“STORIA DELL’ACQUA IN SARDEGNA”: UNA “RICERCA” DI FRANCESCO MASALA.
Pubblichiamo la sintesi della ricerca di Franziscu Masala pubbicata nell’AGI, Agenzia Italia il 12 maggio 1992.Mancano le miuscole, come si usava nelle agenzie di stampa di allora. Nella foto: Bitti: su Romanzesu.
(agi – cagliari, 12 magio 1992 – mediamente, in sardegna, si hanno diciotto miliardi di metri cubi di precipitazioni annue: la meta’ ritorna nell’atmosfera, per evaporazione, traspirazione, azione dei venti, oppure s’infiltra nel terreno perdendosi in falde difficilmente raggiungibili; un altro quarto defluisce in mare, non invasabile per motivi morfologici e topologici, come la presenza di bassopiani e l’assenza di conche d’invaso; l’ultimo quarto, infine, circa quattro miliardi e mezzo di metri cubi d’acqua, e’ disponibile per essere invasata in bacini artificiali.
naturalmente, e’ necessario aggiungere che, in terra di sardegna, non piove regolarmente, tutti gli anni alla stessa maniera, ma si alternano periodi di grande piovosita’ a periodi di grande siccita’: da questa anomalia metereologica discende una necessita’ , cioe’ l’urgenza di accumulare scorte d’acqua nei periodi di piovosita’, per usarla nei periodi di
siccita’ .
in siffatto contesto, si pone questa “storia dell’acqua in
sardegna”, scritta da francesco masala come “ricerca” diretta a ripercorrere tutta la storia dell’isola, avendo come riferimento l’acqua, soltanto l’acqua.
infatti, l’indagine, sul passato storico ci da’ elementi ed ammonimenti per costruire un giusto futuro: a pensarci bene, il futuro ha il cuore del passato.
in questo senso, l’indagine sulla nostra bimillenaria vicenda di “popolo vinto” da esterne dominazioni, ci ha reso possibile individuare, subito, una “legge storica”: ogni
qualvolta, nell’isola, il “vincitore” imposta il problema dell’acqua su di un piano pratico (cioe’, ricerca, captazione, accumulo, canalizzazione, distribuzione), allora e’ segno certo di un incremento di valori economici e sociali; se, invece, il “vincitore di turno” trascura la soluzione pratica, allora l’acqua diventa oggetto di magia e, in mancanza di scorte, vengono elaborati riti superstiziosi per far piovere, ad petendas pluvias.
alla prima categoria sono da ascrivere i cartaginesi, i romani e i pisani; mentre nella seconda categoria si possono tranquillamente inserire i bizantini, gli spagnoli e i piemontesi.
certamente, i primi grandi raccoglitori d’acqua, in sardegna, furono i “nuragici”. ancora oggi, possiamo vedere che ogni “nucleo nuragico” aveva un suo “pozzo sacro”, cioe’ un serbatoio d’acqua accumulata in previsione dell’inaridimento delle sorgenti durante i periodi di siccita’. una scorta d’acqua proclamata sacra: come sempre, nelle societa’ tribali, al momento economico si sovrapponeva il momento religioso: il “capotribu’” era, anche, il “sacerdote”, custode e distributore delle riserve accumulate nel “pozzo sacro”: era, insomma, il “padrone dele acque”, cosi’ come, nelle grandi civilta’ sorte lungo i grandi fiumi, il “pontefice” era colui che faceva il ponte sulle acque.
alla stessa maniera, grandi accumulatori d’acqua furono
i primi conquistatori della sardegna, i fenicio-punici che, per provvedere all’approviggionamento delle loro “citta’” costiere (nora, karel, solki, bitia, tarros, cornus, othoca, bosa, olbia) costruirono grandi depositi d’acqua, le famose “cisterne puniche”, delle quali un esempio, bellissimo e indenne, e’ possibile vederlo, ancora oggi, all’interno della cittadella dei musei di cagliari, una vera e propria intatta pagina di storia idrologica.
in seguito, roma porto’ avanti, in sardegna, la sua collaudata “tecnica dell’acqua”: i romani erano soldati spietati ma puliti. fissarono le loro basi militari soprattutto dove esistevano sorgenti d’acque fredde e calde <calidarium tepidarium – frigidarium): fordongianus, mesumundu, sardara, castelsardo, benetutti, neapoli, luguido, gemellas, vincula.
i reperti archeologici ci dicono che i romani importarono in sardegna, assieme alla tecnica delle perfette strade, la tecnica dei perfetti acquedotti: un esempio e’ tuttora visibile nelle grandi cisterne dell’orto botanico di cagliari, alimentate da una condotta addutrice che captava le ricche sorgenti di caputaquas, nel monte ollastu, e le incanalava toccando siliqua, decimo, assemini, elmas ed entrava a cagliari attraverso il quartiere stampace.
in una epigrafe del primo secolo, trovata a portotorres, si fa menzione della costruzione di un “lacus” alimentato dalle acque delle sorgenti dell’aba giara (acqua chiara) e collegato ad un acquedotto per l’approvvigionamento della citta’ di turris: il che sarebbe il primo esempio di lago artificiale in terra di sardegna.
la successiva dominazione bizantina, per quanto riguarda l’acqua, sembra caratterizzata dalla disgregazione di tutta l’organizzazione romana per la raccolta e l’accumulo: invece che alla “previdenza”, i bizantini ricorrono alla “provvidenza”, alla magia, alle parole incantatorie (is rebus), ai rituali superstiziosi per scongiurare la siccita’.
- I RITI PROPIZIATORI DELLA PIOGGIA
per implorare la pioggia, ad petendas p1uvias, si porta in processione la “madonna d’itria”, la madonna dell’acqua, in lingua bizantina. sappiamo anche, come testimonia l’etnologo francesco alziator, in “folklore sardo”, che in eta’ bizantina, per propriziare la pioggia, s’immergevano teschi umani dentro le sorgenti inaridite: cosi’, negli oscuri labirinti della magia, la societa’ sardo-bizantina smarriva il filo della conservazione razionale delle acque.
durante il periodo dei “giudicati sardi”, in sardegna penetrarono gli influssi, una volta tanto positivi, delle civilta’ marinare di pisa e genova e, soprattutto, degli ordini monastici che di li’ provenivano: intorno ai monasteri, assieme alle bellissime Chiese, sorsero fiorenti nuclei rurali, dove furono adottate tutte le tecniche, gia’ collaudate nel continente italiano, per captazione, l’accumulazione, la canalizzazione e la distribuzione delle acque.
negli “statuti sassaresi” del 300, su modelli pisani, sono fissate le norme per l’utilizzazione delle acque della fontana di rosello, come forza motrice per i mulini di grano posti a valle della sorgente. similmente, su modelli pisani, il “breve di villa di chiesa”, il piu’ antico codice minerario della storia, detta norme sull’accumulazione e sull’uso delle acque nel processo di trasformazione dei metalli nelle miniere del sulcis-iglesiente.
la successiva dominazione spagnola in sardegna – come afferma il grande storico inglese jon day – trascuro’ completamente il problema della accumulazione delle acque, determinando, cosi’, nei periodi di siccita’, lo spopolamento e la scomparsa di circa la meta’ dei villaggi sardi, a causa della carestia, della peste e del colera. e, naturalmente, si ritorna ai riti magici.
non ci meravigliamo, percio’, se in un documento in lingua spagnola, conservato nell’archivio della cattedrale di cagliari, leggiamo che, in data 12 maggio 1602, un crocefisso della chiesa cagliaritana di san giacomo fu portato in processione, con la partecipazione del vicere spagnolo conte elda, fino alla spiaggia di su siccu, di fronte al santuario di bonaria, “para mojarlo en la mar y placar l’ira de dios”, cioe’ per immergerlo nel mare e placare, cosi’, l’ira di dio, insomma, per porre termine alla siccita’ e far venire la pioggia.
la dominazione piemontese in sardegna, iniziata nel 1720,
almeno sul piano teorico, tento’ di elaborare piani per l’accumulazione delle acque: e basti pensare al famoso libro del gesuita piemontese padre francesco gemelli, intitolato “il rifiorimento della sardegna”, dove si propone la costruzione di “grandi depositi d’acqua, ovvero bacini, da cui far affluire (dice il buon gesuita) l’acqua ai campi in periodi di siccita’: naturalmente, il buon gesuita piemontese si dimentico’ di far affluire in sardegna i grandi capitali occorrenti per la costruzione dei suddetti bacini.
anche la famigerata “legge delle chiudende”, emanata nel
1820, complico’ la “questione delle acque” in sardegna: i chiuditori di terra inglobarono nelle loro tancas serradas a muru fattas a s’afferra-afferra, prima di tutto e soprattutto, le sorgenti, le fontane, gli abbeveratoi, privatizzando le acque comunitarie, togliendole a chi ne aveva piu’ bisogno, i contadini e i pastori: nasce, cosi’, la figura ottocentesca de
su prinzipale de tancas cun su riu in mesu, cioe’ il proprietario di tanche col fiume in mezzo.
- I PRIMI LAGHI ARTIFICIALI
nel 1861, fu proclamato il regno d’italia e, nella nostra isola, il problema delle acque fu posto al centro della “questione sarda”/: sia la prima commissione d’inchiesta parlamentare (de pretis) sia la seconda (salaris) sia la terza (pais-serra) posero come presupposto basilare di tutti i mali della sardegna la “questione dell’acqua”, cioe’ il rapporto “idrologia-economia”.
il primo “lago artificiale” sardo fu la diga sul rio corongiu, ultimata nel 1866, e costitui’ il bacino d’invaso per
l’acquedotto di cagliari.
nel 1880, fu inaugurato il “lago artificiale” di binnari,
secondo invaso idropotabile sardo, per servire l’acquedotto di sassari.
nel 1924, fu portato a termine il grande bacino del tirso che, con una capienza di 374milioni di metri cubi d’acqua, fu allora il maggior lago artificiale d’europa. all’origine, la diga sul tirso fu ideata con lo scopo precipuo di regolatrice delle piene in occasione di grandi piogge, proprio perche’, in sardegna, l’agricoltura ha due nemici ugualmente temibili: la siccita’ e l’inondazione. poi, in un secondo momento, questa grande scorta d’acqua fu utilizzata per la produzione di energia elettrica ed, infine, le acque reflue furono impiegate per irrigare la piana della neonata mussolinia, ora arborea.
nel 1927, fu inaugurata la grande diga sul fiume coghinas, con una capienza di 242milioni di metri cubi d’acqua, a fini prevalentemente idroelettrici con quattro gruppi di turbine, con le acque reflue posteriormente utilizzate a fini di irrigazione.
nel 1928, furono iniziati, dalla societa’ elettrica sarda,
i lavori di assaggio per lo sfruttamento idroelettrico dell’alto
flumendosa, interrotti nel 1931, ripresi nel 1941, anche con
l’utilizzazione di prigionieri di guerra, nuovamente interrotti nel tragico anno 1943.
nel 1949, fu eletto il “primo” consiglio regionale della regione autonoma a statuto speciale: la “politica delle acque” ricevette maggiore impulso e l’ente autonomo del flumendosa porto’ a termine il maggior sistema idrico esistente in sardegna: una serie di dighe sul flumendosa, tra loro collegate, capienti oltre seicentomilioni di metri cubi d’acqua, finalizzati a scopi multiuso, elettrico, industriale, irriguo, ittico, turistico e, naturalmente, idropctabile.
a tutt’oggi, i bacini artificiali costruiti in sardegna, non tenendo cento dei piccoli bacini collinari, sono quarantacinque e invasano una quantita’ d’acqua pari a circa due miliardi di metri cubi d’acqua: per eliminare la “‘discrasia” fra acqua invasata e acqua invasabile rimane da raccogliere e accumulare un’altra quantita’ d’acqua pari a due miliardi e mezzo di metri cubi: insomma~ e” necessario costruire altri quarantacinque “laghi artificiali”, onde raggiungere l’optimus della cosiddetta cultura dell’acqua.
in ultima analisi, a pensarci proprio bene, proprio dalla “storia” discende una lezione politica: captare, raccogliere, accumulare ogni goccia possibile dei diciotto miliardi di metri cubi d’acqua che, mediante, ogni anno, cadono dal cielo sulla mal fatata terra di sardegna.