SA MISSA IN SARDU. UNA DIE ISTORICA, di Francesco Casula

Il 15 dicembre scorso nella basilica di Bonaria è stata celebrata la Messa, con la liturgia della parola ed i canti in lingua sarda, accompagnata dai cori a cuncordu e dalle launeddas.

“Una dì storica”, ha affermato Paolo Zedda, ex consigliere regionale, studioso e cantadore in lingua sarda.

Mentre la Fondazione Sardinia, fondamentale regista dell’Evento, ha parlato di “un passo in avanti e speriamo decisivo, per l’utilizzo della lingua sarda nella Chiesa”.

Ma sarebbe – a mio parere – un passo fondamentale per la stessa valorizzazione, diffusione e, speriamo, ufficializzazione del sardo, una lingua, che fino a qualche decina di anni fa, una falsa e male intesa modernità e modernizzazione, voleva seppellire e interrare, come elemento residuale e inutile di una civiltà ormai scomparsa. Una lingua che oggi invece, giustamente e opportunamente si inizia a dissotterrare, riscoprire, valorizzare in quanto elemento costitutivo della storia e della civiltà sarda e dunque della nostra identità culturale ma anche religiosa.

Negli anni scorsi, (per esempio nel 2018 in occasione de Sa Die de sa Sardigna, con la messa officiata dal sostituto alla segreteria di Stato vaticana, monsignor Giovanni Angelo Becciu in Cattedrale a Cagliari) l’uso del Sardo aveva riguardato esclusivamente le para-liturgie ((canti e preghiere di accompagnamento). L’utilizzo della lingua sarda nell’intero rito religioso potrebbe fra l’altro essere  un formidabile strumento:

 

1.Per il risveglio dell’interesse culturale per la religiosità popolare.

L’interesse scientifico, culturale e linguistico per la religiosità popolare non è certo una  prerogativa di questi ultimi anni. Ma è altrettanto vero che da qualche decennio la produzione per quanto attiene alla religiosità si è fatta più intensa e più feconda. E’ sufficiente scorrere i lavori di qualche decennio addietro per prender­ne atto. Ne sono prova e documento i lavori dello storico Gabriele de Rosa1, Paolo Giannoni2, P Secondin3 e, recentemente, del Cardinale Jóseph Ratzinger, già Papa4

Non mancano, anteriori a questi lavori, sicuri riferimenti anche in alcuni documenti del Vaticano II come nella “Sacrosanctum Concilium” sulla Sacra Liturgia e nella stessa “Lumen Gentium” al N° 13, la nota e celebre Costituzione dogmatica sulla Chiesa, o nel Magistero Pontificio quale la “Evangeli Nuntiandi” di Paolo VI dell’8 dicembre 1975 al V° 48.

La religiosità popolare in Sardegna, seppur, talvolta, difettosa e manchevole, rimane ancorata al Vangelo e alle Sacre scritture, tanto che, lo stesso Card. Joseph Ratzinger, con autorità e sicurezza teologica scrive che se “La Religiosità Popolare venne ingiustamente sottovalutata e messa da parte da influenti correnti del periodo postconciliare”, la stessa, in realtà, “è la forma fondamentale della fede. Qui la fede diventa vita, qui discende dalla ragione nel cuore, qui dà forma ad atteggiamenti morali e ad abitudini e plasma la sensibi­lità: qui la fede viene radicata nelle profondità dell’anima”. E se “il pere­grinare appartiene alla Religiosità Popolare, ma proprio qui emerge come la Religiosità Popolare sia qualcosa di più che folklore e forma esteriore: essa è radicata nella Teologia, in quella profondità nella quale si incontra­no la Rivelazione di Dio e le forme più profonde della sensibilità umana che sono comuni agli uomini di tutte le culture”5 .

La religiosità popolare in quest’ottica risulta “Una particolare assimilazione dal basso, da parte del popolo, del­l’annuncio cristiano fatto dall’Alto, con codici ufficiali colti6.

2) Ad iniziare dal risveglio dell’interesse per la religiosità popolare in Sardegna

Nell’ultimo Concilio Plenario Sardo, conclusosi agli inizi del 2000, il quarto documento sulla “Chiesa che è in Sardegna” prende in esame la specifica peculiarità della religiosità popolare nell’Isola e della sua singo­lare “sardità cristiana” ove trovano spazio e forte rilevanza le feste patronali, le sagre, la devozione mariana, nelle quali s’è inculturata e innerva­ta la “traditio o transmissio fidei” del nostro popolo. Il documento segna un nuovo interesse per questo tipo di religiosità: interesse peraltro fortemente presente nella società sarda che ha portato istituzioni e singoli prima a scovare in vecchi archivi e poi a censire, recuperare e pubblicare una produzione letteraria popolare religiosa che altrimenti andrebbe persa o comunque non verrebbe conosciuta nè fruita da un pubblico vasto. Produzione che talvolta è caratterizzata da una cifra letteraria, linguistica e persino poetica di alta qualità.

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Note bibliografiche

1) in Che cos’è la Religiosità Popolare, Civiltà. Cattolica, 1979, II, pp. 114-119

2) in Fede, Religione, Religiosità, Torino, 1979 e  Fede Popolare, Torino, 1979, pp.  72-78,

3) in Attualità e complessità della Religiosità Popolare, Roma, 1975, pp. 11-37

4) in Il  Santo viaggio. Pellegrinaggio e vita cristiana, Roma, 1999.

5) in  La presentazione al volu­me di Carlo Mazza, Santa è la vita, Pellegrinaggio e     vita cristiana. Bologna, 1999).

6) in A. Amato, La figura di Gesù Cristo nella cultura contemporanea, Roma, 1980, pp.68-69

 

 

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