Lo sguardo di Spinoza sulla realtà. O è sogno? di MAURO BONAZZI

LEZIONI DI FILOSOFIA. C’è un’ambizione che accomuna la maggior parte dei filosofi, quale che sia il loro orientamento. E quello che un pensatore contemporaneo, Thomas Nagel, ha chiamato «lo sguardo da nessun luogo ( the view .from nowhere)».


Gli antichi, che ancora credevano in un ordine divino delle cose, esprimevano la stessa idea parlando dello «sguardo dal punto di vista di Dio». Al crocevia di queste due tradizioni (è stato ateo o no? Gli studiosi si dividono ancora oggi) è Baruch Spinoza, con il suo «sguardo dal punto di vista dell’eternità» (sub specie aetemitatis, scriveva in latino). È il punto culminante dell’Ethica more geometrico demonstrata, una delle opere più audaci nella storia della filosofia, un tentativo appunto di comprendere la realtà per quello che essa è realmente, assolutamente, non come appare a noi, chiusi nei nostri pregiudizi e nelle nostre prospettive limitate.

Vista dalle vertiginose altezze della metafisica, la realtà appare in effetti diversa da quello che pensiamo. Guardiamo il mondo, le cose, noi stessi, e vediamo molteplicità e disordine, trasformazioni e decadenza. La nascita e la morte, il tempo che scorre e tutto cancella, l’irriducibile molteplicità di ciò che ci circonda. C’è qualcosa di straziante nella consapevolezza che tutto quello è destinato a cadere nel silenzio («o buio, buio, buio. Tutti vanno nel buio / nei vuoti spazi interstellari, il vuoto va nel vuoto», scriveva un premio Nobel, Thomas S. Eliot). L’esercizio della filosofia è prima di tutto l’esperienza dell’unità; la comprensìone dell’unità che tiene insìeme tutto, riorganizzando questa molteplicità scomposta in un ordine meraviglioso. «Là è ordine e voluttà» (Baudelaire): la realtà come si dispiega allo sguardo del filosofo, è di una bellezza abbacinante. È un’esperienza che trasforma. Elevandosi al di sopra delle proprie esperienze limitate, si comprende che in questa splendida unità tutto, persino la singola esistenza di una singola, ha un posto: contribuisce al disegno d’insieme e dunque possiede senso e valore. Le prospettive su di noi e su quello che ci circonda cambiano, e così le priorità. Maturando una consapevolezza dell’insieme, è più facile guardare alla proprie preoccupazioni personali con maggiore distacco, dando loro il giusto peso. Ciò che sembrava importante, e per questo fonte di angoscia, si rivela vano: la vera libertà è in questa liberazione dalle passioni che ci impedivano di vedere, di vivere come avremmo potuto.

Dimostrare o meno l’esistenza di Dio non è facile e non è neppure decisivo, ormai. Di certo, la comprensione della realtà a cui è giunto il filosofo è la stessa di Dio, se esiste: identica è la gioia di fronte allo spettacolo che si dispiega davanti. Anche noi possiamo finalmente capire, proprio come lui. E’ come un’aria satura di gas: non si vede, ma è lì; il nostro pensiero è come la fiamma che l’accende; l’esplosione e l’incendio – la fiammella che si ricongiunge al fuoco, il nostro pensiero che s’identifica Dio e vede tutto con i suoi occhi – è la felicità, la vittoria sull’insignificanza delle cose. Difficile immaginare una gioia più intensa. Si potrebbe volere una cosa di più? E una sola domanda rimane per il lettore che ancora non è asceso fino a quelle vette.

Davvero le cose stanno così o si tratta soltanto di un sogno, di un bellissimo sogno, e nient’altro?

Da 7, settimananal de Il corriere della sera, 18.10.21

 

 

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