I frati che tradussero Marco Polo, di Anna Chiara Sarchi

Editor medievali. Ecco un documento sensazionale, la «pistola fumante» secondo gli studiosi, che svela il rapporto tra il viaggiatore e i domenicani veneziani. Furono loro a redigere «Il Milione» in latino per farne un bestseller e a correggerlo.

 

Dalla sua casa in contrada San Giovanni Grisostomo al convento dei domenicani dei Santi Giovanni e Paolo il tragitto era breve: poche centinaia di metri, il rio dei Mendicanti da superare, e, in fondo, la porta del monastero. Per uno che aveva percorso migliaia di chilometri, attraversato il Tigri, raggiunto il Catai, quella passeggiata veneziana doveva essere una piacevole routine. Una camminata quotidiana per Marco Polo (1254-1324), uomo di fiducia dell’Ordine dei Predicatori. Li frequentava, testimoniava per loro in occasioni di lasciti e acquisizioni. E i domenicani per lui traducevano (dal volgare al latino) Il Milione, sistemandone alcune parti per agevolarne la diffusione, per renderlo una sorta di guida turistica dell’Oriente. Editor medievali per un successo globale. Come dimostra una recentissima scoperta.

Il documento «rivelatore» non era nascosto né segreto. Ma non per questo meno difficile da scovare. Lo ha trovato lo scorso maggio — nello sterminato Archivio di Stato di Venezia dove è conservata gran parte del patrimonio documentario della Serenissima — Marcello Bolognari, giovane studioso dell’Università Ca’ Foscari impegnato nel progetto Biflow guidato da Antonio Montefusco. Si tratta di un atto, finora inedito ma soprattutto sconosciuto, datato 31 marzo 1323: Marco è tornato da tempo in Laguna (morirà un anno dopo) e per i frati dell’Ordo Praedicatorum si presta come testimone. Non un testimone qualsiasi. La questione è delicata: i domenicani del convento dei Santi Giovanni e Paolo, riuniti in capitolo, stanno accettando un enorme lascito testamentario proveniente da Giovanni dalle Boccole (con la donazione il convento si pagò un’importante ristrutturazione, compresi affreschi e sculture). Dunque «Marco Paulo de confinio Sancti Iohannis Grisostomi» residente poco lontano, nella casa acquistata dal padre Nicolò e dallo zio Maffeo, è quantomeno bene inserito nelle faccende del monastero.

Che si tratti del famoso viaggiatore lo dimostrano non solo il nome e il dettaglio «toponomastico» (la contrada di residenza), ma soprattutto il fatto che, nel lungo elenco dei frati riuniti in capitolo, figurano Benevenuto e Centorio, e cioé i domenicani del convento dei Santi Giovanni e Paolo espressamente nominati da Marco Polo nel suo testamento dell’anno seguente, recentemente riedito per le cure di Attilio Bartoli Langeli. «Proprio dai nomi di questi due frati, corretti da Bartoli Langeli rispetto alle edizioni precedenti, siamo riusciti ad arrivare al documento», che vediamo in questa pagina, spiega Montefusco, professore associato di Letteratura latina medievale umanistica all’Università Ca’ Foscari e capofila di un lavoro sulla traduzione medievale nel quadro di un progetto Erc in collaborazione con l’École des Hautes études en Sciences sociales di Parigi. Lo dice con emozione, non diversa da quella del borsista Marcello Bolognari, autore «materiale» della scoperta. «Quando ha letto il nome di Marco Polo su quella pagina — racconta il docente — ha prima chiamato il papà a casa e poi me: capisco il suo stupore».

Perché i punti interessanti di questo ritrovamento sono due: «Innanzitutto la pergamena offre informazioni nuove sulla vita, in massima parte poco o nulla documentata, di Marco Polo dopo il ritorno a Venezia: ci offre il profilo, sommario ma significativo, di un uomo non solo attivo nella gestione delle attività commerciali di famiglia, ma anche coinvolto nella vita religiosa del tempo, in particolare quella dell’ordine domenicano». Un mercante attento agli affari, illuminato (nel testamento divise i suoi beni tra la moglie e le tre figlie), religioso. E molto preoccupato per il proprio Milione.

Secondo punto, il più interessante: «Il testo offre un appiglio documentario, tenue ma ricco di fascino, all’ipotesi che Marco Polo, dopo il rientro a Venezia dalla prigionia genovese (pare che si fosse trovato su una delle navi veneziane sconfitte dai genovesi durante la battaglia di Curzola nel 1298) si sia dedicato alla revisione dell’opera lavorando in collaborazione con i domenicani dei Santi Giovanni e Paolo».

L’intuizione è semplice quanto geniale: Il Milione, dettato intorno al 1298 al compagno di cella Rustichello da Pisa e da questi scritto in franco-veneto, aveva bisogno del latino per diventare un bestseller mondiale ed essere capito ovunque. E di un’accurata opera di editing: tra le numerose versioni del testo, diverse testimonianze dicono che la traduzione detta Z — tra le prime e più fedeli all’originale, andato perduto — sia stata prodotta proprio a Venezia, in ambito domenicano, e che fosse basata su un testo originale che Marco avrebbe rivisto. Aggiunge ancora Montefusco, che guida l’équipe di studiosi del Dipartimento di Studi umanistici di Ca’ Foscari: «Una delle caratteristiche più seducenti e meno note della diffusione del Milione consiste nelle diverse traduzioni latine a cui il testo fu sottoposto». E chi poteva essere più interessato a quel libro, a farlo proprio e a rivederne alcuni punti, se non i domenicani, grandi missionari, famosi per redigere apprezzati testi di viaggio in latino? Per loro Il Milione era una preziosa fonte di informazioni sugli itinerari sconosciuti fino a quel momento, sulle credenze e i costumi del mondo orientale. Subito ne colsero la portata culturale. «Non a caso una delle più note versioni latine del volume (la redazione P, diffusa in circa sessanta manoscritti) fu tradotta all’inizio del Trecento dal frate domenicano di Bologna Francesco Pipino, forse su richiesta dell’Ordine, ed ebbe un notevole successo, garantendo la fortuna del libro su scala europea».

Ecco perché il documento rinvenuto a Venezia è così importante. «Ha il valore enorme — prosegue lo studioso — di confermare l’idea che questo interesse dei domenicani per Il Milione fosse nato all’interno di un rapporto diretto tra Marco Polo e i frati del monastero dei Santi Giovanni e Paolo. La qual cosa ci induce a pensare che i frati veneziani collaborarono alla revisione dell’opera».

Politica modernissima dei frati mendicanti che si appropriano di testi non latini per farli loro. E del «viaggiatore geniale», Marco Polo, che trova un editore speciale per diffondere il suo volume. «Questo documento — conclude Montefusco — è per noi una sorta di pistola fumante sul tavolo, una strada su cui continuare a lavorare».

La ricerca è nata nel quadro di una collaborazione tra il team di Montefusco e quello, coordinato Eugenio Burgio e Samuela Simion, che lavora all’edizione integrale del Milione in ambiente digitale. La partnership ha portato, lo scorso maggio, all’organizzazione di un convegno a Venezia con i massimi esperti della materia. Dai risultati del workshop e dalla scoperta del gruppo di Montefusco si è deciso di pubblicare un volume dedicato alla ricezione del Milione presso gli Ordini Mendicanti. La pubblicazione uscirà nel 2020 dalle Edizioni Ca’ Foscari. E naturalmente includerà il documento appena trovato.

Da  LA LETTURA, 17  novembre 2019

 

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