrebbero risultare anche alti. Il popolo sardo sarà con noi solo se capirà la bontà della causa, la genuinità delle intenzioni, la generosità dell’impegno. Ogni scorciatoia violenta è dannosa e controproducente. I mutamenti duraturi passano esclusivamente attraverso il convincimento dei cittadini e l’assunzione da parte dei “dirigenti”della “violenza” assumendosela a sè attraverso risposte solamente non-violente.
3. Il mutamento che invochiamo ha al centro l’ INDIVIDUO e la SOCIETA’ sardi.
Non è la prima volta che l’attuale viene definita come una fase di ”passaggio’di civiltà”.
Normalmente e naturalmente, anche in tali passaggi, si è più certi di quello che si lascia che di quel che si trova. Ma importante resta quello che si cerca.
Non vi è dubbio, ad es., che nella società delle comunicazioni lo sviluppo dei propri caratteri etnici è una delle condizioni per l’affermazione di un popolo nel mondo.L’etnia è soprattutto fonte di solidarietà e di intimità tra i suoi partecipanti. Ma è essa stessa una possibile occasione di conflitto. Anzi, sarà proprio questa una delle più pericolose argomentazioni sul nostro cammino quando le proposte che andiamo elaborando vorremo che diventino realtà. Dovremmo già da ora essere pronti a considerare i danni procurati agli individui, alle famiglie e ai popoli anche dai princìpii e dalle organizzazioni a carattere universalistici: si pensi alle responsabilità delle società multinazionali nello sfruttamento e nella rapina delle risorse di popoli ridotti alla fame; allo sbandamento provocato nella vita di tutti dai “corsari” finanziari” internazionali e alle guerre conseguenti. ..
Ci aspetta, come in tutti i gravi momenti in cui la politica deve porre a se stessa i grandi temi, la proposizione di un percorso, anche culturale, che possibilmente porti il pensiero davanti agli eventi.
a) l’ EMERGENZA ETNICA in cui naviga il Popolo Sardo impone scelte decisive per fermare e invertire la catastrofe antropologica che A.Simon Mossa denunciava già trent’anni fa.
E’ questione, certo di impegno culturale e di forti investimenti. Ma è di più (o di meno, se si vuole): si tratta di riaprire un dialogo creativo tra l’individuo e i caratteri del!’ etnia/insieme alla lingua, le problematiche della reale valorizzazione delle nostre tradizioni in quelle permanenti dimensioni ancora ricche di significati).
b) riprendere la piena sovranità sulle proprie RISORSE, in un momento in cui la corsa al mercato è globale. Solo disponendo realmente di ciò che ci spetta potremo realizzare quello che SIAMO.
La fine del regime autonomistico nella forma limitata e frustrante che da troppo tempo tolleriamo coincide non casualmente con altre “conclusioni”: con un’ economia che non offre reddito nè lavoro a trecentomila persone; con un assetto territoriale totalmente sbilanciato verso la “metropoli” cagliaritana”; con la prospettiva di una sicuramente certa solitudine nella gestione dei nostri problemi.
Siamo ormai chiamati a progettare una prospettiva nuova (economica, ma anche culturale, insomma “vitale” per i comuni del!” interno e dobbiamo ripensare radicalmente al ruolo di Cagliari in Sardegna.
c) Certo, abbiamo bisogno di istituzioni nuove per mutare la qualità della nostra vita. Ma sentiamo anche la necessità di cambiare noi stessi per trasformare le nostre istituzioni.
I Sardi, unici testimoni del federalismo negli ultimi cento anni della storia d’ Italia, hanno il compito, il dovere ed il privilegio di concretamente spingere questo Paese, anche costringendolo, a praticare quella strada a partire dal!’ unico popolo da essa separato anche territorialmente.
Alla sfida istituzionale si congiunge l’ esaltante possibilità, restando lontani dalla “destra”, di andare oltre la “sinistra”.
La libertà di fronte alla propria società è l’elemento che distingue l’uomo dagli animali. La libertà di collaborare con i propri concittadini, e di affratellarli, costituisce il destino dei momenti felici del!’ identità e della mobilitazione del Popolo Sardo.
Cagliari 5 gennaio 2020
By Michele Podda, 13 gennaio 2020 @ 12:19
A perdonare.
A bortas deo chistiono a istrampunzadura e mencari cumbinat chi mi cumprenden a tortu. E tando naro custu: Totu su chi achet sa Cresia, Papa Franziscu e Mons. Miglio, e totu sos Retores de Sardinna, po sa Zente Sarda, est cosa de importu; a chie no lu cumprendet non juchet cherbeddu, chi siat o non siat cresiasticu e credente.
Sa chistione de sa Limba però est un’atera. Chi sa Cei aprobet sa bortadura de sa Missa in Limba sarda est unu grandu azudu po dare cussideru (prestigio) a sa Limba etotu e a sa Cultura sarda. Intrande DE DIRITU IN SA MISSA (de leze) sa Limba est reconnota in totu su mundu, si podet narrer, e tenet un’atera balia.
MA CUSTU NON BASTAT, po la torrare a biva; custu est solu UNA MANU AZUDU, bona cantu si cheret.
Po como est un’ateru su Missennore chi podet acher su MERACULU MANNU de non lassare a si che morrer sa Li ma nostra: SOLINAS si narat, est su Prsdiente de sa Regione. Si cheret issu, DERETU SI PONET SU SARDU IN ISCOLA, de leze; comizzande in cada bidda a imparare dae pizzinnos minores su sardu de sa Bidda etotu: in Bolothana, o in Ollollai, o in Seneghe, o in Domusnovas e in Cargeghe, in totube cadiunu su limbazu suo, CHI EST TOTU SARDU.
Bonu chi intret a Cresia in sa Missa Santa, MA SI NO INTRAT PURU A ISCOLA … ispera po sa Limba NON BI ND’AT.
By Michele Podda, 7 gennaio 2020 @ 10:47
Luciano istimau, at a esser totu bonu su chi nazes, tue e Bore, ma puite timies a lu narrer IN LIMBA SARDA? Jai l’isco chi est triballu e pelea, ma si non comizzamus nois, chie lu depet acher?
Eo dio narrer chi cumbenit a iscrier prus pacu, si cheres, ma SOLU IN SARDU. Medas no lu cumprenden? S’azustan, si pican su vocabolariu o dimandan a chie nd’ischit.
Ma… galu cancunu pessat chi sa Missa in Sardu podet serbire a sa LIMBA? Eo non credo, PODET SERBIRE A SA CRESIA, e jai est una cosa bona, ma po sa Limba nen Missennore e MANCU ZESUGRISTU poden acher nudda. Ja l’ischis tue cante a mene chi SOLU SA REGIONE E S’OBBRIGU DE SA LIMBA IN ISCOLA podan sarbare su limbazu nostru. Totu su restu est … ABBA PISTA.
By Luciano Carta, 5 gennaio 2020 @ 16:04
Mi associo in toto al saluto che Boreddhu Cubeddu fa a mons. Miglio, soprattutto per l’attenzione con cui ha promosso e incoraggiato l’introduzione della lingua sarda nella liturgia. Egli ha ben compreso il senso dell’inculturazione della fede, promossa a partire da Papa Giovanni Paolo II e fortemente voluta da Papa Francesco. Un lavoro importante, dietro esplicito invito di mons. Miglio, nella direzione della traduzione dei testi della S. Messa in logudorese e campidanese, è stata fatta da un gruppo di studiosi negli anni scorsi. Il testo tradotto è stato da tempo consegnato alla Conferenza Episcopale, ma tarda ad arrivare l’approvazione. Perché?
Quando dei cristiani (sacerdoti e laici) compikono un lavoro del genere, credo che abbiano diritto ad una risposta. Perché tanto ritardo nell’esame dei testi tradotti?
Chi scrive è convinto che quell’impresa di traduziuone dell’Ordo Missae in lingua sarda esiga, non il semplice volontario apporto di pochi, ma l’ufficializzzazione in sede di Facoltà Teologica Sarda, con la creazione di una Commissione per la traduzione dei testi sacri nella nostra lingua, come del resto aveva proposto a suo tempo mons. Miglio. Con l’auspicio che la sua lungimiranza venga fatta propria da colui che è stato chiamato a reggere la Chiesa cagliaritana.
Credo di sapere che il giorno in cui, in una qualsiasi delle feste patronali dei nostri 374 Comuni potrà essere celebrata la S. Messa nella nostra lingua materna, sarà unanime il plauso e la sincera partecipazione di tutti i Sardi. Dies illa erit in benedictionem!
Grazie mons. Miglio e buona permanenza nella sua terra di adozione.
Luciano Carta