Lo Statuto sardo: Il gatto è diventato un topolino 71 anni di Eteronomia, di Francesco Casula

L’Amministrazione comunale di Desulo, all’interno della XXVIII Edizione del Premio letterario “Montanaru”, il Primo novembre scorso, ha organizzato una Tavola rotonda su “Sardegna, sardismo e autonomia”, con la partecipazione di Emiliano Deiana (Presidente Anci Sardegna), Anthony Muroni (Giornalista), Salvatore Liori (ex Sindaco di Desulo) e il sottoscritto. Questo il mio (nella foto) intervento.

Il 31 gennaio 1948, dall’Assemblea Costituente fu approvato lo Statuto speciale per la Sardegna con 280 voti a favore e 81 contrari (su 361 votanti). I presenti erano stati solo 363 su ben 556 aventi diritto. Il 28 febbraio fu promulgato.

Emilio Lussu ironizzò:  parlando di aver ottenuto un gatto mentre voleva un leone. E’ pur vero infatti che anche il gatto appartiene alla famiglia dei felini, – scrisse – ma il gatto è un gatto e il leone è un leone.

Fu il risultato ultimo di una serie plurima di compromessi al ribasso.

Nella Consulta regionale la proposta di Statuto elaborata dal Partito sardo d’Azione, fu gravemente manomessa e “svuotata”, sia dal Partito comunista italiano che dalla Democrazia cristiana.

I sardisti inquadravano la Sardegna in una Repubblica federale: a cui si opponevano sia i comunisti che i democristiani. In Sardegna come nella stessa Assemblea costituente in Italia, dove a sostenere il Federalismo Lussu si era trovato solo, insieme all’azionista Mario Berlinguer.

I democristiani, evidentemente, dimentichi dell’autonomismo sturziano e i comunisti perché ferocemente centralisti e difensori del leviatano statale: Togliatti, sulla scia di Engels, aveva sostenuto che “occorreva portare l’accentramento dello Stato, più avanti di come era stato avviato dalla borghesia”.

Il testo dello Statuto uscito dalla Consulta regionale sarà ulteriormente annaquato e debilitato dall’Assemblea costituente, uscendone appunto, secondo la colorita definizione di Lussu, un gatto invece che un leone.

Ma c’è di più: in questi 71 anni di Autonomia, sarà ulteriormente sottoposto a compressione e depotenziamento: dall’esterno come dall’interno.

Ovvero da parte dello Stato (ben coadiuvato dalla Corte costituzionale) che  in ogni contenzioso – specie per quanto attiene ai poteri concorrenti – ne esce vincitore con la Regione: se non altro perché vince sempre il più forte.

Come da parte della stessa Regione e delle forze politiche sarde che non sanno o non possono o non vogliono utilizzare gli stessi strumenti, possibilità, spazi e poteri che il pur debole Statuto, loro offriva. Basti pensare a questo proposito alla vicenda delle norme di attuazione che avrebbero dovuto riempire di contenuti le astrattte previsioni statutarie, stabilendo quali dovevano essere i poteri reali della Regione nelle materie attribuite alla sua competenza.

Queste norme o non vengono emanate o vengono emanate in modo eccezionalmente riduttivo o non vengono quasi mai poste in atto.

Un dato è illuminante e paradigmatico: le norme di attuazione emanate dalla Regione sarda in 71 anni di Autonomia sono state 26. Il Trentino-Alto Adige ne ha attivato 72!

Ma c’è di più: a mio parere lo Statuto sardo nasce con un peccato d’origine e un limite ancora più grave: l’economicismo. Di cui l’articolo 13 (Lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola) è la cartina di tornasole.

A significare in qualche modo che la Sardegna ottiene lo Statuto speciale in virtù della sua povertà e arretratezza. Se così fosse però, perché non concedere lo Statuto speciale alla Lucania o anche ad altre regioni italiane che allora erano povere come la Sardegna se non di più?

La verità è che il motivo reale non è economico. E’ invece da ricondurre alla sua identità etno-storica ed etno-culturale e linguistica. Ma non lo si vuole ammettere né confessare. Altrimenti i Costituenti avrebbero dovuto trarre le conseguenze: cultura e lingua sarda a scuola ecc.

Di cui nell’intero Statuto non c’è traccia: né nel Prologo né nell’intero articolato. Anzi: i Costituenti respingeranno la proposta di Lussu tesa a inserire l’insegnamento della lingua sarda nelle scuole elementari (in quanto patrimonio millenario che occorre conservare)  né tennero conto dei consigli di Giovanni Lilliu che suggeriva ai Costituenti sardi di rivendicare per la Sardegna competenze primarie ed esclusive, almeno per quanto riguardava i Beni culturali.

 

Dopo 71 anni di Autonomia (o di Eteronomia?) dobbiamo dire che oggi l’attuale Statuto sardo non è neppure un gatto. E’ un topolino, per di più cieco. Ed è un arnese inservibile. Esso anzi, di fatto rappresenta un ostacolo alla realizzazione di una vera Autonomia, o peggio: serve solo come copertura alla gestione centralistica della Regione da parte dello Stato, di cui non ha scalfito per niente il centralismo. Paradossalmente lo ha perfino favorito, consentendo ai Sardi solo il succursalismo e l’amministrazione della propria dipendenza, culturale e linguistica prima ancora che economica.

Per la verità da decenni lo Statuto è inservibile. Fin dagli anni ’70, quando con straordinaria lucidità il democristiano Paolo Dettori lanciò la politica “contestativa” nei confronti dello Stato.

E negli anni ’90 il Consiglio regionale nominò una Commissione ad hoc, pomposamente chiamata “Commissione speciale per l’Autonomia”, che partorì però un documento mostricciatolo, che non fu neppure discusso in Aula da parte del Consiglio regionale.

Fino ad arrivare agli inizi del duemila con la Proposta di Assemblea Costituente.

Non muovendosi la politica, era inevitabile che  scendesse in campo la società. Per riscrivere il Nuovo Statuto attraverso, appunto, un’Assemblea costituente.

La proposta fu presentata a Cagliari da un “Comitato per la Costituente” formato da 11 personalità (ci sono fra gli altri i segretari di Cgil-Cisl-Uil-Css, oltre a intellettuali ed esponenti della Chiesa).

Anche tale proposta e iniziativa è caduta nel vuoto. E ormai da anni, pare che la riscrittura dello Statuto sia stata cancellata e derubricata dall’agenda del Consiglio regionale.

A mio parere è invece urgente riprendere l’iniziativa su questo versante, soprattutto in un momento in cui, in altre Regioni (Veneto, Lombardia, Emilia: tutte e tre regioni a statuto ordinario) rivendicano più poteri e “Autonomia differenziata”.

E mi chiedo: non sarà il caso di riprendere la Proposta dell’Assemblea costituente?

Mi pare essa lo strumento e il modo più democratico per riscrivere la Nuova Carta Costituzionale della Sardegna, una vera e propria Carta De Logu, per ricontrattare i rapporti con lo Stato su basi federali, per stabilire un nuovo patto fra la Sardegna, l’Italia e l’Europa e insieme per definire e sancire  le prerogative e i poteri di una Comunità moderna, orgogliosa e sovrana.

Fra l’altro essa può anche rappresentare un’occasione formidabile per mettere in campo il protagonismo e la partecipazione diretta dei Sardi, per realizzare un grande e profondo movimento di popolo, finalmente coeso, che creda in se stesso e che prenda coscienza della propria Identità, dispiegando tutta intera la propria energia per potersi così aprire, senza subalternità e complessi di inferiorità, alle culture d’Europa e del mondo, pronta a competere con le sue produzioni materiali e immateriali, finalmente decisa a costruire un futuro di prosperità, lasciandosi alle spalle lamentazioni e piagnistei.

 

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    1 Comment to “Lo Statuto sardo: Il gatto è diventato un topolino 71 anni di Eteronomia, di Francesco Casula”

    1. By Mario Pudhu, 11 novembre 2019 @ 07:21

      Su pecadu mortale (chi bochit, isperdet, torrat a nudha, o a sorighitos modhes) est su pedire; e si sos batos pedint unu leone a sos leones, custos sunt meres de “concedere”, bontà loro, su chi lis andhat menzus. Como (como? semus séculos, goi!!!) pranghimus ca no fit mancu unu “gatto” ma unu “topolino”.
      Su 1948 sos Sardos fimus mortos, falliti, iscazados, fatos a biculedhos, a farinos e de tandho sempre de prus cun centu a unu “partito” e partidedhos a nos sighire a fàghere a biculedhos (per solidarietà).
      Su 2019 sos Sardos semus fintzas “volatilizzati”, evaporados.
      E si no istat ca semus ancora zente chi tenet sa libbertade e responsabbilidade, diritu inalienàbbile e dovere pretzisu e netzessàriu de si guvernare tio nàrrere chi fintzas s’isperàntzia est morta e interrada. Semus a sas ‘missas’ pro sos mortos.
      Su cancru de sa dipendhéntzia noche at manigadu fintzas sos cherbedhos? No amus imparadu mucha in séculos de domíniu? Amus imparadu solu a prànghere e a pedire? Solu a pistare abba? Solu a fàghere sos inghiriagrastos? Nos semus fatos a pedidores de professione? Cun totu sos mortos e mortes, ingannos e disastros chi amus tentu e sighimus a tènnere no semus ancora istracos e cascaviados, istufos e bómbidos de fàghere sos pedulianos pedindhe a chie nos zughet in d-una busachedha e no est pessendhe a nois e no rispetat mancu sas lezes suas chi faghet ‘pro nois’ ca li cheret totu su tempus e totu sas risorsas pro sos afàrios suos? Nos amus mai pessadu chi fintzas solu sa promissa, e calesisiat idea de azudu (sempre e solu a sensu únicu) o ‘solidarietà’ chentza leze e cun totu sas lezes, est sa peus dipendhéntzia chi nos paralizat e cundennat a noche mòrrere ispetendhe sempre de prus dipendhentes?
      Torramus a pistare s’abba de una Assemblea (‘natzionale’!!!) pro sighire a pedire a sos surdos (pro istituzione, funtzione e podere) unu “Statuto” pro sighire ispetare àteros 71 annu pranghindhe e pedindhe ispetendhe in debbadas “la attuazione” de sas peràulas iscritas in pabilaza de riciclare, al macero, mancari bona solu per l’interpretazione della Corte Costituzionale? Sighimus a perricare pro un’istadu italianu “federale” candho no lis bastat mancu un’istadu fascista ditatoriale? Nos sighimus a propònnere ancora de sighire a andhare innoromala? Ancora pro contighendhos de mindhighéntzia e APROFITAMENTU PERSONALE de sos ‘campiones’ miracularzos chi naschint inoghe che tuedha de antunna velenosa e evelenada? Sighimus a èssere mai pópulu e sempre solu mònades iscuncordas iscorriadas espes terranzos pedindhe “un passaggio” a sos ‘menzus’ Autotrenistas de s’Itàlia? Zughimus ancora unu cherbedhu e una cusséntzia pro pessare e cussiderare comente semus? Sighimus a iscavare su passadu pro ndhe bogare a pizu fintzas sas vírgulas ma semus gai tzegos o drommidos a calatzones o menefreghistas chi no bidimus sos disastros de sos tempos nostros? No bidimus mancu chi sa Sardigna no est in Itàlia!
      Si zughimus apenas apenas de àlidu o duos sodhos in busaca pessamus de nos isalidare e sighire a ispèrdere chirchendhe de sighire a cúrrere ifatu de sos cadhos de punta chi no nos lassant ne ranu e mancu paza e cambados sempre de prus atesu (e si mai amus pessadu chi est cussu su “traguardo”!)?
      Nolla faghimus sa dimandha si semus ancora pessones in sensos o macos irbariados? Si sos ‘politici’ nostros (ohi, nostros?!) sunt innorantes chi no ischint duas rigas de s’istória nostra, o macos che cadhu chi no ndhe lis importat nudha, o tontos che napa chi no cumprendhent nudha o delincuentes menefreghistas onestos afariados solu (in númene sempre de sa Sardigna e de sos Sardos) a contighedhos de segamigasu personales, interrados in sa ‘política’ de campacavallo? Nos dimandhamus si semus ancora zente o bamas de berbeghes cun grodhes margianes a pastores?