Il mito di Galileo oltre la sua storia, di Carlo Rovelli

Stefano Gattei è un raffinato intellettuale italiano che ha lavorato sui grandi filosofi e storici della scienza della seconda metà del secolo scorso. La Princeton University Press pubblica ora un suo coltissimo volume, On the Life of Galileo.

 

Stefano Gattei pubblica una dotta ricognizione di biografie, ritratti e testi (di condanna o di celebrazione) che subito dopo la scomparsa del «grande pisano» contribuirono a definire la sua leggendaria figura. Per gli studiosi è una miniera di informazioni, per un lettore casuale è uno sguardo su una combattuta preistoria della scienza moderna

Stefano Gattei è un raffinato intellettuale italiano che ha lavorato sui grandi filosofi e storici della scienza della seconda metà del secolo scorso, come Thomas Kuhn, Karl Popper e Paul Feyerabend. La Princeton University Press pubblica ora un suo coltissimo volume, On the Life of Galileo, che raccoglie, traduce e commenta i primi testi che parlano della vita di Galileo Galilei, composti negli anni immediatamente seguenti la scomparsa dello scienziato. Biografie, ritratti, o anche brevi cenni, di spessore e tenore diverso, scritti da allievi, amici e nemici del grande pisano.

Il tono di questi testi è vario, dalla celebrazione alla condanna sprezzante. Ecco un simpatico esempio di quest’ultima: «Se solo (Galileo) avesse tenuto in conto la debolezza dei suoi occhi (…) non avrebbe dichiarato di vedere quello che di certo non ha visto, e non avrebbe cercato con i suoi libri di rovesciare e scuotere certezze che si appoggiano sulla testimonianza delle Sacre Scritture, l’accordo dei Santi Padri, e la verità della Fede Cattolica». Il volume, ricco di commenti e note, è un contributo importante alla storiografia su Galileo. Per gli studiosi di Galileo è una miniera di informazioni. Per un lettore casuale come me, sfogliare questo dotto volume è gettare lo sguardo su una combattuta preistoria della scienza moderna.

Gattei si concentra su come questi testi ci aiutino a ricostruire come abbia cominciato a prendere forma, sin dai primissimi anni dopo la sua scomparsa, il grande «mito» di Galileo, e quali complesse influenze e pressioni politiche, letterarie, religiose e culturali lo abbiano plasmato fin da subito. «Il mito di Galilei — scrive Gattei nell’introduzione — ha molte facce e si è modificato attraverso le epoche storiche adattandosi alle differenti trasformazioni storiche e culturali».

Non vi è dubbio che questo sia vero. È certo stato lo stesso per tutti i grandi miti: da Ulisse a Buddha, da Gesù a Robespierre. È mestiere degli storici non solo cercare di distillare per quanto possibile la radice storica dal mito, ma anche studiare la nascita e l’evoluzione del mito stesso, approfondire i diversi ruoli che ha giocato attraverso le epoche. Per tutti gli altri noi, d’altra parte, il valore e la forza di un mito è il mito come è oggi, non come si è originato e come è cresciuto.

Lo stesso vale per i testi. La forza di un testo e il valore che ha per noi non è quello che questo testo poteva significare per chi l’ha scritto: è quello che può significare per noi lettori oggi, magari a posteriori di secoli di commenti e letture. Sono proprio i secoli di interpretazioni ed esegesi che hanno conferito significati sempre nuovi e grande forza ad antichi testi. Per questo, mi sembra, i Vangeli, o i Veda, parlano così tanto a tante persone. Non necessariamente per il contenuto originario del testo. Quanto per l’enorme intensità e ricchezza di significato che secoli di letture hanno stratificato sul testo. Queste hanno assai più valore e interesse che quello.

Lo stesso vale per Galileo. È alla luce di quello che è riuscito a farne Isaac Newton, che appoggiandosi sulle sue scoperte ha scritto le equazioni che usiamo ancora oggi per costruire case e aeroplani, alla luce di tutta la fisica moderna, dell’immenso sviluppo della fisica sperimentale, dell’astronomia, che i testi di Galileo hanno qualcosa di profetico e stupefacente. È lui che per primo ha guardato il cielo vedendo cose che nessun uomo aveva mai visto, aprendo la strada all’astronomia moderna. È lui il primo che ha compreso l’importanza di sperimentare oltre che osservare, aprendo la strada a tutta la scienza sperimentale. È stato lui a scrivere la prima equazione matematica che descrive il moto degli oggetti sulla Terra, aprendo la strada alla fisica matematica. È lui dunque il padre nobile di tutte le osservazioni astronomiche moderne, della fisica sperimentale, della fisica matematica. È lui il padre della relatività, la cui prima espressione, su cui Albert Einstein ha costruito, è quella che chiamiamo oggi relatività «galileiana». È lui uno dei grandi padri della scienza stessa. Sì per quanto ha fatto, ma molto più per ciò che altri hanno fatto poi, ispirati dal suo mito.

Un’attenta lettura del quarto capitolo di quel libro straordinario che è il Dialogo sui due massimi sistemi ci può anche mostrare che in realtà Galileo non l’aveva mica capita bene la «relatività galileiana»; Galileo — come racconta Feyerabend nella sua divertente (ma poco affidabile) analisi — poteva anche usare molte «ipotesi ad hoc e abili tecniche di persuasione»; la sua rapida fama può anche essersi nutrita dei calcoli politici dei Medici, o delle nuove istanze di una classe politica emergente… Tutto questo è essenziale per gli storici, ma a noi in fondo dice meno. Perché per la porta che Galileo ha socchiuso è poi passata l’intera civiltà umana.

Anche lo scontro con la Chiesa cattolica prende oggi un significato che va al di là di qualunque dettaglio storico. La Chiesa poteva anche avere ragione nel rimproverare a Galileo di volersi ergere a nuovo interprete delle Scritture. Il cardinale Bellarmino poteva anche avere ragione nell’insistere sul fatto che allora la Cosmologia di Copernico era ancora un’ipotesi non provata. Eccetera eccetera. Ma importa? Una centenaria ideologia che pensava di dover fondare il nostro sapere sul Sole e le stelle su antiche scritture, si è scontrata con un sapere nuovo che cercava conoscenza scrutando il cielo con un telescopio. La storia ha chiarito senza ombra alcuna di dubbio chi aveva ragione.

Gli storici devono studiare il passato facendo come se il presente non esistesse. Ma noi viviamo nel presente, e il senso del presente è illuminato dai racconti del passato che prendono intensità alla luce del futuro di quel passato. Questo sono i miti: la forza di realtà ideali, spirituali e culturali complesse, che si sono imposte nel tempo, costruendo su tracce del passato. L’immensa forza del pensiero scientifico, che ha cambiato la vita quotidiana di centinaia di milioni di uomini e donne, che ha regalato a ciascuno di noi decenni di vita in più, e una vita confortevole inimmaginabile nel passato, che ci ha permesso di penetrare misteri della natura che sembravano inaccessibili, riconosce nei libri che Galileo ci ha lasciato, scritti in un meraviglioso italiano, un affacciarsi ancora impreciso, ma indubbiamente nuovo, di quello che poi è diventato un immenso fiume di sapere. Questo è il grande mito di Galileo, di cui il libro di Gattei ricostruisce i primi stentati vagiti.

Da  LA LETTURA, 17  novembre 2019

 

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